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 2006  ottobre 10 Martedì calendario

Kampusch Natascha

• Vienna (Austria) 17 febbraio 1988. Rapita il 2 marzo 1998 dal tecnico elettronico Wolfgang Prikilopil, riuscì a fuggire solo il 23 agosto 2006 (scoperta la fuga il suo sequestratore si gettò sotto un treno) • «Otto anni, cinque mesi e ventun giorni là sotto, nella cantina di questa villetta dal tetto sghembo, con la parabola in cima e un’alta siepe di alloro contro la cancellata in ferro battuto. Con la paura che ci fossero davvero, quelle bombe a mano sulle quali il suo rapitore diceva di dormire. Ma in qualche modo sempre e ancora all’erta, se è riuscita a cogliere l’attimo perfetto per scappare: il suo aguzzino l’aveva incaricata di passare l’aspirapolvere dentro la sua auto. A un certo punto gli è arrivata una telefonata e si è allontanato a causa del rumore prodotto dall’aspirapolvere. Lei se n’è accorta, ha attraversato il giardino e aperto il cancelletto della casa vicina. Libera. Lui è da un’altra parte e non vede. Sono le tredici di mercoledì quando una ragazza pallidissima e confusa dice a una signora esterrefatta: ”Sono Natascha Kampusch”. Un nome che in Austria tutti conoscono. La bambina con la frangetta e la giacca rossa di lana cotta rapita il 2 marzo 1998 mentre andava a scuola. Aveva dieci anni. Adesso ne ha diciotto. Ha passato l’infanzia e l’adolescenza in una cella di quattro metri per tre, alta 160 centimetri, per arredo un letto a rotelle, un cassettoncino, uno scaffale di libri da bambini e qualche romanzo. Da un tubo pendono le grucce con i vestiti. Una porta dà in un piccolo bagno. Lì Natascha ha vissuto tutto questo tempo prigioniera di Wolfgang Prikilopil - un tecnico elettronico di 44 anni, maniaco dell’ordine e del bricolage -, che la costringeva a chiamarlo ”Sire” e la terrorizzava con la storia che la casa era disseminata di trappole esplosive. Mentiva: anche gli allarmi elettronici erano scollegati. Quando la polizia la informa che lui si è gettato sotto un treno, lei non sembra sorpresa: le aveva sempre detto che non si sarebbe lasciato prendere vivo. La villetta si trova in una piccola città della Bassa Austria, Strasshof. A venti chilometri da Vienna e a dieci minuti dalla periferia di Wien-Donaustadt, dove viveva Natascha e ancora vivono i suoi genitori. Avvolgibili sempre basse. Pochi visitatori. A volte la madre, proprietaria della casa. Una vita che avrebbe dovuto incuriosire i vicini. Invece, mai un sospetto. ”Non cercava il contatto, salutava e via”, dicono adesso. [...] Nessuno, nelle settimane dopo il rapimento, quando intorno a Vienna si dava la caccia al maniaco, ricordò che nel ”’98 lo scapolo scontroso e solitario di Strassghof aveva fatto dei lavori in garage. Wolfgang Prikilopil aveva solo due amici. E a uno si è rivolto mercoledì quando, finita la trattativa con il potenziale cliente - con un socio di occupava di ristrutturazione di vecchi immobili -, rientra in casa e si accorge che la ragazza è scappata. Fuori c’è già movimento, non ha tempo da perdere. Sale sulla sua Mercedes rossa e si dirige verso Vienna. La polizia lo intercetta, lui la semina. Qualche ora dopo entra nel garage di un centro commerciale e chiama il socio. Gli dice di essere stato sorpreso al volante ubriaco, deve scappare, per favore venga a prenderlo. L’amico arriva, lo carica in macchina e lo porta dove vuole: alla stazione di Leopoldstadt. Prikilopil non compra un biglietto, ma aspetta il treno regionale delle 21 e si getta sotto. In tasca ha le chiavi della macchina. Intanto Natascha è al posto di polizia e parla. Che sia proprio lei, è subito chiaro: ha una cicatrice sul volto e nella villetta è stato trovato il suo passaporto. Lo teneva sempre in cartella, il padre se la portava spesso in Ungheria e lei si teneva pronta a partire in qualunque momento. Le fanno comunque un prelievo per il test del Dna, che conferma la sua identità. Dirà alla conferenza di stampa [...] il capo della polizia criminale, Erich Zwettler: ”Ha la pelle diafana e sottile di chi è stato a lungo lontano dalla luce. calma, ogni tanto racconta qualcosa ma noi non le mettiamo fretta. Parla bene, legge e scrive bene: ci ha detto che lui le faceva lezione, le lasciava sentire la radio quanto voleva ma con la televisione era più rigido. A ore fisse poteva andare fuori a respirare aria fresca”. Qualche volta sono anche usciti insieme, adesso c’è chi dice di averla vista con lui fare la spesa. Di sicuro c’è che una volta l’ha incontrata pure la madre di Prikilopil, in visita al figlio. Che deve averle raccontato una storia davvero plausibile, perché la donna non si è insospettita. E la polizia esclude che sia sua complice. […]» (Marina Verna, ”La Stampa” 25/8/2006).