Sergio Romano, Corriere della Sera 4/8/2006, pagina 35., 4 agosto 2006
La lezione di Suez. Corriere della Sera, venerdì 4 agosto Il calendario delle ricorrenze storiche riserva qualche sorpresa
La lezione di Suez. Corriere della Sera, venerdì 4 agosto Il calendario delle ricorrenze storiche riserva qualche sorpresa. L’ultima guerra del Libano coincide con il cinquantesimo anniversario di un’altra vicenda di cui Israele fu protagonista. Fra il più recente conflitto mediorientale e la crisi di Suez del 1956 corrono parecchie differenze. Ma anche allora Israele attaccò perché sostenne che la sua sicurezza era minacciata. Anche allora poté contare su un appoggio occidentale. Anche allora la partita si giocò, alla fine, sulle due questioni che hanno dominato negli scorsi giorni il dibattito internazionale: l’interruzione delle ostilità e l’invio di una forza di interposizione. La crisi di Suez cominciò con un lungo prologo, tra la fine del ’55 e gli inizi del ’56. Il colonnello Gamal Abdel Nasser, leader della rivoluzione egiziana del 1952, voleva modernizzare un Paese in cui vi era una sola risorsa naturale: il grande fiume che strappa al deserto una larga fascia di terra dal Cairo ad Alessandria. Per accrescerne i benefici esisteva un progetto ambizioso e costoso: una nuova diga nei pressi di Assuan, a circa 900 chilometri dal Cairo, molto più grande di quelle che erano state costruite da imprese europee fra il 1899 e il 1933. Agli inizi del 1956 la raccolta dei capitali necessari sembrava assicurata. Gli Stati Uniti avrebbero contribuito per 54 milioni di dollari e la Gran Bretagna per 16. Queste somme non sarebbero state sufficienti, ma avrebbero aperto la strada a un prestito più consistente (200 milioni di dollari) della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Esistevano tuttavia due riserve mentali. In primo luogo gli egiziani diffidavano dei prestiti che prevedevano, come all’epoca del debito pubblico ottomano, un diritto di controllo sul bilancio dello Stato debitore. In secondo luogo gli americani erano stati irritati dai contratti per la fornitura d’armi che l’Egitto aveva appena stipulato con alcuni Paesi comunisti. La data d’inizio della crisi è il giorno (18 luglio) in cui il dipartimento di Stato comunicò alla stampa che il governo americano non avrebbe partecipato al finanziamento della diga e motivò la decisione con due argomenti secchi e insolenti: debolezza dell’economia egiziana, instabilità del regime. Quattro giorni dopo Nasser riassunse in una nota per i suoi più stretti collaboratori le conclusioni a cui era stato indotto dalla decisione americana: occorreva nazionalizzare la società del canale di Suez e assumere direttamente la gestione di quella che sarebbe diventata, insieme al Nilo, la maggiore risorsa economica del Paese. Per passare all’esecuzione del progetto, il rais concepì un piano teatrale e militare. Decise di dare l’annuncio nel discorso che avrebbe pronunciato ad Alessandria il 26 luglio, nel quarto anniversario della partenza di re Faruk dall’Egitto. E decise che in quella stessa ora, non appena egli avesse pronunciato dalla tribuna dell’oratore la parola d’ordine, un drappello di militari e funzionari, al comando del colonnello Mahmud Yunes, avrebbe fatto irruzione negli uffici della compagnia del canale e ne avrebbe sigillato gli archivi. La parola d’ordine era «Ferdinand de Lesseps», il diplomatico francese che aveva progettato la grande opera. Quando il suo nome risuonò nella piazza, gli uomini di Yunes entrarono negli uffici della società con la stessa foga con cui le guardie rosse, trentanove anni prima, avevano invaso il Palazzo d’Inverno. E quando, pochi secondi dopo, Nasser annunciò la nazionalizzazione, la piazza esplose in un urlo di gioia. Secondo un giornalista francese, Jean Lacouture, che assistette alla manifestazione di Alessandria e la descrisse più tardi in una biografia di Nasser, il discorso del rais fu una straordinaria combinazione di ironia, sarcasmo, ardore patriottico, furia anticapitalista: il cocktail di cui le masse arabe, in quel momento, erano maggiormente assetate. A Parigi e a Londra le reazioni furono rabbiose. In Francia il presidente del Consiglio era Guy Mollet, un socialista profondamente convinto che la rivolta algerina, scoppiata due anni prima, fosse sobillata dal Cairo. A Londra il premier era Anthony Eden, un conservatore da poco succeduto a Churchill, profondamente convinto che il canale di Suez fosse la «via dell’Impero», la chiave di volta del Commonwealth britannico. L’uno e l’altro erano stati segnati dall’esperienza del 1939 e vedevano nel leader egiziano