Varie, 19 gennaio 2007
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ZERNAR Ezio
ZERNAR Ezio. Padova 1964. Poliziotto. Perito balistico. Tra i più importanti d’Italia. Nel 2009 condannato a due anni di carcere, e alla sospensione dai pubblici uffici, al termine del processo per la manomissione di un lamierino di un ordigno trovato intatto ed attribuito ad Unabomber. Zernar è stato ritenuto colpevole di falso, calunnia e violazione della pubblica custodia (vedi ZORNITTA Elvio) • «Il lamierino, dice, quello dell’imbroglio, lui non lo ha nemmeno toccato. Lo ha solo guardato al microscopio. Come gliel’hanno dato, così lo ha restituito. Respinge l’accusa di aver ”fabbricato” la prova che doveva incastrare Zornitta, l’assistente capo di polizia Ezio Zernar, 42 anni, uno dei periti balistici più importanti d’Italia, che si è occupato di casi come quelli di Marta Russo e dei Serenissimi. ”Io non ne so proprio niente, non c’entro con questa storia - ha detto nell’interrogatorio - io il lamierino l’ho trovato così com’era, com’è anche adesso. L’ho esaminato: se qualcuno lo ha manomesso, non sono stato io”. Era una notte di aprile 2006, quando Zernar fece la scoperta che diede una svolta all’inchiesta. ”Non credevo ai miei occhi. Mi sembrava davvero impossibile. Ho guardato l’ora, mi sono alzato, sono uscito qualche minuto a fumarmi una sigaretta per prendere un po’ d’aria. Poi sono rientrato per riguardare il tutto al microscopio. A quel punto non avevo più dubbi, e allora ho pensato a tutti quelli che non mi avevano mai creduto, che mi dicevano che vedevo troppi film”». (r. b., ”la Repubblica” 19/1/2007) • «Erano convinti di averlo in pugno, Unabomber. Ma mancava la prova regina per incastrare l’ingegnere Elvo Zornitta. Così decisero di ”fabbricarla”. Per metterlo alle corde e indurlo a confessare. Per ottenere una proroga sui termini delle indagini in scadenza. Ma anche per dimostrare di essere i più bravi, e di aver risolto un caso che si trascinava da 13 anni, con il pool anti-mostro accusato di essere costoso e inefficiente, e la pressione dell’opinione pubblica ormai insostenibile. in questo quadro che, secondo gli inquirenti, sarebbe maturata la decisione di ”costruire” la prova decisiva, tagliando con le forbici sequestrate all’ingegnere un pezzettino (meno di un millimetro) del lamierino di un ordigno trovato inesploso in una chiesa di Portogruaro, per fare in modo che i segni combaciassero all’esame del ”toolmarks”, il microscopio elettronico. Sono tre le accuse che la Procura di Venezia rivolge a uno dei suoi uomini migliori, Ezio Zernar, responsabile del laboratorio che fa capo alla stessa Procura, dove sarebbe stata fabbricata la falsa prova: falso ideologico in atto pubblico, calunnia, violazione di pubblica custodia di cose. Così finisce, secondo la Procura, la perizia da lui fatta l’anno scorso, la prima delle quattro che sosteneva che erano state le forbici di Zornitta a tagliare il lamierino di un ordigno di Unabomber. Era stato lo stesso ingegnere a segnalare l’anomalia del lamierino, leggermente più corto del reperto originale, in un esposto presentato il 10 gennaio. ”Ma il nome di Zernar noi non lo abbiamo mai fatto”, precisa Paolo Dell’Agnolo, uno dei suoi legali. Il nome di Zernar salta fuori perché è nel suo laboratorio, in una palazzina dell’Asl di Mestre, che sarebbe stato fatto il pasticcio. Perché è a lui che erano stati affidati in custodia le forbici e il lamierino. Perché solo lui aveva la chiave per aprire l’armadio dov’erano riposti. Perché era stato lui, nel marzo scorso, a chiedere agli uomini del pool di andare a sequestrare a casa di Zornitta ”tutti gli oggetti da taglio” che trovavano. Perché era stato lui a proporre e a insistere per eseguire la prova del ”toolmarks” a cui nessuno pensava. E perché infine, appena una settimana dopo essere entrato in possesso di otto forbici di Zornitta, aveva scoperto che una di queste aveva tagliato quel lamierino. Ora Zernar nega di aver truccato le carte. Gli inquirenti pensano invece che sia stato lui. Anche se non escludono, in linea teorica, altre due possibilità: che il lamierino sia stato tagliato da qualcuno che si è introdotto di nascosto