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 2004  marzo 24 Mercoledì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 5 FEBBRAIO 2007

Il 27 gennaio a Liuzzi, in Calabria, al termine di una partita di terza categoria (l’ultima del nostro calcio) due giocatori hanno ammazzato a calci Ermanno Licursi, dirigente di 41 anni che voleva fare da paciere (fatale il colpo che gli ha rotto la carotide). [1] Venerdì, a Catania, durante il derby col Palermo, hanno ucciso il poliziotto Filippo Raciti, 38 anni. Un collega: «Era in auto, sotto la curva Nord, quella dei tifosi del Catania. Ha fatto per scendere e, proprio in quel momento, dall’alto, è stata lanciata una bomba carta. L’ha colpito in pieno. E poi gli è esplosa. Un botto tremendo. Io mi sono precipitato per soccorrerlo e lui mi ha detto di non preoccuparmi. Poi è ammutolito. diventato tutto nero ed è svenuto». [2]

«Un morto alla settimana. Ecco il ritmo, agghiacciante, dell’obbrobrio che ci ostiniamo a chiamare calcio» (Roberto Beccantini). [3] Dopo i fatti di Catania, Luca Pancalli, commissario straordinario della Figc, ha disposto lo stop di tutte le attività: «Il calcio in Italia si ferma». Sergio Campana, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori: «Dovrebbe fermarsi un anno». Giuliano Amato, ministro dell’Interno: «A queste condizioni i miei poliziotti negli stadi non ce li mando più». Oggi dovrebbe esserci un vertice con Prodi, Amato e la Melandri (probabile la richiesta di una legge speciale). [4]

A Catania la tragedia era nell’aria. Alfio Sciacca: «C’è chi viene allo stadio senza vedere un solo minuto di partita, ma per insultare o cercare di colpire un agente. Tanto che in una parte dello stadio la sicurezza è garantita a distanza: nessuno va sotto la curva. la conseguenza di quel che avvenne in occasione di un altro derby di fuoco, contro il Messina. Allora un tifoso si sentì, o finse di sentirsi male, e quando gli agenti accorsero in suo aiuto vennero bersagliati con ogni oggetto a disposizione e anche con bombe carta. ”Ormai lo stadio di Catania è peggio di Beirut” aveva detto quella volta il questore di Catania, Michele Capomacchina». [5] Luigi Silvestre, due settimane fa scampato per miracolo a una bomba che gli era arrivata tra i piedi, aveva pronosticato, dal letto d’ospedale dove si trovava con un buco nella gamba: «Ma cosa aspettano a muoversi? Che ci scappi il morto». [6]

Pochi giorni fa il Viminale aveva diffuso i dati sul girone di andata, sottolineando la diminuzione degli scontri con feriti. Unica eccezione: i poliziotti (in un anno da 142 a 202). In particolare i responsabili del ministero dell’Interno segnalavano «l’esigenza ancora attuale di completare, in alcuni impianti, le opere strutturali previste dalla normativa». [7]

Sinora sono state numerose le deroghe concesse a chi doveva mettersi in regola con le nuove norme (rilascio di biglietti nominativi, videosorveglianza dei settori, separatori, presenza degli steward pagati dalle società). Claudio Giardullo del Silp-Cgil: «C’è stata soprattutto un’indulgenza nei confronti di quei rapporti, in molti casi ancora tutti da esplorare, tra società e tifoseria». [7] Negli stadi continua a entrare di tutto: coltelli, fumogeni, razzi, bombe carta. Beccantini: «Il decreto Pisanu rappresentava un discreto, e concreto, argine: è bastata la noia di una fila ai botteghini per smontarlo». [3]

«Ormai è chiaro che la legge Pisanu è meno di un pannicello caldo» (Gianni Mura). [8] Fiorenza Sarzanini: «Il 10 gennaio, in occasione della partita Salernitana-Cavese, un altro dramma era stato sfiorato. I tifosi avevano assaltato le pattuglie lanciando ordigni pieni di pallini di piombo e chiodi. Un poliziotto era rimasto ferito gravemente. Pochi giorni dopo, grazie alla visione dei filmati, la Digos di Salerno aveva identificato undici persone. Ma per loro era scattata soltanto una denuncia e il Daspo, il divieto di entrare allo stadio». [7] Mario Sconcerti: «La domanda allora è questa: bisogna lasciare che il calcio sia battaglia? Bisogna lasciare che le curve rappresentino le città e il senso generale del calcio?». [9]

Delle curve si è impossessata l’ultra destra, che comanda ovunque, gestendo cori, striscioni, cortei e guerriglia. Roberto Renga «C’è pace tra una curva e quella della squadra avversaria. I soldatini del tifo hanno un solo bersaglio: la divisa». [10] Teodoro Buontempo, politico di An noto anche come Er Pecora (nel 2004 ad Aldo Cazzullo): «Negli Anni Settanta, quando la piazza era in mano alla sinistra extraparlamentare, gli ultras imitavano il linguaggio e gli slogan di Lotta continua, di Potere operaio, persino delle Brigate rosse, o rossonere. Ora che del fascismo si parla male come non mai, ecco che nelle curve si riscoprono le canzoni degli Anni Trenta». [11]

«Condanno la violenza. E lo dico sempre, ai ragazzi. Però non dobbiamo dare alle loro parole il significato che intendiamo noi. Sono provocazioni, esagerazioni, miti negativi», diceva Buontempo tre anni fa. Per questo, ha fatto approvare una serie di emendamenti: per punire le società che vendono più biglietti dei posti allo stadio, per rendere più difficile l’arresto dei suoi amici ultras («abbiamo già le norme più severe del mondo») ecc. Sua soluzione: «L’ordine negli stadi non dovrebbe essere assicurato dagli uomini in divisa, ma da agenti in borghese pagati dai responsabili, cioè dalle società. Con la collaborazione dei capitifosi». [11]