un nuovo Hitler, di cui occorreva stroncare sul nascere i progetti eversivi. Mollet, in particolare, aveva letto Filosofia della rivoluzione, il libro in cui Nasser aveva esposto la sua dottrina social-nazionale, e lo considerava un pericoloso Mein Kampf del nazionalismo arabo. Né l’uno né l’altro ritenevano che l’era del colonialismo europeo (il «fardello dell’uomo bianco», come lo aveva definito Kipling) fosse definitivamente tramontata. Se non tenessimo conto dei sentimenti con cui Mollet e Eden accolsero il discorso di Alessandria, non comprenderemmo gli avvenimenti dell’autunno. La svolta, dopo le inutili giostre diplomatiche dell’estate, ebbe luogo il 21 ottobre. La scena fu un padiglione del castello di Sèvres, nei pressi di Parigi, scelto probabilmente per la sua vicinanza all’aeroporto militare di Villacoublay. A un tavolo rettangolare sedevano due piccoli gruppi di persone: tre francesi e quattro israeliani. I francesi erano Guy Mollet, il ministro degli Esteri Christian Pineau e il ministro della Difesa Maurice Bourgès-Maunoury. Gli israeliani erano il miglior quartetto che il loro Paese abbia messo in campo dal giorno della sua nascita: Ben Gurion, Golda Meir, Moshe Dayan, Shimon Peres. La riunione, convocata nella massima segretezza, era stata chiesta dagli israeliani e cominciò con un intervento di Ben Gurion. Annunciò che Israele aveva deciso di attaccare l’Egitto e che le sue forze armate erano certe di poter battere gli egiziani sul terreno. Ma avevano bisogno dei caccia francesi e dei bombardieri britannici. I primi avrebbero tenuto a bada l’aviazione egiziana, i secondi avrebbero distrutto sul terreno la flotta aerea di Nasser. Gli uni e gli altri avrebbero risparmiato a Israele il bombardamento delle sue città e permesso alle sue forze armate di proseguire la loro avanzata nel Sinai. Nelle sue memorie, pubblicate vent’anni dopo, Pineau ricorda che l’accordo fu raggiunto tre giorni dopo e firmato a Sèvres il 24 ottobre. Gli israeliani avrebbero attaccato, i francesi e gli inglesi avrebbero finto di interporsi come potenze neutrali e avrebbero occupato il Canale. Se gli egiziani avessero reagito, gli inglesi e i francesi avrebbero fatto uso della forza. L’operazione israeliana scattò il 29 ottobre quando i paracadutisti israeliani, comandati da Ariel Sharon, vennero lanciati nel Sinai. Nei giorni seguenti ciascuno fece la sua parte. Gli inglesi e i francesi chiesero ai due contendenti di deporre le armi, i Canberra britannici bombardarono gli aeroporti egiziani, i paracadutisti delle due potenze europee scesero sul canale e ne occuparono le sponde. Sul piano militare l’operazione stava dando eccellenti risultati. Ma la guerra della politica e della diplomazia, che si combattè contemporaneamente a Washington, a Mosca e all’Onu, trasformò la vittoria anglo-francese in una disastrosa sconfitta. Il colpo di grazia, tuttavia, non venne né dai minacciosi proclami del leader sovietico Kruscev, né dalle risoluzioni che si discussero al Consiglio di sicurezza mentre ancora proseguivano, nel Sinai e sul canale, le operazioni militari. Venne dalle indispettite reazioni del presidente americano Eisenhower, allora impegnato nella campagna elettorale per la rielezione. Mentre la Casa Bianca taceva, la Federal Reserve lanciò un attacco incruento, ma micidiale contro la sterlina. Il 6 novembre, alle quattro del pomeriggio, Eden telefonò a Mollet per dirgli che la sterlina era in ginocchio e che Eisenhower gli aveva chiesto perentoriamente di cessare le ostilità entro dodici ore. Il presidente del Consiglio francese gli suggerì di chiedere almeno due giorni, il tempo necessario per completare l’operazione. Affranto, Eden rispose: «Ho già accettato». Insieme al dramma che si consumava in quelle stesse ore a Budapest, dove i sovietici stavano schiacciando la rivoluzione ungherese, Suez ha tagliato in due parti la storia del mondo. La Gran Bretagna rinunciò all’impero e decise che non avrebbe fatto nulla, da quel momento, contro la volontà degli Stati Uniti. La Francia, soprattutto dopo l’avvento di de Gaulle al potere, decise che non avrebbe mai più rinunciato, da quel momento, agli strumenti della sua indipendenza politica e militare. Gli Stati Uniti subentrarono alle due potenze europee in Medio Oriente. L’Unione Sovietica sfruttò la rabbia araba per contrastare l’influenza americana. Morirono due imperi europei, si rafforzarono l’impero americano e quello sovietico. E Israele, infine, vinse la sua guerra, Ma in circostanze che avrebbero attizzato il fuoco del nazionalismo arabo-musulmano e creato le condizioni per guerre future. Sergio Romano