Stefano Agnoli, Corriere della Sera 8/8/2006, pagina 25., 8 agosto 2006
Generali e Unicredito adesso ripensano il ruolo in Schema28. Corriere della Sera, martedì 8 agosto Da una parte l’ottimismo della volontà dei soci spagnoli e dall’altra il pessimismo della ragione che si sarebbe fatto strada a Ponzano Veneto e dintorni
Generali e Unicredito adesso ripensano il ruolo in Schema28. Corriere della Sera, martedì 8 agosto Da una parte l’ottimismo della volontà dei soci spagnoli e dall’altra il pessimismo della ragione che si sarebbe fatto strada a Ponzano Veneto e dintorni. In particolare tra i compagni di viaggio racchiusi nella holding Schemaventotto: Fondazione Caritorino, Unicredit e le Generali. Questa la sintesi delle reazioni in casa Autostrade- Abertis dopo l’offside fischiato dal governo di Roma sulla fusione. Da Barcellona si è riconfermata ieri l’intenzione di non abbandonare la partita – ma si potrebbe rispondere diversamente? – mentre sulla sponda italiana le perplessità sarebbero al momento più elevate. La lettura degli ultimi sviluppi avrebbe fatto maturare il pensiero che l’operazione sia ormai da considerare sostanzialmente tramontata. A meno di un clamoroso ricorso all’Unione Europea di cui si farebbe carico Abertis, ma che sposterebbe comunque la questione su binari differenti, quasi di scontro tra Stati con accuse reciproche di protezionismo. E la condannerebbe a slittare a tempi remoti. Ma anche l’ipotesi dell’intervento in extremis di una «cordata italiana» viene considerata con scetticismo, soprattutto dopo che analoghe iniziative dei mesi passati, e i diversi contatti preliminari avviati dalle banche d’affari, non hanno poi condotto ad alcuna soluzione pratica. Per mancanza di investitori adeguati? Probabile. Di fatto il cambiamento di scenario conseguente alla decisione dell’esecutivo starebbe consigliando alcuni di quelli che si erano già detti disposti a fare la propria parte a fermarsi e a fare marcia indietro. Come nel caso di Unicredit e Generali, soci di Schemaventotto con il 6,6% che avevano apertamente espresso (in particolare la compagnia assicurativa triestina), la disponibilità a salire e a rilevare eventualmente la quota del 13,3% pre-fusione nelle mani degli spagnoli di Acesa Italia. Ora, cambiate le prospettive e, secondo le critiche più accese, anche le carte in tavola a un’operazione di mercato (attraverso le cosiddette «scuse-spazzatura» evocate dal «Wall Street Journal»), si potrebbe addirittura pensare a un disimpegno più deciso. Da parte di attori preziosi anche per futuri progetti di qualche rilievo strategico, capaci cioè di garantire la merce rara della liquidità e della stabilità nel tempo del loro intervento. In prospettiva poi si potrebbe porre la questione relativa a un altro disimpegno, quello dei Benetton dalla stessa Autostrade. Un tema ancora prematuro, anche se alcuni tra gli stessi investitori non hanno mancato di rilevare come il «no» governativo all’aggregazione transfrontaliera italo-spagnola rappresenti tra l’altro una sorta di sfiducia alla gestione della concessionaria operata dalla famiglia veneta, il segnale cioè di una conduzione non più gradita. In concreto, per ora, i legali e i vertici di Autostrade stanno affrontando il problema di quando e come convocare un’assemblea della società per fare il punto della situazione e, nel caso, spiegare a tutti gli azionisti i motivi che hanno condotto al fallimento. Un appuntamento che potrebbe anche costituire l’occasione per qualche rimprovero. Come quello di aver agito troppo in fretta, nel vuoto di potere e per il timore che il quadro normativo del settore potesse cambiare, e per di più senza «preparare» adeguatamente il terreno. Causando così l’irritazione dell’esecutivo e del presidente del Consiglio Romano Prodi. Stefano Agnoli