Note: [1] Arturo Zampaglione, la Repubblica 11/8; [2] Cinzia Sasso, la Repubblica 11/8; [3] Mariuccia Ciotta, il manifesto 11/8; [4] Marina Corradi, Avvenire 11/8; [5] Renzo Guolo, la Repubblica 12/8; [6] Vincenzo Cerami, Il Messaggero 11/8; [7] Anna Guai, 12 agosto 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 14 AGOSTO 2006
Dopo l’11 settembre (New York), l’11 marzo (Madrid), l’11 luglio (Bombay), è arrivato l’11 agosto (Londra). Arturo Zampaglione: «decine di attentati kamikaze sugli aerei di tre compagnie americane, Delta, American Airlines e United, in volo dalla Gran Bretagna verso gli States. La strage dell’Atlantico sarebbe stata orribile: di dimensioni simili a quella delle Torri gemelle». [1] Peggiore delle Torri gemelle. Sebestyen Gorka, esperto di antiterrorismo, stima oltre 4.000 vittime: «Una volta che hai fatto l’11 settembre, non puoi tornare indietro. Cosa ne sarebbe stato del prestigio di Osama Bin laden se avesse ucciso solo 600 persone?». [2]
La strage è stata sventata, ma i «dieci aerei sono esplosi nella percezione collettiva, e la deflagrazione si è sentita in tutta Europa, oltre l’Atlantico» (Mariuccia Ciotta). [3] Marina Corradi: «Nessuno è morto, ma un obiettivo è raggiunto dal nemico. C’è paura nei cieli dell’Occidente, e la paura ci rende un po’ meno liberi. Londra in low cost a 80 euro, andata, ritorno chissà». [4] Renzo Guolo: «Quanti, dopo l’11 settembre, non si sono mai ritrovati, anche solo per un attimo, a guardare gli altri passeggeri, cercando di scorgere nei volti che li circondano il possibile esito del volo? Lo scontro delle civiltà, fortunatamente spesso mimato, abita oggi persino la sala d’aspetto di un aeroporto». [5]
Ormai quasi tutti i cittadini europei e americani hanno imparato a convivere con il timore della catastrofe. Vincenzo Cerami: «L’immane esplosione può avvenire nell’appartamento accanto al nostro, alla fermata dell’autobus, nel supermercato, al cinema, allo stadio, a scuola...». [6] Il professor Michael Radu, capo della sezione anti-terrorismo del Foreign Policy Research Institute: «Colpire gli aerei ha un doppio scopo: se la trama va in porto, si uccidono tante persone, e quindi si ha una forte ricaduta pubblicitaria, e poi le società aeree ne soffrono, e ne soffre l’intera economia mondiale. Ma anche se il colpo non va in porto, un danno si fa lo stesso: guardi oggi, tutto il sistema aereo mondiale è paralizzato, il danno economico è estremo. Non ci sono morti, ma Osama deve essere lo stesso abbastanza soddisfatto». [7]
Basta poco per minacciare l’occidente. Se l’11 settembre 2001 erano stati sufficienti i taglierini, stavolta la morte sarebbe arrivata grazie a una o due bottigliette. Fernando Termentini, generale dell’Esercito ed esperto di esplosivi: «Per fabbricare una bomba in grado di abbattere un aereo pressurizzato sono necessari solo due componenti, due sostanze chimiche incolori e insapori, che possono essere ricavate senza difficoltà in una raffineria». Giampaolo Cadalanu: «Insomma, non serve che Al Qaeda costruisca un suo laboratorio chimico fra le montagne di Tora Bora, in Afghanistan. Basta semplicemente un tecnico di laboratorio complice».[8]
Quello che ci fa paura oggi è l’individuo-canaglia. Paolo Garimberti:; « lo jihadista-fai-da-te, che vive nella valle del Tamigi o nei sobborghi di Londra, come molti dei 24 arrestati dalla polizia inglese. O a Leeds, dove Sidique Khan aveva assemblato la gang di bombaroli della metropolitana e del bus di Londra. O nei sobborghi di Madrid, dove abitava Jamal Zougam per preparare l’attacco ai treni. Del resto, quando i dirottatori degli aerei che fecero crollare le Torri gemelle di New York, nel fatidico 11 settembre che ha sconvolto il mondo e ha fissato un giorno maledetto per il terrorismo, si stabilirono negli Stati Uniti per preparare il loro piano fu su Paterson, cittadina del New Jersey, che cadde la loro scelta». [9]
Ma perché tanti giovani ”islamo-fascisti”, espressione coniata dall’intellettuale di sinistra Cristopher Hitchens e usata da Bush in chiave neocon, aderiscono all’idea della ”bella morte” nel jihad? Guolo: «Ciò che li spinge non è solo la speranza dell’eterna ricompensa divina, le vergini e il ricongiungimento assicurato con i propri cari. Dove e come matura questa decisione ”prepolitica” del morire dando la morte? Ridurre alla sola dimensione psichica la comparsa dei cosiddetti ”martiri” è semplificatorio. Perché questa nichilismo religioso si spinga oltre il meridiano zero e si trasformi da forma di disagio individuale a categoria del Politico fondata sulla classica contrapposizione Amico/Nemico, occorre che, come oggi, le condizioni storiche lo consentano. Conflitti e ideologie si mescolano, così, con malintese ricerche di senso, formando la miscela esplosiva destinata a produrre il desiderio di ”martirio”». [5]