nel laboratorio al quale avevano accesso solo Zernar e un’altra persona, o da qualcuno degli uomini del pool, quaranta tra poliziotti e carabinieri, che avevano in custodia il lamierino nell’aula bunker di Mestre, chiuso in un sacchetto di cellophane dentro un armadio, e che avevano avuto tra le mani anche le forbici di Zornitta, sia pure per poco tempo: dal momento del sequestro a quello della consegna al laboratorio. Quanto al perché del falso, gli inquirenti propendono per la tesi legata alla ”necessità” di chiudere presto il caso incastrando quello che ritenevano (e alcuni ancora ritengono) essere Unabomber. Sono propensi invece a scartare l’ipotesi che qualcuno, tra gli investigatori, abbia voluto ”coprire” il vero Unabomber incolpando un innocente. Ma sono costretti a considerare l’ipotesi più inquietante: che Unabomber si nasconda sotto una divisa. Che questa storia sia come quella della Uno bianca. ”Un pensiero che non ci aveva nemmeno mai sfiorato”, dice uno degli inquirenti. Quello che appare certo, con il pool sconfitto e la sua credibilità distrutta, è che qualche testa salterà. Che Zornitta uscirà dall’indagine con tante scuse e un cospicuo risarcimento, e che l’inchiesta ripartirà da zero. ”Ci sentiamo traditi. Siamo stati ingannati e raggirati anche noi”, è lo sfogo amaro del procuratore generale di Trieste Beniamino Deidda» (Roberto Bianchin, ”la Repubblica” 19/1/2007) . «[...] [...] residente in un paese del Padovano, sposato con due figli, un tipo schivo che non ama i riflettori [...] Dottor Jekyll e mister Hyde? Può darsi. Fino a ieri Zernar, studi balistici in Gran Bretagna e Usa, era il perito di casi giudiziari famosi: Marta Russo, i Serenissimi, la strage di via d’Amelio. [...]» (Marisa Fumagalli, ”Corriere della Sera” 19/1/2007) • «Z& Z, il ribaltone: morto un mostro se ne fa un altro, e anche stavolta ha la faccia qualunque di un uomo riservato e pignolo, e un cognome che inizia con la zeta. [...] Antonio Fojadelli, procuratore capo di Treviso, il magistrato che vent’anni fa incoraggiò il giovane poliziotto ansioso di fare pratica nel nascente Centro Indagini Criminologiche di Mestre, mette le mani avanti: si sente di parlare di Zernar ”in termini esclusivamente elogiativi”. E lui snocciola: ”Persona puntigliosa, precisa, preparata, ha sempre goduto della fiducia, più che fondata, dei magistrati. Tranquillo padre di famiglia, vita normale. Investigatore meticoloso, da tavolino e da microscopio”. Opposto e speculare Insomma un bravo tecnico, improbabile inquinatore di prove, quasi all’opposto speculare di quell’altro bravo tecnico, l’improbabile bombarolo di Azzano Decimo che Zernar con la sua perizia avrebbe dovuto incastrare. [...] Del lavoro del provetto perito balistico (studi a Londra in seno a Scotland Yard, incarichi prestigiosi in Italia e all’estero, un lavoro scrupoloso nelle indagini sulla morte di Marta Russo, un altro sulle armi sequestrate ai Serenissimi nell’assalto al campanile di San Marco) sulle forbici sequestrate a Zornitta, diceva fino all’altro giorno Ennio Fortuna, procuratore generale di Venezia, che ”è raro trovare una perizia che si spinge in questi termini di certezza”. Praticamente, ”la prova del 9”, quella che deve sempre venire. [...] l’avvocato Maurizio Paniz, difensore di Zornitta, presentò un esposto lo scorso 10 gennaio, ”da difensore, non certo da accusatore”, dove si metteva in dubbio che il pezzo di lamierino usato per effettuare la ”prova del nove” non avesse (più) le stesse dimensioni di quello trovato nella bomba inesplosa a Portogruaro nell’aprile del 2004. E ci sta l’ipotesi suggestiva, mezza confermata dallo stesso interessato, che sia stato proprio Zornitta ad accorgersene per primo, da tecnico, ispirando la controperizia. Z contro Z, la vendetta. [...] Torchiato per ore Zernar, torchiato per un’intera notte, avrebbe riconosciuto la manomissione ma negato ogni responsabilità, e si difende con puntigliosa precisione, la stessa con cui aveva ottenuto di poter utilizzare, per incastrare Zornitta, un sistema di indagine completamente nuovo qui da noi, il ”Toolmark”. Raccontano che tra le tanti forbici trovate in casa dell’ingegnere sospettato, un unico paio