Lucio Caracciolo, la Repubblica 15/8/2006, pagina 1., 15 agosto 2006
Il secondo tempo. la Repubblica, martedì 15 agosto Siamo nell´intervallo del primo tempo della partita Israele-Iran
Il secondo tempo. la Repubblica, martedì 15 agosto Siamo nell´intervallo del primo tempo della partita Israele-Iran. Non sappiamo quanto durerà la pausa, né se basterà una sola ripresa per chiudere i conti. Ma ad oggi non c´è dubbio sul risultato: 1-0 per i persiani, in questa fase rappresentati dal loro braccio armato libanese, Hezbollah. Il "partito di Dio" non è stato liquidato militarmente in pochi giorni, come speravano i leader israeliani. Si è anzi affermato come forza "patriottica" libanese, consolidando il suo prestigio fra gli sciiti ma suscitando simpatie persino fra i sunniti, i cristiani, gli stessi drusi. Alcune migliaia di fanatici combattenti hanno tenuto testa a Tsahal. Fino all´ultimo minuto i missili di Hezbollah sono piovuti sulla Galilea, malgrado la tardiva avanzata in profondità di Israele verso il fiume Litani. Lo sceicco Nasrallah e il suo mentore iraniano Ahmadinejad assurgono a campioni del radicalismo islamico su scala globale, con grave smacco dei governi dei Paesi arabi e musulmani più o meno sinceramente affiliati all´Occidente. questa la conseguenza strategica più grave della guerra libanese: molti "alleati" degli Stati Uniti – e quindi indirettamente di Israele – si chiedono quanto convenga loro restare da questa parte della barricata, dopo le performance americane in Iraq e in Afghanistan e la sconfitta di Gerusalemme in Libano. E mentre sulla regione si allunga l´ombra di un nuovo impero persiano, in procinto di dotarsi dell´arma definitiva. Malgrado la patetica autodifesa di Olmert, non v´è dubbio infatti che lo Stato ebraico esca con le ossa rotte da questa fase dello scontro. Dai tempi di Ben-Gurion in avanti, Israele si è basato sull´assioma per cui la sola e unica chiave della sua sicurezza sta nella capacità di autodifesa. Nelle parole scolpite dallo stesso padre della patria: «Il nostro futuro non dipende da cosa dicono i Gentili, ma da quello che fanno gli Ebrei». Di qui il disprezzo verso le Nazioni Unite e l´insofferenza per qualsiasi ipotesi di schieramento internazionale a protezione dei propri confini. Dopo settimane di polemiche intestine, destinate a moltiplicarsi in questo intervallo, il governo Olmert ha preso atto che Israele non ce la poteva fare da solo. Rovesciando il postulato di Ben-Gurion, ha accettato il sigillo dell´Onu come garante di una forza multinazionale che dovrebbe offrire a Israele quella sicurezza contro le milizie Hezbollah che Tsahal non è riuscito ad affermare sul terreno. Non è affatto scontato che il contingente Onu ci riesca, ammesso che quanti promettono di farne parte non si tirino indietro all´ultimo minuto o non riducano di molto le rispettive truppe per timore di finire in un meccanismo infernale. Ma per Gerusalemme non v´era altra scelta, una volta constatato che il piano di distruzione strutturale del nemico via aria – ingenuità incredibile, quasi il Libano fosse la Serbia e Nasrallah un emulo di Milosevic – si era rivelato fallimentare, né si poteva chiedere alle truppe demoralizzate di bonificare uno per uno i nidi della guerriglia nemica. Gli storici stabiliranno quanto di accidentale e quanto di calcolato vi sia stato nell´ennesima campagna libanese. Ma anche accettando che né Nasrallah (o Ahmadinejad) né Olmert (o Bush) abbiano voluto questo scontro, una volta iniziate le ostilità i protagonisti hanno cercato di volgerle ai propri scopi. Per la coppia libano-iraniana (con i siriani piuttosto defilati) si trattava di coinvolgere gli israeliani nella guerra di logoramento già in atto contro gli