Varie, 11 agosto 2006
SCHIAFFINO
SCHIAFFINO Rosanna Genova 25 novembre 1938, Milano 17 ottobre 2009. Attrice. Tra i suoi film: La notte brava (Bolognini, 1959), La mandragola (Lattuada, 1965) • «Simbolo della bruna sensualità italiana anni 60» (Natalia Aspesi), un matrimonio e un figlio col produttore Alfredo Bini, ha abbandonato la scena negli anni 70 dopo il matrimonio con Giorgio Falck (20 gennaio 1938-20 aprile 2004), dal quale ha avuto il figlio Guido e ha poi divorziato nel 2001 dopo otto cause penali, «sei anni di battaglie legali, passaporti ritirati (a lui), denunce incrociate, risse verbali e non» (Lina Sotis) • «[...] ce la ricordiamo tutti bruna, bella, felina, sensuale, con quello sguardo prensile che aveva sedotto due produttori importanti come Cristaldi e poi Bini, che sarà il primo marito. [...] figlia di un costruttore edile, di partenza fotomodella, fu l’ultima vera maggiorata della collezione made in Italy anni Cinquanta, quella partita con Mangano, Loren, Rossi Drago, Lollo. Espresse quella bellezza, quel senso del pudore e quella società, non a caso la sua prima apparizione sugli schermi fu in Totò lascia o raddoppia? di Mastrocinque, nel ”56, anno legato al successo del quiz di Mike. La sua affermazione avviene prima come ragazza di copertina (Le ore , Life) poi come infelice promessa sposa (ispirata al personaggio reale di Pupetta Maresca) nel bellissimo film d’esordio di Francesco Rosi sulla camorra, La sfida. Era il periodo in cui il nostro cinema stava passando dal realismo radicale post bellico a quello rosa sentimentale. Moglie di un produttore illuminato come Alfredo Bini, che lanciò Pasolini, Rosanna, molto consigliata dall’onnipresente madre, si costruisce una brillante carriera nazional popolare, diretta da affermati registi complici del suo verace temperamento femminile come Bolognini, Lattuada, Franciolini. Alterna i film facili della domenica, il genere peplum e altro, con i titoli d’autore. diretta dal bravo Damiano Damiani (Una strega in amore ), da Mario Camerini e diventa anche una star da export a partire da Il vendicatore di Dieterle. Partecipa a film di serie A, innovatori e per i tempi audaci: come La notte brava di Bolognini, scritto da Pasolini col classico linguaggio da borgata, ai tempi in cui Lucherini la lanciò con una delle sue felici trovate per paparazzi. Ma non disdegna i primi titoli farseschi di Franchi e Ingrassia (L’onorata società) ed è perfetta anche per il technicolor dei peplum. Nel ”63 si nota come una hostess molto particolare nell’episodio Illibatezza di Rossellini che fa parte dello scandaloso Rogopag , torturato dalla censura di allora, e anche nell’ispirata riduzione che Bolognini fece di un romanzo bello ma non popolare di Moravia, La corruzione .Successone nel ”65: è Madonna Lucrezia, per l’intenditore Alberto Lattuada dalla commedia scostumata e ancora quasi proibita di Machiavelli La mandragola in un ricco cast di cui fa parte anche Totò. E vinse allora una Targa ai David di Donatello. Il volto italiano, la sua forte carica passionale mediterranea, i lunghi capelli neri e gli occhi che non sorrisero, la rendono facile preda per le coproduzioni internazionali allora di moda nella Hollywo od sul Tevere: lavora con Renè Clément (Il ballo delle spie), con il grande Vincente Minnelli che gira a Roma con Kirk Douglas Due settimane in un’altra città, con Jack Cardiff, col regista di 007 Terence Young (L’avventuriero). Ma d’altro canto prosegue anche nel cinema italiano verace, diventa veneta carnale nella Betìa del Ruzante diretta dall’esperto Gianfranco De Bosio e fu romanissima in Trastevere di Tozzi ed Ettore lo fusto di Castellari. Il secondo tempo della fortunata carriera, iniziata brillantemente, segna il passo in molti film di genere che non la valorizzano neppure, in trasferte all’estero quasi sempre inutili, con poche eccezioni come l’avventuroso Gli eroi di Duccio Tessari in cui è una donna che, durante la II Guerra mondiale, cerca di rubare un tesoro agli arabi. Ma intanto la signora Schiaffino aveva fatto passi da gigante nella sua vita privata e, dopo il lungo sodalizio artistico e umano con Bini, da cui ha avuto nel ”69 la piccola Annabella, sposa un importante industriale come Giorgio Falck, da cui ha il figlio Guido nell’81 ma da cui poi si separerà con gran chiacchiera di salotti. Nel ”77, quando delusa aveva già dato l’addio al cinema e sposato la causa materna della famiglia, rientra con la tv nello sceneggiato tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati Don Giovanni in Sicilia diretto da Guglielmo Morandi, a fianco di Domenico Modugno. Ma l’ultima parte della sua vita, soprattutto con le polemiche per il divorzio e l’insorgere poi della malattia, è avvolta da un civile riserbo e da una riservatezza che l’hanno fatta quasi dimenticare a quel un tempo vasto pubblico del cinema che col suo sguardo aveva dapprima stregato» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 18/10/2009) • «Il cinema non è stato generoso con Rosanna Schiaffino. Forse ha avuto paura della sua bellezza, della sua sensualità, delle sue forme botticelliane. L’ha sfruttata negli anni più belli, offrendole anche ruoli interessanti, ma poi l’ha inchiodata a icona di se stessa, ”bella donna” destinata a guadagnarsi una parte più col proprio corpo che con altro. Non so quanta responsabilità abbia avuto in questa involuzione il legame con Alfredo Bini, produttore estroverso e imprevedibile, capace di dar fiducia a un ancora sconosciuto Pasolini ma non all’attrice con cui divideva la vita. Certo è che anche lui sembra essersi preoccupato più delle apparenze (per altro notevoli) che della sostanza. Un vero peccato, perché nella Sfida di Rosi sapeva risplendere più del sole che imbiancava muri e campi di una Campania allora inedita. E con Bolognini (La notte brava e poi La corruzione) aveva dimostrato come la sua bellezza potesse essere usata in funzione drammatica ma anche narrativa, tanto da aprirle le porte a Hollywood. Per questo resta un mistero l’aver accettato di recitare come ”spalla” di Franchi e Ingrassia nel film di un esordiente (L’onorata società di Riccardo Pazzaglia, ancora lontano dall’arboriano ”brodo primordiale”), anche se col senno di poi quel ruolo assomiglia molto a un inascoltato campanello d’allarme. Lattuada e poi Damiani e Festa Campanile cercarono di utilizzare al meglio la sua bellezza e il suo erotismo, ma forse solo La mandragola è davvero rispettosa di un’attrice che può anche spogliarsi (e nella parte della cinquecentesca Lucrezia è davvero indimenticabile) ma che attraverso il suo corpo sa restituire tutte le sfumature di un personaggio fintamente ingenuo. Poi, dalla fine degli anni Sessanta, un cinema italiano appiattito su filoni e luoghi comuni le offrì solo ruoli prevedibili, compresa l’immancabile parte della ”puttana dal cuore d’oro” (in Commissariato di notturna ) né cercare lavoro in Spagna l’aiutò più di tanto, lasciando così in molti spettatori il rimpianto per una bellezza dimenticata troppo in fretta» (Paolo Mereghetti, ”Corriere della Sera” 18/10/2009).