La Stampa 28/10/2006, pag.22 Marco Rosci, 28 ottobre 2006
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Turner e i suoi fratelli. La Stampa 28 Ottobre 2006. Brescia. La mostra oceanica di 281 dipinti che ha come titolo «Turner e gli impressionisti» e come sottotitolo «La grande storia del paesaggio moderno in Europa» (al Museo di Santa Giulia di Brescia, da oggi al 25 marzo) è una nuova scommessa, nel suo insieme vincente, di Marco Goldin
Turner e i suoi fratelli. La Stampa 28 Ottobre 2006. Brescia. La mostra oceanica di 281 dipinti che ha come titolo «Turner e gli impressionisti» e come sottotitolo «La grande storia del paesaggio moderno in Europa» (al Museo di Santa Giulia di Brescia, da oggi al 25 marzo) è una nuova scommessa, nel suo insieme vincente, di Marco Goldin. Il filo rosso fra genere, linguaggio e storia proposto dall’ideatore e curatore corre fra gli inglesi coetanei Constable (nato nel 1773) e Turner (nato nel 1775) e l’apertura finale al XX secolo, trionfale nell’ultimo Monet passeggiante con Clemenceau fra i glicini di Givenchy nella foto in catalogo, ma messa un poco nell’angolo dalla fluviale massa degli impressionisti alle spalle nel caso delle tre splendide vedute di marina e di villaggio scandite fra 1887 e 1889 dal divisionista Signac. Lo spirito di fondo, fra letterario e poetico, emerge senza infingimenti dalle prime righe dell’introduzione di Goldin nel catalogo di Linea d’Ombra: «Natura, che è quanto viene prima di tutto, sta nella mente stessa dell’universo, nel cuore del mondo. Paesaggio, che è quanto viene a seguito dell’essere natura della natura, nelle forme che sono affiorate dal confronto con la Storia». Uno spirito e un atteggiamento culturale rari e singolari nell’oggi. Il marchio di questo spirito, che Goldin vede al suo culmine, con sublime contraddizione proprio nel presunto «positivismo» degli impressionisti, egli lo imprime nella saletta di introduzione, che ospita a semplificazione estrema due pastelli di paesaggio in giallo, arancio e grigio di Degas dei primi anni 1890 e l’altrettanto estrema evanescenza in verdazzurro e in azzurro di due ponti di Londra di Monet del 1901. Non so quanto il visitatore all’esordio saprà e potrà assaporare la poesia dolce e profumata, molto proustiana, di questa prima saletta. certo e assicurato l’effetto shock nella prima sala corridoio (l’allestimento è perfetto nella sua sequenza lineare, da mostra periodica di società artistica ottocentesca) con l’alternarsi a confronto della naturalità romantica di Constable, in cui coesistono intorno al 1820 la lucidità ancora illuministica di Malvern Hall e il grande respiro di piana e di cielo della Veduta di Salisbury, accompagnata dalle stupende carte degli studi di nuvole, e dello sviluppo cinquantennale di Turner. Esso corre dai castelli protoromantici del Galles a cavallo dei due secoli, vicini a Constable, a due capisaldi come la marina di Sheerness del 1808 e il fantastico Paesaggio del Sud del 1828, dalla serie degli acquerelli con la loro rivoluzione di pura luce allo sfacimento cosmico negli anni 40 del Lago e della Valle d’Aosta. Subito dopo, e qui è il limite di una sorta di volontà enciclopedica della linea francese, compare lo stridore del paesaggio classico accademico, salvo il capofila Valenciennes, con i suoi studi di cieli romani, che anticipano intorno al 1780 quelli inglesi di Constable e preannunciano, in sezioni più oltre, quelli di Caillebotte degli anni 1870. Qui giungiamo nel cuore della complessa architettura di incroci e di rimandi lungo il corso fluviale dei tempi, delle personalità guida e minori ma significative (un Huet, un Harpignies, un Guigou, fra gli impressionisti un Guillaumin e un Caillebotte), delle linee di tendenza da Monet ai pittori di Barbizon, Daubigny in prima fila, dalla realtà tangibile anche nella materia della luce dei boschi e delle rupi di Courbet alle radici degli impressionisti. I legami «interni» sono talora ottimamente proposti, come negli incroci fra i maestri di Barbizon, Courbet e gli esordi negli anni 60 di Pissarro, Sisley, Monet, Cézanne. Alcune sequenze di blocchi monografici frammentati nel tempo sono entusiasmanti anche nella qualità delle opere (Corot, le alternanze lungo gli anni 1870 e 80 di Sisley, Monet e Pissarro). Il caso più ammirevole è la risoluzione, con l’evidenza di presentazione di due capolavori del 1894, del momento fra i più alti della stagione impressionista, quello delle due sequenze di Monet della cattedrale di Rouen e di Sisley di Notre-Dame a Moret. Tutto questo esige però dal visitatore un’attenzione, in qualche modo fra storica e critica, non «consumistica». A ciò si aggiunge, a partire dalla nascita dell’Impressionismo, una nuova impostazione, tematica: i villaggi nelle varie stagioni, regno di Sisley, Pissarro, Cézanne; Parigi, regno di Monet, Pissarro con due splendide Montmartre di Van Gogh; fiumi, da Corot a Sisley, Monet, Pissarro; la campagna, dominata da Van Gogh, Gauguin, Cézanne, Monet; i porti, da Jongkind e Boudin a Pissarro; il mare, tema infinito da Daubigny e Courbet alle meraviglie di Monet dalla Bretagna al Mediterraneo e a Signac. Trionfo e fanfara finali di Monet, dall’Olanda all’Inghilterra, da Londra a Venezia, al ben noto preannuncio dell’informale fra le ninfee e i glicini di Givenchy. Non solo le mostre bresciane: sempre oggi, a Firenze, nella sede delle Leopoldine in piazza Santa Maria Novella, nasce il Mnaf, Museo Nazionale Alinari della Fotografia, che si allarga a tutta la storia della fotografia italiana e mondiale, dall’800 a oggi. A Napoli, invece, si è aperta ieri (fino al 30 gennaio) a Castel Sant’Elmo «Campi Flegrei: tra mito e realtà», con un centinaio di dipinti, disegni e preziosi esemplari cartografici dal ”500 all’800. Ancora a Napoli, presso il Museo Madre, prosegue fino all’8 gennaio la mostra di Bruce Nauman «Make Me Think Me». Marco Rosci