Varie, 17 agosto 2006
RAMPINI
RAMPINI Federico Genova 25 marzo 1956. Giornalista. Della Repubblica. Laurea in economia alla Bocconi, ha lavorato anche a Mondo Ecoomico, Espresso, Il Sole-24 Ore. Tra i suoi libri Il secolo cinese (2005) • «Molto appartato, purché al centro del mondo. Così è Federico Rampini, l’eterna riserva della Repubblica (nel senso del quotidiano). Eterno papabile direttore, tutte le volte che montano voci e brontolii su presunti cambi al vertice del giornale, considerata la sua riconosciuta esperienza e visto il sodalizio d’acciaio con l’ingegner Carlo De Benedetti, che l’ha portato a Repubblica nel 1995 strappandolo al Sole 24 Ore, dove Rampini era stimatissimo vice del direttore Gianni Locatelli. Di Rampini possibile direttore di Repubblica si è parlato spesso, finora a vuoto, e non è detto che il nulla di fatto gli dispiaccia. Quel ruolo non gli consentirebbe di starsene così, appartato e al centro del mondo. Lì dove le cose importanti succedono, dove si annusa il futuro, dove occhi più distratti o più pigri dei suoi non arrivano. Il centro del mondo è la Cina, dove Rampini ha aperto e tenuto per tre anni l’ufficio di corrispondenza per Repubblica e da dove ha raccontato la nuova era di Cindia (Cina più India) – il neologismo è suo – e i cambiamenti del continente asiatico che vanno rimescolando le carte del Grande gioco mondiale. [...] Come corrispondente da San Francisco, sempre per Repubblica, aveva seguito la parabola della New economy, sulla quale ha scritto un libro (uno tra i tanti, perché tutte le esperienze professionali di Rampini diventano libri, prima o poi). Quando gli arrivò la nomina, a Milano, dove era capo della redazione locale di Repubblica, i suoi colleghi se lo ricordano in piedi sulla scrivania, pazzo di gioia, mentre agitava una bandierina a stelle strisce. Unico caso verificato con testimoni oculari di (giustificata) perdita di un aplomb proverbiale. C’è da dire che quell’esperienza da capo di redazione non gli si confaceva troppo. Ha lasciato un ricordo di grande simpatia ma non di particolare efficienza, perché poteva cascare il Duomo ma lui aveva le sue cose di cui occuparsi, prima tra tutte il confronto quotidiano con i suoi referenti e autorevoli amici (tra i quali si annoverano Guido Rossi e Ilvo Diamanti). Per il resto, di Federico Rampini sentirete dire sempre le stesse cose, fino alla monotonia: che è timido, introverso, gentile, oppure freddo, calcolatore, impassibile, a seconda che prevalga la simpatia (senza dubbio maggioritaria) o la diffidenza. Retaggio, quel suo modo di apparire, se non di essere, della nascita genovese (il 25 marzo del 1956) e di una vita da sradicato mai spaesato. Rampini ha passato l’infanzia e l’adolescenza a Bruxelles, figlio di un funzionario della Comunità europea, e l’attitudine cosmopolita gli viene da lì. Sempre da lì gli arrivano un francese e un inglese impeccabili, una elegantissima e persistente erre arrotata alla francese, l’amore per le canzoni di Jacques Brel e soprattutto la fidanzatina conosciuta a scuola, poi diventata moglie. Stefania, figlia di un generale, sposata nella chiesa romana di Santa Costanza a Roma, e con la quale ha avuto due figli, un maschio e una femmina. [...] abituato da sempre a far le valigie senza tante storie, a cambiare paesaggi, luoghi e frequentazioni, è nei rapporti umani un fedelissimo. Il fondamentale sodalizio con Carlo De Benedetti è nato al tempo in cui Rampini seguiva come corrispondente a Parigi del Sole 24 Ore il tentativo fallito di scalata alla Société générale de Belgique da parte dell’Ingegnere (il quale poi ne parlerà come della sua sconfitta più bruciante). Quell’amicizia ha prodotto due libri [...] molte vacanze insieme, telefonate quotidiane. E poi c’è l’altro legame annoso e inossidabile con Massimo D’Alema. Nato alla Fgci, quando D’Alema era il segretario e Rampini, reduce da una laurea alla Bocconi in discipline economico-sociali (un’enclave all’americana: numero chiuso, quando ancora non si usava, frequenza obbligatoria e tutor dal secondo anno), fu assunto al neonato mensile della Federazione giovanile comunista, la Città Futura diretta da Ferdinando Adornato, su segnalazione del giornalista Paolo Forcellini. Correva l’anno 1977, e Rampini si occupava di cooperative di giovani per il recupero delle terre incolte (dovette rimbeccare una lettrice che lo accusava di voler aumentare la rendita fondiaria) e di grandi vertenze sindacali, curava dossier sulla crisi dello stato assistenziale e intervistava Bruno Trentin. E faceva anche satira. Incredibile a dirsi, lui così serio, compassato, quasi malinconico. Eppure è proprio lui ”Bourbon”, nom de plume con cui, sul numero 11 del mensile, esordisce con un corsivo intitolato ”Arrovattar l’ingegno” (nel senso di Pier Angelo Rovatti, direttore della rivista Aut aut e filosofo del pensiero debole): ”Luglio: mese di intenso lavoro per le P. T. Guattari scrive a Fachinelli e Balestrini che rispondono a stretto giro di posta. Sartre scrive a Zangheri, Deleuze scrive a Sartre e a Zangheri, Foucault scrive a Deleuze, Sartre e Zangheri. Rovatti saluta tutti da Rimini e Fortini gli manda una scatola di gianduiotti. Tutti insieme scrivono a Cossiga, Lombardi, Dario Fo, Pannella, Fidel Castro, Fraizzoli e Boniperti. L’Espresso riassume pubblicando in copertina una foto di gruppo di tutti, nudi”. Rampini prendeva in giro gli intellos francesi e i loro sodali italiani (Rovatti tra questi) impegnati a denunciare la repressione del movimento del Settantasette, con il sindaco bolognese Zangheri nella parte di Bava Beccaris. L’estro satirico del giovane Rampini doveva subire però un inciampo definitivo con il corsivo intitolato: ”Antonello o il silenzio è d’oro”. Antonello era Trombadori, fantastico mattatore del comunismo italiano d’antan, così maltrattato: ”Un tempo era di moda fra i giovani studenti, rampolli della borghesia, turbare i benpensanti. Oggi l’ultimo grido invece è l’anziano dirigente comunista che si diverte a turbare i comunisti: simbolo, questo, di lodevole e indiscussa vitalità giovanile”. Trombadori aveva accusato ”un giornale” (la Repubblica) di non aver dato il dovuto risalto alla morte del giovane Roberto Crescenzio, bruciato nell’incendio di un bar torinese provocato dalle molotov degli autonomi, proprio negli stessi giorni in cui si piangeva Walter Rossi, ”martire antifascista” morto a Roma. Bourbon-Rampini negava l’addebito, rivolto anche ai giovani comunisti, e sbertucciava Trombadori. Il quale, piccato (a ragione, col senno di poi) concludeva la sua lettera risentita a Città Futura con ”saluti fraterni (si fa per dire)” e, in risposta al Brassens citato da Bourbon (’trompettes de la renommée, vous êtes bien mal embouchées”, trombe della nomea, state proprio sulla bocca sbagliata) replicava con Petrolini: ”No, nun cce ll’ho co tte. Ce ll’ho co cchi te stà vvicino e nun te buttà de sotto!” (traduzione e banalizzazione: con chi non ti licenzia). In quell’occasione Rampini rischiò davvero l’espulsione da tutti i giornali del partito. Trombadori (si disse) chiamò Bufalini, Bufalini dovette dare spiegazioni all’esterrefatto segretario Berlinguer, Berlinguer chiamò Chiaromonte, all’epoca tutor della Fgci, il quale chiamò Adornato per chiedergli identità e testa di Bourbon. La faccenda finì senza altri danni, con la replica di Trombadori e con una paginata di spiegazioni di Adornato. Ma se al Comitato centrale ci fosse stato Sherlock Holmes, gli sarebbe apparso chiaro che quella citazione di Georges Brassens non poteva che ricondurre a Rampini, nutrito di chansonnier così come altri di Beatles. Un altro e ben più serio incidente decreterà comunque la fine del rapporto di Rampini con la stampa di partito. Nel 1982 lavorava da tre anni a Rinascita, all’epoca diretta da Luciano Barca, e venne incaricato di un reportage dalla Puglia, in occasione delle elezioni