Adriano Sofri, la Repubblica 11/8/2006, 11 agosto 2006
Brecht, l’inattuale la Repubblica, venerdì 11 agosto Ci sono dei cinquantenari da commemorare. Bertolt Brecht morì il 14 agosto del 1956
Brecht, l’inattuale la Repubblica, venerdì 11 agosto Ci sono dei cinquantenari da commemorare. Bertolt Brecht morì il 14 agosto del 1956. La rivoluzione ungherese (continuano a chiamarla "i fatti d´Ungheria") scoppiò e fu schiacciata fra l´ottobre e il novembre del 1956. Dunque, per un paio di mesi o poco più, fu impedito a Brecht di schierarsi dalla parte degli operai ungheresi insorti. Oppure, quel paio di mesi evitò a Brecht di schierarsi dalla parte della sanguinosa repressione della rivolta ungherese. Nessuno può dire che posizione avrebbe preso. Nessuno può dirlo neanche di se stesso, mentre è ancora vivo, e guarda alle insurrezioni e alle repressioni dei propri giorni. C´era stato bensì un precedente, la rivolta operaia del 1953 a Berlino est - la sua città, la città del Berliner Ensemble. Brecht aveva esitato, in privato. Scrisse amaramente: «Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e / ne eleggesse un altro?», ma quei versi restarono nel cassetto. In pubblico, la sua critica aveva finito per confermare la sua fede nel Partito. In un appunto di diario, aveva escogitato l´argomentazione più tortuosa per salvare Partito e Classe. «Avevamo qui davanti a noi la classe, arrivata al massimo della depravazione, ma pur sempre la classe... Nel momento stesso in cui ho visto il proletariato... ancora una volta in preda al nemico di classe, al capitalismo dell´era fascista che si sta rinvigorendo, ho visto anche l´unica forza che era in grado si spuntarla con quell´era». Il proletariato nonostante se stesso. Un argomento così capzioso non ha a che fare, non solo almeno, con un opportunismo. Brecht è davvero diviso. La famosa Lode del dubbio, che conclude in realtà alla necessità dell´azione, può ingannare il lettore. Il comandamento politico della risolutezza è una cosa, la vita un´altra. Nessun protagonista del teatro classico ha interessato Brecht quanto Amleto. Del resto, Amleto non è solo il malinconico principe dell´esitazione e della dilazione. E´ anche lo specialista centellinatore della vendetta. Il monito politico di Brecht è quello: la risolutezza. La classe operaia deve avere la mano ferma: ne va della sua salvezza. E della sua vendetta. Brecht, che credette in quella scassata versione del marxismo che era il "materialismo dialettico", descriveva le due facce delle cose, anche semplicemente ripetendo le stesse parole, come una scala fatta salendo e scendendo, all´andata col punto interrogativo, al ritorno col punto esclamativo. La conclusione aveva in genere il punto esclamativo. E´ quella l´interpunzione prediletta dal Partito. «Per toglier di mezzo una domanda / più spesso di una risposta / basta un´azione». Brecht sapeva però scherzare sulla dialettica, come nei Dialoghi di profughi, dove c´è qualcosa come una sedia a dondolo che va su e giù, la tesi e l´antitesi, fino a che si rovescia e manda tutto a gambe all´aria: la sintesi. Fra le poesie le «Lodi» hanno un posto principale. Tolte le sentenze proverbiali dal teatro (prima viene lo stomaco, poi la morale; infelice la terra che ha bisogno di eroi; cos´è rapinare una banca a paragone di fondarne una?), è da quelle che vengono gli slogan. L´elogio del comunismo: «E´ ragionevole: ognuno lo intende. E´ facile... E´ la cosa semplice che è difficile fare». L´elogio del partito: «Chi è solo ha due occhi, il partito ha mille occhi». Ma chi è il partito? «Siamo noi. Tu e io e voi: noi tutti». L´elogio della dialettica: «Chi ha conosciuto la sua condizione, come si potrà trattenerlo?»... L´intellettuale che Brecht ha voluto essere prende parte, e più esattamente prende partito. Il partito sta fra l´individuo, nome di vanità solitaria, e l´umanità, che maschera lo sfruttamento di una classe sull´altra. A questa persuasione Brecht devolve il suo talento. L´Elogio del partito gli detta versi piatti come: «Il partito non può essere annientato / perché è l´avanguardia delle masse / e conduce la sua lotta / coi metodi dei classici, che sono scaturiti / dalla conoscenza della realtà». E anche quel partito dai mille occhi suona, alla distanza, come un incubo. In Ma chi è il partito? si dichiara la triste regola, che è meglio sbagliare col partito che aver ragione da soli: «Non percorrere senza di noi la via giusta, / senza di noi è / la più sbagliata». Ma guai a far da maramaldi su chi venne prima, e ha fatto il suo tentativo. Tanto meno noi, ancora vivi, che abbiamo avuto il tempo di credere e ricrederci nelle stesse cattive cose. Perfino la signora Angela Merkel ha voluto rivendicare alla Germania riunita il cuore segreto di Brecht. Si può, per amor di patria, sollecitare dolcemente i testi. Del resto i giornali dicono che i tedeschi oggi si ricordano a malapena di un certo Bertolt Brecht. «Volere qualcosa di nuovo, è antiquato, nuovo è volere qualcosa di vecchio». Le commemorazioni, a distanza di cinquant´anni o di cinque secoli, vanno sempre a finire lì: all´ "attualità". L´attualità di Brecht. Sarà facile dichiararlo inattuale. Ancora più facile consacrarlo attuale una volta per tutte, poiché è "un classico" - che