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 2008  febbraio 09 Sabato calendario

NEW YORK

Tre mesi fa aveva provato a riesumare la propria carriera. Era successo in Ohio, una cittadina di nome Youngstown che una volta fu il centro del mondo per l’industria dell’acciaio, e oggi è al centro di una valle su cui non passano più neppure i fiumi. Per Mike Tyson il luogo ideale per la sua disperata avventura: un tour di esibizioni in giro per il mondo, quattro riprese contro un compiacente avversario disposto a sanguinare dal naso per l’ebbrezza del pubblico pagante, in cambio di qualche spicciolo. Un circo itinerante per tirare su due soldi, il minimo necessario a pagare il debito col fisco. Ci disse Tyson: «La boxe quella vera? Non ce la faccio più. Non riesco ad odiare più nessuno. Il solo pensiero di tornare a combattere mi dà il voltastomaco».
Per radunare un po’ di gente nell’arena locale, appesero decine di fogli ciclostile sui pali della luce di Youngostown. L’uomo che aveva ingolfato Las Vegas con ingaggi da 30 milioni di dollari a notte, in saldo a 25 dollari per una poltrona di prima fila. Il campione in grado di accumulare 200 milioni di dollari di guadagni, ridotto all’accattonaggio di provincia. Secondo la sua più recente dichiarazione dei redditi, deve ancora 11 milioni al fisco, e nel 2005 ha registrato un profitto di 3.000 dollari.
Damon Bingham, figlio di Howard, fotografo personale di Ali e manager di Tyson, pochi giorni dopo ci disse: «Tyson ha ancora un seguito pazzesco. Se lo portiamo in Cina, stai sicuro che riempiamo uno stadio intero. Anche se è solo un’esibizione. Dipende solo da lui».
Dipende da Tyson.
Neanche due mesi dopo quel lancio un po’ rudimentale e grottesco, Mike Tyson è entrato in un club di Scottsdale in Arizona. Quando ne è uscito, con l’opportunismo all’incontrario che ha contraddistinto la sua vita, è andato quasi a sbattere contro un’auto della polizia in sosta. Lo hanno fermato per scoprire che era seriamente alterato. Gli hanno trovato cocaina addosso e lo hanno messo in galera. Niente più Cina, niente più cazzottoni ad effetto.
La notizia di ieri è che Tyson si è ricoverato in una clinica disintossicante. « il passo sulla strada giusta – ha detto il suo avvocato ”, un gesto positivo nella battaglia che sta affrontando per sconfiggere vari tipi di dipendenza».
Ma è soprattutto l’ennesimo capitolo di una spirale diabolica in cui l’ex re dei pesi massimi è caduto quando la sua stella sportiva si è affievolita. Ed è ovviamente il gesto riparatore di un disperato.
Ecco perché. Di tutti i luoghi dove finire nei guai, Scottsdale è il peggiore d’America; così come fu infelice mettere le mani addosso ad una reginetta di bellezza, in una delle contee, Indianapolis, meno tenere coi neri. Scottsdale è territorio di Joe Arpaio, lo sceriffo di origini napoletane che prende le impronte ai bambini, adotta cani da guardia per i detenuti, cui ha tolto un pasto per risparmiare sul budget. Sospettato di torture ai prigionieri, Arpaio ha annunciato: «Se era per me Tyson non sarebbe mai uscito di galera senza cauzione. Avrà la lezione che si merita».
Bill O’Reilly, feroce conservatore della rete Fox, ha dedicato un programma intero alla questione «Tyson», invitando Arpaio a dire la sua, e lanciando una campagna perché l’ex campione venga definitivamente rinchiuso. «E buttata via la chiave», ha detto testualmente l’anchorman.
Mike Tyson ha la residenza in Arizona dove negli anni passati si è segnalato per il suo lavoro sociale a fianco di bambini meno fortunati. La scelta di ricoverarsi in un centro disintossicante (lo stesso che ospitò Lapo Elkann e Kate Moss) è soprattutto una mossa per impietosire il giudice che potrebbe infliggergli 7 anni di prigione, visti i precedenti penali. Per lui questa è un po’ l’ultima ripresa, mancano pochi secondi al gong: servirà il colpo del k.o. per rovesciare il pronostico. Questo Tyson, non sembra in grado di sferrarlo.