Il Sole 24 Ore 22/10/2006, pag.51 Harvey Sachs, 22 ottobre 2006
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Et voilà Vollard. Il Sole 24 Ore 22 ottobre 2006. "Ce voleur d’un Vollard!" "Quel ladro di un Vollard!"
Et voilà Vollard. Il Sole 24 Ore 22 ottobre 2006. "Ce voleur d’un Vollard!" "Quel ladro di un Vollard!". La versione italiana di questa frase non ha lo stesso effetto allitterativo di quella originale, che fu esclamata spesso da Georges Rouault; il quale tuttavia quasi sempre affidava i suoi quadri al celebre mercante d’arte Ambroise Vollard, dipendeva dai giudizi anche artistici di quest’ultimo e lo considerava il suo migliore amico. E se Rouault, come tanti altri artisti francesi o di area francese del primo ’900, conobbe successi non solo "d’estime" ma anche "di tasca", gran parte del merito va attribuita all’uomo che per una quarantina d’anni dominò il mercato d’arte moderna. Idea brillante, quella di fare di un astuto uomo d’affari il perno di una delle più splendide mostre degli ultimi anni al favoloso Metropolitan Museum di New York. Non perché il benessere del Met dipenda da astuti uomini e donne d’affari disposti a sborsare grosse somme per assicurare il futuro della grande istituzione, e che magari si sentono solleticati da una mostra dedicata a un loro consimile, ma perché, tramite "Cézanneto Picasso: Ambroise Vollard, Patron of the Avant-Garde", gli organizzatori della mostra hanno voluto far capire come un mercante che amava profondamente l’arte visiva della propria epoca abbia potuto fungere da forza motrice per alcuni tra i più significativi spiriti creatori del secolo scorso. Strana, stranissima, la storia di questo piccolo borghese francese nato nel 1866 sull’isola di Réunion, dipartimento francese "oltremare" a est di Madagascar. Oggi, tre quarti dei quasi 800mila abitanti di Réunion possiedono telefoni cellulari e 200mila sono allacciati a Internet; nell’800, però, vivere su un fazzoletto di terra in mezzo all’Oceano Indiano significava l’isolamento pressoché totale dalla vita culturale della madre patria. Per fortuna sua, i genitori di Vollard lo inviarono in Francia, dopo il liceo, per farlo diventare avvocato, ma i tribunali della Repubblica lo interessavano molto meno delle stampe che i "bouquinistes" sulle rive della Senna cercavano di vendergli. Con i pochi soldi a disposizione ne comprò qualcuna, e ben presto scoprì di avere un talento innato per la rivendita dei suoi acquisti a prezzi superiori a quelli che aveva pagato. Aprì una piccola galleria d’arte, dove le prime mostre - che comprendevano disegni di Manet, morto dieci anni prima - furono notate da Maurice Denis, e da lì a poco Vollard iniziò a vendere quadri di tutto il gruppo dei "Nabis": Bonnard, Vuillard e lo stesso Denis, tra gli altri. Nel 1895 Vollard organizzò una mostra per un tipo strambo che si era allontanato decenni prima dall’ambiente parigino per poter lavorare in pace nella sua natia Provenza, cosicché persino gli addetti ai lavori nemmeno sapevano se fosse vivo o morto: Paul Cézanne. Il successo di quella mostra, che comprendeva ben 150 quadri ottenuti tramite il figlio del pittore, avviò la grande scoperta mondiale di Cézanne, il quale rimase per il resto della vita oltremodo riconoscente a Vollard, pur sapendo che il mercante rivendeva i suoi quadri per cifre dieci volte e più di quelle che pagava all’artista. Cézanne aveva ereditato un po’ di denaro alcuni anni prima, ormai viveva senza ristrettezze, e gli interessava molto di più la disseminazione delle sue opere che la ricchezza. Dopo la morte di Cézanne, circa 680 dei suoi quadri - due terzi della sua produzione totale - sono passati per le mani di Vollard. Altri artisti ebbero invece rapporti più difficili con Vollard. Una storia emblematica è quella di Gauguin e il suo quadro La vacca rossa: il pittore l’aveva regalato a un amico che però lo vendette a Vollard, e Gauguin, stizzito, ricomprò il quadro dal mercante. Ma quando l’artista, ormai malato a Tahiti e senza soldi, aveva bisogno di rivenderlo, Vollard glielo riprese per la misera somma di 50 franchi. Nel 1903, subito dopo la morte di Gauguin, Vollard gli dedicò una grande mostra e ne guadagnò fior di soldi. Eppure molti artisti, dai vecchi Degas e Renoir ai giovani Picasso e Derain, dovettero molto a Vollard. Degas visse i suoi ultimi anni con il danaro che aveva preso da Vollard per le sue pitture a pastelli, che allora interessavano a pochi, e fu Vollard a dare a Renoir, che nella vecchiaia riusciva a malapena a mettere il pennello sulla tela, afflitto com’era da artrosi acuta, l’idea di fare sculture in cera, che il mercante poi fece fondere in bronzo (la mostra comprende persino un brevissimo filmato muto di Renoir, seduto su una sedia a rotelle ma con uno sguardo biricchinissimo, con Vollard che gli accende una sigaretta e gli porta un quadro da ritoccare). Nel 1901 Vollard organizzò la prima mostra parigina di Picasso, ancora diciannovenne, e fino alla morte del mercante nel 1939 - in un incidente d’auto - i due ebbero rapporti d’affari che portarono enormi profitti a entrambi. Non solo: tra le imprese più geniali di Vollard ci fu la pubblicazione di una serie di "livres d’artiste" che gli costavano molto di più di quanto non potesse recuperare attraverso le vendite ma che lo appassionarono più di qualsiasi altra cosa. Pagava celebri pittori, anziché illustratori di mestiere, per illustrare testi surrealisti, erotici e di altro genere, a volte commissionando i testi dopo che le illustrazioni erano già pronte. Picasso contribuì notevolmente a questa collana, ma vi collaborarono anche Bonnard, Denis, Dufy, Rodin, Rouault e altri ancora. La mostra newyorkese (che rimarrà al Metropolitan fino al 7 gennaio; si trasferirà poi all’Art Institute di Chicago e, l’estate prossima, al Musée d’Orsay parigino) sbalordisce sia per volume che per qualità: un centinaio di quadri di prim’ordine e decine e decine tra sculture, ceramiche, disegni, stampe, libri e altro ancora. Mezza sala è dedicata a ritratti di Vollard fatti da diversi artisti; da Cézanne a Picasso, per l’appunto. Come disse quest’ultimo, "Nessuna donna, neanche la più bella mai vissuta, è stata ritratta più di Vollard". E si capisce: l’amore è l’amore, ma gli affari sono gli affari. Harvey Sachs