amministrative. Il suo articolo fece scalpore, per il ritratto assai poco lusighiero che ne emergeva di una parte del partito, descritta nelle sue liaisons dangereuses con il mondo degli affari pugliese. Stavolta lo scandalo è esplosivo, anche perché si sospetta che il mandante occulto sia Massimo D’Alema, all’epoca dirigente del partito in Puglia e impegnato in una lotta senza quartiere contro la componente migliorista. Quella sberla a mezzo stampa (stampa di partito, oltretutto) ai miglioristi si dice abbia provocato ai tempi l’ira di Giorgio Napolitano e una sua malcelata antipatia per Rampini. Provocò comunque il trasloco di Rampini, ma certamente rafforzò l’amicizia con D’Alema. Dalla quale, tra l’altro, è nato il libro intervista ”Kosovo, gli italiani e la guerra” (sempre Mondadori), scritto all’epoca in cui D’Alema era capo del governo. Per un’incresciosa coincidenza, mentre si presentava il libro, nel quale D’Alema sosteneva che Milosevic si era arreso una volta saputo che non ci sarebbe stata l’invasione di terra, il dipartimento di stato americano rese nota una versione del tutto opposta: Milosevic si era arreso proprio perché aveva saputo che si preparava l’invasione di terra. Dettagli da lasciare ai posteri, passato che appare ormai molto remoto. Nelle corde di Federico Rampini c’è piuttosto il futuro. Un futuro finora visto brillantemente da Cindia, e da lì raccontato con un’impressionante mole di articoli su Repubblica e i suoi derivati mensili, settimanali, internettiani, come il blog ”Estremo occidente” [...] Articoli che affrontano con disinvoltura e competenza i massimi sistemi senza dimenticare il costume minuto, a volte più rivelatore di tanti macroindicatori. In questo esercizio, Federico Rampini è senza dubbio un maestro. Da lui ci è arrivato di tutto, soprattutto nella rubrica tenuta su D. La Repubblica delle donne. C’è arrivato, tra l’altro, l’allarme sul Viagra cinese e l’elogio del cachemire italiano, con la spiegazione del perché i cinesi non potranno mai emularne la qualità. Non hanno l’acqua di Biella, purissima e dolce, l’unica in grado di lavare il filato fino a renderlo soffice come una nuvola. Si dice che la brillante esperienza cinese [...] gli abbia conquistato l’odio della aristocratica congrega dei sinologi. Offesissimi all’idea che uno come Rampini, senza sapere una parola della lingua locale (ha cominciato a studiarla, però), potesse scrivere tre pezzi al giorno, tutti interessanti, curiosi, tutti ”dentro” la realtà. Vero è che l’altra voce unanime su di lui lo descrive come la tastiera più veloce di questa parte del West e ora anche dell’Est. Rampini, dicono, è capace di scrivere cinque cartelle in un’ora, dopo aver fatto la scaletta e aver ordinato gli appunti. A testa bassa, come un Ariete. Lui in effetti, Ariete lo è, sia astrologicamente sia fisiognomicamente (mentre il suo segno zodiacale cinese è la Scimmia, che dovrebbe dargli grandi doti di mediazione e moltissimo rischio di annoiarsi, se la vita ristagna troppo). Fronte alta, aria pacata, minuto, esile, asciutto, vagamente ieratico con le sue camicie dal collo alla coreana, adottate con istinto da Zelig (ma sono davvero eleganti) dopo l’approdo a Pechino [...] Di Rampini dicono anche che l’apparente fragilità fisica non deve ingannare. Potrà anche amare Jacques Brel ma in realtà è nato per essere Mick Jagger. Di quel tipo è la sua grinta, contenuta sotto le migliori maniere del mondo. I suoi rapporti con il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, sono distanti e rispettosi, ”come potrebbero essere quelli tra due squali bianchi”, dice una persona che li conosce. C’è di peggio. Per Rampini, in fondo, la cosa più importante è ancora starsene appartato al centro del mondo, per continuare a spiegare quello che cambia sotto i nostri occhi, e che lui sembra proprio capace di capire un po’ prima e un po’ meglio di altri. [...]» (Nicoletta Tilliacos, ”Il Foglio” 24/6/2009).