avesse attirato la sua attenzione, e che sperimentare il nuovo test che elabora le impronte lasciate da strumenti da taglio fosse il suo pensiero fisso. Ora che il riservato investigatore da tavolino e da microscopio è in un mare di guai, qualcuno ricorda che solo una volta vinse la sua proverbiale ritrosia per confessare un sentimento: fu quando pensò che la prova del nove stesse venendo. [...]» (Stefania Miretti, ”La Stampa” 19/1/2007) • «L’aveva detto agli inquirenti: ”Lavoriamo sul toolmark che è una scienza seria e può portare a risultati sorprendenti”. Ma ci credeva solo lui. Perché solo lui aveva studiato quella tecnica al Forensic science associated di Harrogate, un istituto universitario immerso nelle alte brughiere della contea del North Yorkshire, in Inghilterra. Ha lavorato così in grande solitudine: le forbici, il microscopio comparatore e quell’idea fissa di poter incastrare Unabomber partendo da una microtraccia. ”Hai visto troppi film, Ezio”, gli dicevano i colleghi. Ma lui, Ezio Zernar, il poliziotto più cocciuto del Laboratorio di indagini criminalistiche della procura di Venezia, è andato avanti ugualmente dando ascolto solo a se stesso e a un piccolo indizio che aveva scovato sotto le lenti del suo Leitz, una sorta di Ferrari dell’ingrandimento. Quel piccolo indizio che sembrava essere diventato l’elemento decisivo per mettere fine al mistero del serial bomber del Nord-Est. Ma che martedì 16 gennaio si è rivelato quasi un giallo nel giallo. Con uno dei colpi di scena che tante volte hanno segnato la storia di questa inchiesta, tanto lunga quanto infruttuosa, una controperizia della difesa ha spinto anche i magistrati di Venezia e Trieste a dubitare. [...] Zernar resta convinto del suo lavoro. La sua e quella di Unabomber sembrano vite parallele: una caccia solitaria condotta in laboratorio, chino su macchinari così come il ”bombarolo folle” deve avere passato le ore a congegnare micro-ordigni. Poi esplorando un filo di rame come se fosse un cratere lunare, il tecnico della procura aveva trovato una duna e una valle sospette. Troppo poco per dire sì, ma abbastanza per scommetterci le notti di marzo e aprile 2006. ”Mi son messo a lavorare senza sosta, per due mesi, fino a notte fonda. Ho passato centinaia di reperti, non solo forbici, anche cacciaviti, fili, pinze. Tutto materiale sequestrato dal pool interforze che io analizzavo al microscopio comparandolo con i reperti trovati nei luoghi degli attentati. Naturalmente non posso scendere nei particolari”. Poi ha iniziato a confrontare la ”parete” tagliata di un lamierino d’ottone, cioè uno spessore di 0,37 millimetri, usato da Unabomber per fabbricare l’accendino esplosivo rinvenuto il primo aprile 2004 a Portogruaro. Di qua il lamierino, di là varie forbici. Reperto 27: negativo. Reperto 42: negativo. Finché una notte di fine aprile dello scorso anno, un quarto d’ora prima di spegnere le luci del laboratorio, successe quello che aveva sognato per mesi. Il reperto 63 non era come gli altri. ”Non credevo a quello che vedevo. Ricordo di essermi strofinato gli occhi pensando a un’allucinazione da stanchezza. Ero lì da molte ore e quando stai lì a guardare vetrini e solchi per molto tempo a volte ti succede di vedere una cosa per un’altra. Ricordo benissimo quei momenti. Ho guardato l’ora, le 2 e 15, mi sono alzato. Ho detto: rilassati. Sono uscito dal laboratorio, mi sono fumato la sigaretta più veloce della mia vita, sono rientrato a riguardare il monitor del microscopio e a quel punto ho chiuso i pugni: sì! Erano perfettamente coincidenti. Il lamierino d’ottone era stato tagliato con quelle forbici. E lì mi son messo a ridere da solo”. Il reperto 63 era risultato positivo all’esame del toolmarks, il test al microscopio dal quale si può capire se un una superficie metallica è entrata in contatto con un certo utensile grazie alle mini-incisioni chiamate microstrie. Cioè, il pezzo d’ottone sagomato a forma di barchetta trovato in una delle 28 bombe disseminate fra il 1993 e il 2006, era passato fra quelle piccole lame d’acciaio di una semplice forbice da elettricista, quella che risulta sequestrata il 24 marzo 2006 nel ”capanno segreto” dell’ingegner Elvo