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 2008  febbraio 09 Sabato calendario

Il premier di Nuova Delhi: «L’ascesa nostra e di Pechino un dato non reversibile» L’energia e le infrastrutture i settori strategici per la cooperazione con l’Italia DAL NOSTRO INVIATO NUOVA DELHI – Affermata potenza economica, potenza strategica emergente, protagonista assoluta del nuovo multipolarismo che sta cambiando il mondo, l’India tende la mano a un’Italia che con qualche ritardo ne esplora le enormi potenzialità

Il premier di Nuova Delhi: «L’ascesa nostra e di Pechino un dato non reversibile» L’energia e le infrastrutture i settori strategici per la cooperazione con l’Italia DAL NOSTRO INVIATO NUOVA DELHI – Affermata potenza economica, potenza strategica emergente, protagonista assoluta del nuovo multipolarismo che sta cambiando il mondo, l’India tende la mano a un’Italia che con qualche ritardo ne esplora le enormi potenzialità. «Romano Prodi è un mio vecchio amico e riceverà da noi una accoglienza calorosa», assicura il Primo ministro Manmohan Singh nell’intervista concessa al Corriere. Mail presidente del Consiglio, i quattro ministri, il presidente di Confindustria e gli oltre cinquecento imprenditori che da oggi saranno impegnati nell’articolata e lunga missione indiana, non troveranno ad attenderli soltanto sorrisi e disponibilità: alla porta del gigante India bussano le economie del mondo intero, e la competizione sarà fatalmente decisa da proposte e realizzazioni concrete. Signor Primo ministro, in quali settori è possibile prevedere un incremento significativo dei rapporti economici italo-indiani? «Le nostre relazioni sono già buone, e sono in crescita. Imprese indiane investono in Italia nell’Information Technology, nell’automobile, nella farmaceutica, nel tessile, e imprese italiane investono in India nei settori dei macchinari, delle infrastrutture, della chimica, per citare soltanto alcuni esempi. Si può fare di più e vogliamo farlo, vogliamo accrescere la complementarità tra l’eccellenza italiana nel design e nella tecnologia e le capacità manifatturiere indiane. E nel contempo puntiamo a sviluppare ulteriormente, in vista di un nuovo accordo nel 2009, i nostri già eccellenti rapporti con l’insieme dell’Unione Europea». Talvolta gli imprenditori italiani lamentano un accesso al mercato indiano non proprio agevole… «Tutto il business mondiale si affaccia da noi, e si comprende perché. Le nostre riforme continuano, siamo cresciuti dell’8 per cento negli ultimi due anni e nei prossimi quattro vogliamo arrivare al 10 per cento. Ma non ci montiamo la testa. Le regole di accesso al nostro mercato rispettano gli standard internazionali, e del resto il nostro interesse è di attirare il maggiore volume possibile di investimenti. Abbiamo problemi, certo. Come le infrastrutture e la produzione di elettricità. Perciò investiremo in questi settori 500 miliardi di dollari nella prossima decade. Può esservi utile saperlo». Nessuna paura di un eccesso di domanda, dell’inflazione, dell’aumento dei salari e della scarsità di manodopera qualificata? «Ogni processo di crescita produce qualche squilibrio macroeconomico. Ma non sono preoccupato, perché in realtà la nostra strategia è prudente quanto basta. Lei parla di scarsità di manodopera qualificata, ma questo è vero soltanto in settori specifici, e stiamo provvedendo». I critici del miracolo indiano dicono che le disparità sociali sono diventate abissali, che più risorse avrebbero dovuto essere dedicate alla lotta contro l’emarginazione e la povertà… «Hanno ragione e hanno torto. Dal 1980 in poi l’area di povertà si è andata restringendo, era al 50 per cento e oggi siamo tra il 20 e il 25 per cento della popolazione. Si tratta di una differenza di centinaia di milioni di persone. Naturalmente anche questo è inaccettabile, e siamo decisi a utilizzare nuove risorse contro la povertà. Le ineguaglianze sociali sono cosa diversa, ma in fondo pongono le medesime esigenze: educazione, addestramento professionale, coinvolgimento nello sviluppo. una sfida, e l’abbiamo raccolta anche se è vero che si