Se il piano d’attacco contro gli Stati Uniti del 2006 era più ambizioso e sofisticato di quello del 2001 la spiegazione viene dall’identikit di chi lo ha voluto, immaginato e quasi realizzato. Maurizio Molinari: «Non un gruppo di leader terroristi arabi accampati sotto un tenda afghana con alle spalle anni di guerriglia contro l’Armata Rossa bensì un determinato team di cittadini britannici di fede musulmana, con alle spalle conoscenze frutto dell’educazione ricevuta nelle scuole e nelle aziende di una delle maggiori potenze industriali. Ad esclusione del comune fanatismo jihadista, odio per la democrazia e libertà, antisemitismo, avversione per i diritti delle donne e volontà di causare più lutti possibili nel cuore dell’Occidente Al Qaeda 2 è diversa dall’originale perché è un prodotto ”made in Europe”». [10]
La Gran Bretagna ha due milioni di cittadini musulmani, la Francia sei, la Germania tre, l’Italia uno. John Lloyd: «Nella maggior parte di questi Paesi - e maggiormente negli Stati più piccoli, come i Paesi Bassi e la Danimarca - i musulmani spesso sono poveri, emarginati e hanno una piccola quanto preoccupante minoranza che giudica positivamente la violenza, nonché un numero esiguo di individui disposti a praticarla». [11] Cinzia Sasso: «Un sondaggio di Channel 4, pubblicato dal Guardian, dice che tra i ragazzi di 18 e 24 anni, musulmani nati in Gran Bretagna, uno su tre preferirebbe vivere sotto la sharia che non sotto la legge inglese». [2] Timothy Garton Ash: «Soltanto la metà dei musulmani britannici intervistati ha detto di considerare la Gran Bretagna ”il mio paese”, laddove invece circa un quarto di loro ha detto di ritenerla ”il paese loro”, intendendo di qualcun altro». [12]
Poiché gli arrestati sono cittadini del Regno Unito, qualcuno ha tratto la lezione che neppure il far parte della comunità politica per eccellenza (la nazione civica) impedisce a queste persone di programmare la strage di centinaia e centinaia di innocenti, di scegliere l’alienazione, l’auto-esclusione dai valori e dalla solidarietà che innervano la cittadinanza democratica. Vittorio E. Parsi: « una conclusione tanto facile quanto sbagliata. In milioni e milioni di altri casi quel vincolo funziona, e fa sì che il veleno della propaganda di questo nuovo fascismo non dilaghi, in forza dell’omertà e della diffidenza che sempre e ovunque l’esclusione alimenta». [13]
«Solo l’1 o il 2 per cento dei musulmani europei è implicato in attività estremiste ma il fatto di vivere in società libere gli offre opportunità uniche» (Dan Fried, Segretario di Stato americano per l’Europa). [10] Magdi Allam: «Anche in Italia è radicata la ”fabbrica del terrore” che ha prodotto i kamikaze di Londra. Alimentata da una rete di moschee dove si predica la distruzione di Israele e si legittima il terrorismo palestinese, iracheno e afghano, gestite dall’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, affiliata ai Fratelli Musulmani), dall’organizzazione radicale marocchina ”Giustizia e carità”, dal movimento dei Tabligh (Predicazione) influente tra i pachistani. Eppure continuiamo a far finta di niente. Ci preoccupiamo di scongiurare l’attentato, che è la punta dell’iceberg, ma non ci vogliamo occupare dell’iceberg, che è la ”fabbrica del terrore”». [14]
Nel suo libro Bin Laden in Italia Allam parla di 2000 potenziali kamikaze presenti nel nostro Paese. Il dato emerge da una conversazione fatta dopo l’11 settembre con l’ex imam di Carmagnola, Abdel Qader Fadlallah Ma’mour, quello che si presentava come ambasciatore di al-Qaeda. La sua stima si basava sulla propria esperienza di assiduo frequentatore delle nostre moschee e sul ruolo che in passato queste hanno avuto nell’ospitare personaggi che si sono addestrati in Afghanistan o che hanno partecipato alle attività dei mujaheddin in Bosnia e nel Kossovo. Hamza Boccolini: «Alcuni di loro potrebbero trovarsi tra le migliaia di musulmani pakistani che, a differenza degli immigrati nord-africani, sono meno propensi ad aprire moschee e preferiscono muoversi all’interno degli Internet Point e dei Call Center». [15]
Il dialogo può funzionare con l’islam moderato e conservatore che esiste, per esempio, nell’emigrazione turca in Germania, non con i fondamentalisti tradizionali pakistani e arabi che controllano molte moschee inglesi (e italiane). Massimo Introvigne: «Né con i neo-fondamentalisti alla Tariq Ramadan o alla Qaradawi che, pur criticando più o meno sinceramente Bin Laden, fanno dell’odio contro Israele e gli Stati Uniti, condito con una spruzzata di marxismo no-global, l’asse della loro ideologia. In queste ore il governo Blair si interroga sugli errori commessi. Il governo italiano - in tema di immigrazione e ”amicizie pericolose” fra partiti di governo dell’ultra-sinistra e personaggi come Ramadan o gli Hezbollah - continua allegramente a perseguire la stessa politica». [16]
Il «Big One», il mega-attacco, è nell’aria. Guido Olimpio: «C’è il sospetto che i terroristi abbiano fatto delle prove. Diversi equipaggi hanno segnalato i casi di passeggeri che si chiudevano nelle toilette portando dei piccoli contenitori, come un flacone di liquido per le lenti. Gesti in apparenza normali, ma che forse rappresentavano il training. Gli 007 sono convinti che ci riproveranno finché non avranno fatto centro». [17] Ciotta: «Nessuno tira un sospiro di sollievo, perché non è finita. Nel mirino non ci sono solo Londra, Glasgow e Manchester o le linee aeree americane, ma ogni angolo di mare e di cielo di ferragosto e dopo. La paura che ci circonda corrisponde alla consapevolezza che la guerra non è altrove, è qui». [3]