Zornitta di Azzano Decimo (Pordenone). Il poliziotto aveva fatto centro e quella lama sarebbe diventata di lì a qualche mese la più famosa d’Italia: marca Valex, lunghezza 14,5 centimetri, manici rivestiti di plastica rossa. Una scoperta fatta da un detective solitario con il pallino della fisica meccanica, della balistica. Il quarantaduenne padovano Zernar, responsabile tecnico del Laboratorio di Indagini criminalistiche di Venezia e ora consulente per conto della Procura di Trieste, una moglie e due bimbe, non sapeva ancora che quella conquista era solo l’inizio di un tortuosissimo percorso. Tipo schivo, Zernar, determinato, puntiglioso. E, soprattutto, un tecnico in divisa che non fa parte del super-pool investigativo. Non uno dei carabinieri del Ris di Parma, né gli agenti in camice bianco della Polizia scientifica di Roma. stato lui, un anomalo investigatore con la passione del microscopio. Un uomo che ha creduto in un’impresa impossibile, che ama il suo lavoro, le analisi, le scienze applicate, che è arrivato addirittura a farsi un ufficio tutto suo, privato, con tanto di Leitz, microscopio biologico e ogni sorta di diavoleria riguardante indagini balistiche. ”Sei un matto, Zernar”, scherzavano i colleghi, ma fino a un certo punto. Zernar ci mette sempre qualche secondo prima di rispondere, riflette, pensa e poi parla come un matematico: ”Il toolmarks fornisce una certezza tecnica che non è una certezza assoluta. Mi spiego: la certezza assoluta non si ha mai, neppure con le impronte digitali, neppure con il Dna. Perché c’è sempre una probabilità infinitesimale che il codice biologico trovi un replicante”. Quando Zernar ha visto combaciare le microstrie delle forbici sequestrate all’ingegner Zornitta ha subito avuto la sensazione di essere di fronte a un caso di questo tipo. ”Sentivo che il reperto era quello giusto, ma dovevo documentare e spiegare l’unicità della cosa, difficile da capire per un profano di questa tecnica”. Doveva cioè innanzitutto convincere gli inquirenti che si trattava di un esame serio, di un’investigazione scientifica efficace, molto utilizzata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ma semisconosciuta in Italia. Si è così tuffato nei cicli di lavorazione delle Valex, prodotte da una fabbrica nel Lecchese. Ha seguito lo stampaggio, la sbavatura, il trattamento termico, l’aggiustaggio, i collaudi. Alla fine ha provato che la differenza la fa una macchina e un operaio. La macchina è una mola rotante, ruvida, che sagoma e affila le lame, marchiando ogni pezzo con un gran numero di microstriature. L’operaio verifica invece la perfetta chiusura delle due lame, usando incudine e martello. In definitiva la forbice è unica, lascia tracce uniche e il lamierino della bomba era stato modellato da quelle lame. Zernar ha messo tutto insieme e ha così bussato alla porta del procuratore capo Vittorio Borraccetti. Il quale, sapendo che la posta in gioco era alta, ha pensato di procedere a due ulteriori verifiche, con il Ris di Parma e con la Polizia scientifica di Roma. Entrambi hanno sfornato esiti positivi. Poi è arrivato il procuratore capo di Trieste, Nicola Maria Pace, che ha voluto stringere i tempi, cercando di congelare la prova attraverso un incidente probatorio. Cioè l’ennesimo giudizio, questo super partes, affidato a due periti di fama: Pietro Benedetti, ex responsabile del Banco di prova nazionale delle armi di Gardone Val Trompia (Brescia) e un’istituzione in materia: il superdetective dell’Fbi Carlo John Rosati. Tre mesi di lavoro, affiancati dai quattro consulenti di parte, fra cui Zernar per l’accusa. Poi il verdetto peritale: sì, le forbici sono quelle di Unabomber. ”Ma teniamo conto che la prova si forma a dibattimento e che dall’altra parte c’è sempre un uomo e una famiglia e che questa certezza tecnica riguarda solo una piccola forbicetta che ha tagliato un lamierino ancora più piccolo”. Come dire: io ho esaminato quello che mi è stato consegnato. Ma non si sa ancora chi abbia usato le forbici repertate nel ”capanno segreto”. E quanto profondi siano i dubbi instillati dagli avvocati, in una catena di misteri che pare senza fine» (Andrea Pasqualetto, ”L’espresso” 25/1/2007).