varie, 12 gennaio 2007
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Pivot Bernard
• Lione (Francia) 5 maggio 1935 • «[...] l’ideatore delle trasmissioni culturali di ”France2” Apostrophes (’Apostrofi”) e Bouillon de culture (’Brodo di cultura”) ha mantenuto intatti il suo entusiasmo e la sua gioviale curiosità. [...] nel 1973 [...] presenta ”Ouvrez les guillemets” (’Aperte le virgolette”). A 38 anni, senza preparazione, si immerge nella diretta tv. ”Per me, giornalista della carta stampata, era una vera sfida. Quando mi proposero di condurre quella trasmissione, orgoglio e contentezza prevalsero sulla lucidità. Ma pochi giorni, poche ore, pochi minuti prima della diretta, fu un’altra cosa! Non avendo esperienza di tv, ero come una farfalla terrorizzata dalla luce. Quando cominciò il conto alla rovescia, ero nel panico… E poi il miracolo della diretta. Ho dimenticato le telecamere, i tecnici, e ho posto le domande ai miei invitati come fossimo in un salotto. O quasi! [...] Jacqueline Baudrier mi disse tre cose: ”La trasmissione non era buona’, ”Non metta più quell’orribile giacca’ e ”Senza dubbio, lei è fatto per la televisione…’. Allora non sapevo di imbarcarmi per quasi trent’anni di piccolo schermo [...] da bambino mi piaceva leggere tutta la stampa che mi capitava sotto mano. Un giorno un parente mi disse: ”Visto che ti piacciono tanto i giornali, scrivici!’. L’idea non mi sembrava male, anche se mi sentivo incapace di diventare giornalista… [...] Ho sempre dubitato un po’ delle mie capacità. Paradossalmente, credo sia stato proprio questo a salvarmi in televisione. una buona regola di vita non ritenersi il migliore [...] Ero un bambino molto impacciato. Sentivo il peso di un’educazione severa. I miei genitori erano molto occupati dal loro negozio, sono stato 5 anni in collegio al Saint-Louis di Lione, dai Fratelli del Sacro Cuore. I miei genitori volevano che i figli ricevessero un’educazione ”seria’, ricca di principi morali e religiosi. Con i grandi princìpi non si scherza: nella vita ci sono cose che si fanno e altre che non si fanno. Certo, talvolta era un po’ duro, ma credo che in seguito mi abbia aiutato molto [...] Adoravo lo sport, in particolare il calcio. I Fratelli del Sacro-Cuore hanno saputo aprire quel bambino solitario e po’ chiuso alla dimensione collettiva dello sport e alla necessità di imparare a vincersi. Gliene sono molto riconoscente. Nella mia carriera penso di avere conservato sempre, anche grazie a loro, lo spirito di squadra… Non ho mai dimenticato che le trasmissioni che presentavo erano una storia collettiva [...] Ero immerso, a casa come a scuola, in un universo fortemente intriso di cattolicesimo. I miei genitori erano credenti, praticanti. Mia madre ci faceva dire le preghiere… Allievo piuttosto medio, anche mediocre, l’unico premio di fine anno che abbia ricevuto in tutta la mia carriera collegiale fu di catechismo! Ho servito la messa per anni [...] Ho buoni ricordi. Mi piaceva cantare in latino, anche se non capivo assolutamente nulla! Solo una cosa andava male: la preghiera della domenica sera, prima di cena, quando rientravamo al collegio. Mi veniva il magone. L’odore di sacrestia, poi di cucina, non aiutava [...] Ho cercato di conservare l’esigenza di onestà, verità, spirito di squadra. La tv fa girare la testa a molti giornalisti e conduttori. Ho vissuto il mio lavoro con passione ma sempre con la distanza necessaria a non prendermi troppo sul serio”. [...] avrebbe potuto, come molti, crearsi una società di produzione, vendere la sua immagine alla pubblicità. Potrebbe essere molto più ricco. Ha cercato gelosamente di restare un ”artigiano”. ”Anzitutto avevo coscienza dei miei limiti: non ho l’anima dell’amministratore. E poi, se fossi diventato proprietario di una società che vende programmi alle tv, avrei dovuto rinunciare a parte della mia libertà. Sarei stato costretto, in nome dell’audience, a non invitare scrittori sconosciuti e a puntare sul sicuro intervistando solo star della letteratura. Sono rimasto fedele al servizio pubblico. Per anni, i miei contratti venivano rinnovati settimana per settimana, poi - che lusso! - mese per mese, senza la sicurezza del posto. Ma non ho rimpianti: non ho fatto fortuna però sono rimasto libero [...] I grandi scrittori sono indubbiamente più dei ”maestri’ che ”maestri di vita’. La loro vita privata è talvolta piena di disordini e abissi. Ed è proprio tale turbolenza a nutrire la loro opera [...] Al pubblico piacerebbe che l’uomo privato assomigliasse, nella vita, alla sua opera. Raramente accade. Quando invitavo scrittori in tv non cercavo di presentarli come uomini e donne di cui seguire l’esempio. Cercavo semplicemente di far scoprire la loro opera [...] Le mie domande non sono mai alimentate dai miei interrogativi o dalle mie angosce sulla vita. Intervistavo gli scrittori per curiosità e per il desiderio di entrare meglio nella loro opera. Non per ricerca metafisica personale [...] Io sono come molti esseri su questa terra: ci sono momenti in cui credo in Dio e altri in cui non ci credo affatto… La bellezza della natura e la bellezza della cultura mi fanno credere che Dio esiste. Come dubitare della sua esistenza quando ascolto un’opera di Bach o quando guardo un quadro di Rembrandt o di Vermeer? Come non vedere il dito di Dio contemplando il mare? In tali momenti di grazia, non dubito che alla fonte di tanta bellezza ci sia una Presenza… Ma, altre volte, non posso chiudere gli occhi sulla crudeltà del mondo. Questa natura che ammiro tanto, so che è anche una giungla dove le specie ingaggiano una guerra senza scampo, dove ogni vivente si nutre della morte dell’altro. Divorare o essere divorato! Trovo allora il Creatore crudele, mostruoso… Senza neanche evocare la spaventosa malvagità umana poiché, qui almeno, si può pensare che l’uomo è libero di fare il male e che Dio non ne sia direttamente responsabile” [...] Come un rito, alla fine di ”Apostrophes” [...] poneva ai suoi invitati una domanda: ”Se Dio esiste, cosa vorrebbe che le dicesse quando l’accoglierà lassù?”. [...]» (Bertrand Révillion, ”Avvenire” 11/1/2007).