sarebbe potuto fare di più in passato». L’India è ormai prim’attore anche sulla scena politica internazionale. L’accordo di cooperazione nucleare con gli Usa viene visto da alcuni come una mossa per contenere l’influenza cinese: lei che ne pensa? «L’ho sentito dire anch’io, ma siamo fuori rotta. Il presidente Hu è stato qui da poco, con la Cina abbiamo un ottimo rapporto e comunque l’India non può essere usata per contenere questo o quello. L’accordo di cooperazione nucleare civile concluso con l’America ci consentirà di affrontare il fabbisogno energetico tutelando l’ambiente, e conferma l’ottimo rapporto globale tra India e Stati Uniti. Abbiamo valori comuni a cominciare da quelli democratici, e abbiamo anche preoccupazioni comuni». Per esempio sull’Iran, dove l’accesso al nucleare viene invece osteggiato dalla comunità internazionale? «L’Iran è una grande nazione che ha le sue sensibilità e che merita di essere trattata con rispetto. Noi non incoraggiamo in alcun modo l’emergere di un Iran dotato di armamenti nucleari, tanto più che si tratta di un firmatario del Trattato di non-proliferazione. Ma crediamo fermamente che i problemi energetici dell’Iran vadano presi in considerazione, che le maniere forti non servano, che la questione nucleare iraniana debba essere risolta pacificamente con il dialogo tra Teheran e l’Agenzia atomica di Vienna. Questo lo diciamo anche agli americani». Signor Primo ministro, l’India destina all’Afghanistan circa la metà dei suoi aiuti internazionali. Sbaglio o questo è il segno di una grande inquietudine? «Naturalmente lei non sbaglia. Molti Paesi sono impegnati in Afghanistan sul versante militare e su quello civile, e io dico a tutti che bisogna continuare nello sforzo, che bisogna insistere perché la posta in gioco è di enorme importanza. L’India è presente nella ricostruzione e negli aiuti umanitari, siamo convinti che si debbano dare agli afghani più strade, più energia, più scuole, più ospedali. Naturalmente mantenendo un equilibrio con le esigenze di sicurezza cui provvede lo strumento militare. Ma è chiaro che se la popolazione non vedrà migliorare le sue condizioni di vita anche la sicurezza continuerà a deteriorarsi». Ritiene che il Pakistan potrebbe fare di più per stabilizzare l’Afghanistan? «I talebani usano il territorio pakistano per organizzarsi, certamente il Pakistan potrebbe fare di più. I nostri rapporti con il Pakistan sono invece improntati al dialogo costruttivo, e mi propongo di risolvere tutti i problemi bilaterali ancora aperti».  ancora valido il progetto, malvisto dagli Usa, di un gasdotto dall’Iran al Pakistan e all’India? «Abbiamo una grande fame energetica, e siamo decisi a realizzare questo progetto. I negoziati continuano». Cosa le suggerisce la situazione in Iraq? «Che la democrazia non può essere istantanea, che non si può crearla premendo un bottone e nemmeno premendo il grilletto». Molti studiosi credono che proprio la guerra in Iraq stia accelerando il ritorno del multipolarismo, lei è d’accordo? «Sono d’accordo, il mondo di oggi è già multipolare. Soprattutto in economia, perché l’ascesa di India e Cina è un dato non reversibile. Ma non soltanto in economia». Eppure le crisi regionali restano intrattabili, si pensi al Medio Oriente… «Sono estremamente preoccupato per tutta la regione mediorientale. E mi pare chiaro che non esistono soluzioni militari, che nulla può sostituirsi al dialogo inclusivo. La violenza, tutta la violenza, rappresenta un pericolo che dovrebbe essere sradicato specialmente in Medio Oriente». Signor Primo ministro, India e Italia non vedono nello stesso modo la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sarà una nube che peserà sulla visita del suo amico Prodi, questa? «L’India ha espresso la sua volontà di diventare membro permanente del Consiglio e sono sempre più numerosi coloro che riconoscono la validità delle nostre credenziali. L’Italia ha una sua idea della riforma del Consiglio, ma possiamo lavorare insieme alla soluzione dei problemi. Una nube? No, se anche dovesse piovere non sarà certo per dissensi tra Prodi e me». Franco Venturini