è, a uno come lui, fare un gran dispetto. Brecht volle essere un maestro della classe operaia, uno che andava a scuola dal proletariato. Curò di avere una giacchetta stretta, un berretto da lavoratore, un´aria dimessa. Da giovane era stato pieno di sé e voglioso di primeggiare. «Io, Bertolt Brecht... ». Poi i tempi si fecero sempre più bui. «Perché / deve essere menzionato il mio nome?» Il teatro fu il collettivo di Brecht, fiancheggiatore e insieme concorrente del partito. A riguardarla oggi, la sua ossessione per il teatro "epico" e l´Effetto V (Verfremdung, straniamento) sembra meno importante, e più teorizzata che praticata, salva quella "distanza" che permette al teatro una linea meno retta, cioè ottusa, che al partito. Nel teatro, anche il più precettistico, l´eroismo cede il passo alla pazienza, all´astuzia, agli "eroi bastonati". Come Madre Courage. «Grazie al cielo, si lasciano ungere. Non sono lupi, son uomini, e tirano ai soldi. Davanti agli uomini, la corruzione è come la miseria davanti a Dio. La corruzione è la nostra unica speranza. Finché c´è quella, i giudici sono più miti, e in tribunale perfino un innocente può cavarsela». Come l´eroe del mondo che va bene: «Meglio vile che morto / è l´impresa che oppongo ai miei censori. / Per non cadere in mano a quei signori / mi sono messo ad approvare il torto». Come in certi salotti di Santa Monica (l´America non fece per Brecht): visto che tutti i posti erano occupati, ci siamo seduti dalla parte del torto. C´è, nel marxismo di Brecht, il ricorso a un economicismo "popolare" che ne impoverisce il mondo. Nella sua Antigone, la guerra fra tebani e argivi non è più mossa dalla smania di potere, ma da un´impresa economica. Qualcosa del genere succede oggi con il mondo interpretato come una guerra universale per il petrolio. Non che il petrolio non nutra una maledetta fame. Ma guai a togliere il primo posto all´odio e all´invidia. Hitler, l´imbianchino, fu un campione di disinteresse quando si trattò di sterminare più ebrei possibile, prima della disfatta sicura, anche a costo di lesinare i rifornimenti al fronte. Ahmadinejad, quando grida alla distruzione di Israele, smania proprio di distruggere Israele. C´è però anche, in Brecht, un riscatto della fatica mortale delle generazioni passate (e presenti) che nessun giovane lettore dovrebbe mancare. «Tebe dalle sette porte, chi la costruì?... / Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, / i muratori?». Grazie al cielo, il mestiere di intellettuale non è più stretto nella morsa fra transfuga (uno dei nostri) e rinnegato (uno dei loro). E la discussione sull´intellettuale militante (per che cosa?) o puro è ormai stucchevole. Del resto, in democrazia populista e televisiva, è difficile che ci siano grandi e autorevoli personalità: ci sono divi alla portata di tutti, e fans in delirio, in attesa di essere chiamati sul palco dal conduttore. Ma non è finita affatto, anzi, la necessità, e la bellezza, di prendere parte, di partecipare, meglio che di prender partito. Qui c´è una differenza forte. La devozione al collettivo - alla quale si piegò, fino all´idolatria, il comunismo - sembrò la vera scelta dell´intellettuale dall´intervallo fra le due guerre. L´impegno ebbe un ideale positivo e uno negativo, il comunismo e l´antifascismo: che si ridussero a uno, via via che l´Urss, indebolita a morte sul versante del comunismo, si faceva forte dell´antifascismo. Se non era più il Soviet, era Stalingrado. E a lungo, nel secondo dopoguerra, l´antifascismo (sacrosanto) durò come surrogato di una politica di sinistra. Oggi l´intellettuale, mestiere come un altro, deve "prendere parte", ma alla doppia condizione della solitudine personale, e dell´ambizione all´universalità. Deve fare a ritroso la strada che portò a vedere nell´ "uomo" la truffa giocata al proletario. E´ difficile, perché la lotta di classe, e la lotta fra ricchi e poveri, non è affatto finita, e la guerra stringe la terra. La partita si gioca su due tavoli: uno più stretto e comunque irrinunciabile, l´altro grande quanto il pianeta e la sua stessa sopravvivenza. Nessuna fedeltà al collettivo, alla parte, può ridiventare assoluta, può assoggettare la scelta alla disciplina, la singolarità alla moltitudine. All´ipocrisia umanistica bisogna strappar via l´ipocrisia, non l´umanesimo. Brecht pretese l´attenuante dei tempi oscuri. Insistette a suo modo sulla maledetta storia che la rivoluzione non è un pranzo di gala, e tanto meno la resistenza all´Imbianchino: «Ahimè, noi, / che volemmo gettare le basi della bontà / non potemmo noi stessi essere buoni». L´azione politica esigeva che si accantonasse la compassione, la gentilezza. «Oh bello innaffiare il giardino, per far coraggio al verde!». «Ci si accorge di quanto verde c´è sulla terra soltanto quando ci si mette a innaffiare». Era il 1943. Già in quel tempo di piombo gli importava di coltivare il suo giardino. Walter Benjamin, il miglior amico che si possa desiderare, citò il signor Keuner, l´alter ego letterario di Brecht. Keuner ama l´albero gramo nel suo cortile. Gli amici lo invitano con loro nel bosco, e lui rifiuta. Ma come, non aveva detto di amare gli alberi? Il signor Keuner risponde: «Ho detto che amo l´albero nel mio cortile». Adriano Sofri