La Stampa 17/12/2006, pag.33, 17 dicembre 2006
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Regno Unito
Polistil, Subbuteo, Barbie. La Stampa 17 dicembre 2006. Le piste Polistil sono morte, il Subbuteo quasi e anche il Lego non si sente troppo bene
Polistil, Subbuteo, Barbie. La Stampa 17 dicembre 2006. Le piste Polistil sono morte, il Subbuteo quasi e anche il Lego non si sente troppo bene. Il mondo dei giocattoli non è proprio come ce lo si immagina. Andatelo a chiedere alla Barbie, 50 anni sulla breccia e poi arrivano le Bratz: cinque ragazzine tutte shopping ed Mtv che ti detronizzano in un amen. La crisi ha coinvolto anche la vita privata della bionda americana. Inevitabile la separazione con Ken, ma anche la nuova vita da single non ha aiutato la Barbie a ricostruirsi un’immagine più appetibile per le nuove generazioni. Dopo quattro anni di segni negativi, solo ultimamente si vede una luce in fondo al tunnel. Piacere tutti i giorni, soprattutto ai bambini, è una guerra. Basta dare un’occhiata sugli scaffali dei giocattolai in questi giorni sotto Natale. Qualcuno ha scorto la confezione di un trenino Lima? Difficile. La fabbrica italiana che raggruppava marchi come Rivarossi, Jouef, Arnold e Pocher è entrata in crisi anni fa. Nel 2003 aveva un giro d’affari di 9,2 milioni di euro, ma faticava a fronteggiare le perdite (7,1 milioni). Ormai i suoi trenini erano più per adulti appassionati e danarosi che non per bambini alla ricerca di un sorriso. E alla fine è arrivata l’offerta dell’inglese Hornby: 8 milioni di euro per rilevare gli asset della ditta italiana e un piano di rilancio che prevedeva di delocalizzare in Cina. I sindacati, per un po’ hanno protestato, poi si sono resi conto che non si poteva perdere anche questo treno. Il virtuale e i giochi elettronici sono concorrenti senza scrupoli. Le nuove generazioni sono stregate, e ai cari vecchi balocchi non resta che puntare sugli ultratrentenni e sull’effetto nostalgia. Le piste Polistil, un tempo monopoliste del mondo «slot e macchinine radiocomandate», non esistono più. Nel 1994 il marchio è stato acquistato dalla B Burago. Poi è scomparso. Il mondo degli appassionati ha vissuto sotterraneamente per dieci anni, ripulendo cantine e accaparrandosi scarti di magazzino. Poi sono finiti anche quelli e ci si è reinventati artigiani pur di portare avanti il proprio sogno. Oggi le piste sono tornate di moda, grazie a spagnoli e inglesi. stata introdotta l’elettronica che consente il sorpasso. La nicchia sopravvive, ma senza Polistil. Un altro storico gioco è sopravvissuto solo grazie all’affetto dei suoi fan. Nel 2000 la Hasbro, proprietaria del Subbuteo, aveva deciso di interrompere la produzione del famoso gioco del calcio da tavolo. Le vendite erano in picchiata. Meglio premere il tasto di un joystick piuttosto che impazzire in ore d’allenamento per raggiungere la necessaria sensibilità digitale per sfidarsi sul panno verde, dovevano pensare i clienti. Appena dato l’annuncio, la sede della ditta inglese è stata subissata da lettere di protesta provenienti da tutto il mondo. Sei giorni dopo i vertici della Hasbro hanno dovuto cedere promettendo che avrebbero continuato a produrre il Subbuteo. Le scatole, però, sono quasi impossili da trovare. Ci sono degli emuli, nuovi concorrenti. Ma anche qui il gioco nato nel 1947 non ha superato brillantemente la crisi del mezzo secolo. Anche il Lego ha rischiato di crollare. Nel 2005 l’azienda danese dei famosi mattoncini è tornata in attivo (68 milioni di utile netto) e anche il primo semestre 2006 ha registrato un aumento del fatturato del 19%. Ma questo dopo tre anni di bilanci in perdita e solo grazie a una violentissima ristrutturazione. Il piano di rilancio prevede il licenziamento, tra il 2007 e il 2010, di 900 dei 1200 dipendenti dello storico stabilimento di Billund. La produzione è stata delocalizzata quasi tutta nella Repubblica Ceca e la stessa politica è stata adottata negli Usa, con il trasferimento di 300 dipendenti in Messico. E dire che nel 2004 era stato eletto miglior giocattolo del secolo, sbaragliando persino la concorrenza dell’orsetto di pelouches. Masticano amaro anche gli appassionati del Meccano, il gioco per ingegneri in erba con aste, viti e bulloni nato addirittura nel 1901. La sua debacle è cominciata nel 1990 e si è protratta per dodici anni. Alla fine è arrivata un’azienda giapponese, la Nikko, a salvarla. Ha rilevato la ditta francese e ha mantenuto i 150 operai dello stabilimento di Calais. Ha tentato di rilanciare il gioco, ma il Meccano figlio della prima rivoluzione industriale non esiste più. Oggi la duttilità è stata sostituita: le scatole del Meccano, costosissime, sono moduli predefiniti per costruire maialini, poliziotti, insettoni. Per gli appassionati «ci si è venduti l’anima ai poco fantasiosi nipponici». Sarà un caso, ma la Nikko, i guadagni, li fa con altro: giochi elettronici.