americani sui teatri afgano e iracheno. Obiettivo raggiunto. Tsahal ha dimostrato di non poter vincere questo genere di conflitto. Anzi, ha di fatto rinunciato a combatterlo, appena sperimentato che non riusciva a ridurlo alla sua (ex?) specialità, il Blitzkrieg. Olmert ha preso nota dell´inefficacia della guerra aerea. Ciò significa che i piani di bombardamento preventivo dei siti nucleari iraniani, da condurre in cooperazione con gli Usa, restano a tempo indeterminato nei cassetti dove sono custoditi. E dovranno essere rivisti da cima a fondo, se non cassati. Ma siamo solo alla fine del primo tempo. Gli strateghi delle parti in conflitto ne stanno studiando gli esiti per trarne lezioni e suggerimenti utili nella seconda fase. Israele e Iran sono a un bivio. Lo Stato ebraico deve scegliere fra l´affidarsi al contingente misto Onu/Libano – che comunque non disarmerà Hezbollah – e forse considerarlo un modello anche per la stabilizzazione dei confini con un futuro staterello palestinese, o rovesciare il tavolo e riprendere appena possibile l´offensiva, stavolta contro il nemico strategico, l´Iran. Evitando così di soffocare in una guerra di logoramento a intensità più o meno bassa, costellata di attentati terroristici in Israele e di incidenti sul fronte libanese. Una scelta ad alto rischio che eccita i superfalchi interni e i loro supporter al Pentagono e alla Casa Bianca. Più che attraverso gli strike diretti contro Teheran, l´allargamento del conflitto potrebbe avvenire coinvolgendo la Siria. L´Iran ha già chiarito che in tal caso entrerebbe in guerra. Allo stato, questo sembra uno scenario di medio periodo, non un progetto ravvicinato, visto il caos nel vertice politico-militare israeliano. Comunque servirebbe luce verde da Washington. Ma la strategia mediorientale di Bush è legata all´esito delle elezioni parlamentari di novembre, dalle quali uscirà definitivamente azzoppato o rilegittimato e dunque disposto a rilanciare la "guerra al terrorismo", stavolta mirando all´Iran. Quanto a Hezbollah, canta legittimamente vittoria. Quale interesse può avere a riattizzare adesso il conflitto? Nessuno, in apparenza. L´obiettivo primario è incassare i dividendi della vittoria nel contesto politico libanese – tanto per chiarire che il "partito di Dio" non è solo uno strumento di Teheran - mentre tiene impegnato lo Stato ebraico per scoraggiarlo dall´attaccare l´Iran. Nasrallah potrebbe suscitare qualche scaramuccia, a dimostrazione di tenere sempre Israele sotto scacco, senza però voler riprendere le ostilità in grande stile. Ma la storia ci ha insegnato che le intenzioni e il raziocinio non sono un buon metro per capire, tanto meno per prevedere le guerre. Specie in Medio Oriente. Valga come monito a noi stessi, mentre stiamo per impegnarci nella missione di peacekeeping più rischiosa fra quelle finora affrontate, in una compagnia onusiana assai variopinta e al fianco di un "esercito libanese" che di fatto non esiste, tanto quanto non esiste lo Stato di cui sarebbe espressione. L´esito di questa missione non è nelle nostre mani, ma in quelle di Israele, di Hezbollah e dell´Iran. Qualsiasi conclusione non troppo provvisoria della partita passerà quindi o per la guerra a tutto campo o per un negoziato diretto fra Gerusalemme e Teheran, con la decisiva partecipazione di Washington. Il nostro compito, insieme agli altri paesi europei e ai paesi arabi e islamici che con noi intendono mettere piede in Libano, è di guadagnare tempo in vista della seconda ipotesi. Che non è per domani. Ma l´alternativa è la destabilizzazione e la penetrazione jihadista nell´intero Mediterraneo allargato. Nel nostro cortile di casa. Quanti fra noi ne sono davvero consapevoli? Lucio Caracciolo