Dice: in Inghilterra per tamponare gli hooligan si sono varate leggi adatte. [8] Massimo Moratti, presidente dell’Inter: «Se ci sono riusciti loro, penso che anche in Italia possiamo farcela». [12] Il ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili Giovanna Melandri: «Quando si è sconfitto il fenomeno degli hooligan si è agito su due livelli: da una parte leggi speciali e un giro di vite nelle misure di sicurezza. Dall’altra, una diversa concezione degli stadi. La miglior prevenzione alla violenza è riportare le famiglie negli stadi. Adesso sono impianti brutti e giganteschi, che vengono impiegati solo una volta alla settimana, e che gravano esclusivamente sui bilanci degli enti locali, mentre le società non partecipano in alcun modo alla loro gestione. Bisogna renderle invece più responsabili». [13] Beccantini: «Trovo vergognoso che tutti, da Petrucci a Galliani, continuino a porre l’accento sugli stadi da rifare e non già, o molto meno, sulla cultura da ribaltare. Secondo costoro, un impianto più comodo renderebbe più docili ed educati gli ”abitanti”. una menzogna, l’ennesima». [3]

Come ha fatto l’Inghilterra ad imporsi addirittura come modello? John Foot (sulla Gazzetta nel 2005): «Subito dopo la tragedia dell’Heysel (Liverpool-Juventus, finale della Coppa Campioni 1985 giocata a Bruxelles, 39 morti, ndr), le cose cambiarono poco. La Thatcher si affidò al metodo repressivo. Tutti i tifosi iniziarono ad essere trattati come dei criminali. Negli stadi, alcuni già vecchi e pericolosi di per sé, furono erette barriere di metallo. Qui, in spazi strettissimi, venivano relegati i tifosi. Seguire la propria squadra in trasferta era diventato come stare in uno zoo. La Thatcher cercò anche di introdurre una sorta di carta di identità, senza la quale non si veniva ammessi allo stadio». [14]

L’esperimento non ebbe successo. Foot: «Il 15 aprile del 1989 era in programma la semifinale della FA Cup, tra il Liverpool ed il Nottingham Forest. Si disputava su campo neutro, l’Hillsborough (Sheffield). I tifosi del Liverpool arrivarono in ritardo e furono tutti portati in una di queste gradinate strette e recintate. Quella volta non si trattò né di scontri né di violenza, ma 96 persone, tra cui molti giovani, rimasero schiacciati contro le barriere di metallo. Lo spazio era troppo stretto. Fu una cosa orrenda. Una grande tragedia che segnò per sempre la vita di migliaia di persone. Solamente in seguito a ciò, in gran parte del Regno Unito furono aboliti quei terribili recinti». [14]

Nel ”90, il governo affidò al giudice Peter Taylor un’inchiesta sul disastro di Hillsborough. Foot: «La conclusione fu una sola. Il pericolo più grosso veniva dal fatto che migliaia di tifosi erano costretti a stare in spazi piccoli e in piedi. Ogni partita potenzialmente si sarebbe potuta trasformare in una tragedia. Da allora tutti i più grandi stadi avrebbero dovuto prevedere solo posti a sedere e numerati. Ed i tifosi rimanere seduti per l’intera gara. A seguito del rapporto Taylor, molte società hanno investito ampie somme nella ristrutturazione dei propri stadi. In Inghilterra gli stadi sono di proprietà dei club. Lo Stato sovvenzionò l’operazione». [14]

In Inghilterra la sicurezza all’interno degli stadi è a carico delle società. Foot: «Alcuni club pagano anche per garantire l’ordine all’esterno. Middlesbrough per esempio spende circa 150,000 sterline a stagione (un quarto della spesa annuale) per mantenere il suo stadio sicuro anche fuori dal campo. Come affrontare questi costi, comunque, è una faccenda su cui si sta ancora discutendo. stato anche istituito un servizio d’ordine all’interno delle strutture. Si occupa di vigilare e di allontanare i tifosi esagitati, ubriachi, che fanno uso di motti razzisti o che semplicemente non vogliono stare seduti». [14]

Tutto ciò ha un prezzo per i tifosi. Foot: «Negli anni 70 quando si andava ad un incontro dell’Arsenal, si sentiva la curva cantare per ore prima del match. Oggi andare allo stadio è come andare all’opera, nessuno canta e spesso c’è un profondo silenzio. Tant’è che Highbury è stato soprannominato la ”biblioteca di Highbury”. I tifosi del Manchester non hanno accettato facilmente di dover stare seduti, la società ha dovuto lottare a lungo. Tutto ciò è uno scotto da pagare se si vuole eliminare violenza e razzismo dagli stadi». [14]

Il calcio inglese è cambiato. Foot: «Ho addirittura visto madri con bambini appena nati sugli spalti del campo dell’Arsenal. La questione è: l’Italia potrebbe adottare il modello inglese? Si. Ma prima deve capire esattamente di cosa si tratta. La repressione da sola non è sufficiente. Gli stadi devono essere totalmente controllati e gestiti dalle società. Deve essere vietato il lancio dei razzi e non deve essere permesso mostrare svastiche. La polizia deve iniziare a prevenire la violenza, non semplicemente contenerla». [14]