Maurizio Molinari, La Stampa 10/8/2006, pagina 21., 10 agosto 2006
America sull’orlo del crac e i politici non fanno nulla. La Stampa, giovedì 10 agosto Gli Stati Uniti sono sull’orlo della bancarotta: la provocatoria tesi è di Laurence Kotlikoff, docente di Economia della Boston University, che l’ha messa nero su bianco in un’analisi pubblicata dal Centro studi della Federal Reserve di St Louis
America sull’orlo del crac e i politici non fanno nulla. La Stampa, giovedì 10 agosto Gli Stati Uniti sono sull’orlo della bancarotta: la provocatoria tesi è di Laurence Kotlikoff, docente di Economia della Boston University, che l’ha messa nero su bianco in un’analisi pubblicata dal Centro studi della Federal Reserve di St Louis. Perché gli Stati Uniti rischiano di fare bancarotta? «Perché sono alle prese non solo con debiti ufficiali considerati gestibili ma anche con debiti non-ufficiali che sono enormi. Calcolando entrambi il deficit fiscale è, secondo due diverse analisi fatte di recente, di 63,3 trilioni di dollari mentre il debito ufficialmente ammesso dal governo è di circa 5 trilioni. I numeri veri sono diversi da quelli ufficiali del governo e farvi fronte implicherebbe un aumento delle imposte dirette del 70 per cento oppure una riduzione drastica dei benefici-base per gli anziani e i pensionati, che dovrebbero essere dimezzati. Gli aggiustamenti dovrebbero essere di entità tali che solamente un potere politico molto forte, determinato e maturo potrebbe realizzare». Quali sono i debiti non ufficiali che portano queste due analisi a calcolare un rosso complessivo di 63 trilioni di dollari? «Vengono dal risultato del calcolo del peso fiscale conseguente ai pagamenti che dovranno essere fatti nel prossimo futuro a favore di anziani e pensionati oltre alle spese per la difesa e il funzionamento del governo. L’esecutivo ha assunto impegni per il futuro che nel caso migliore ammontano a 63 trilioni, potrebbero in realtà essere molti di più». Quando potrebbe avvenire la bancarotta? «Oggi pomeriggio stesso. Le nazioni finiscono in bancarotta se la gente smette di acquistare titoli di Stato o di possederli e inizia a venderli, i tassi di interesse salgono, il debito pubblico aumenta, la valuta si indebolisce e il governo è obbligato a stampare più moneta per acquistare i titoli che emette ma nessuno acquista sui mercati. così che si innesta un meccanismo che vede il governo stampare moneta sufficiente solo per pagare i propri conti. Metà del governo emette i titoli e l’altra metà, la Banca centrale, li acquista. Alla fine di questa strada c’è non l’inflazione ma l’iperinflazione e questo è ciò che potrebbe avvenire negli Stati Uniti». Come evitare questo scenario? «L’unica maniera è la riforma delle pensioni e del sistema fiscale ma non c’è alcun leader politico in circolazione determinato a realizzarle sul serio». Perché nel suo studio fa riferimento anche all’immigrazione? In che maniera gli immigrati potrebbero aiutare a scongiurare la bancarotta americana? «L’immigrazione potrebbe essere utile riuscendo a far arrivare persone che portano denaro. Gli immigrati che facciamo arrivare negli Stati Uniti hanno invece bisogno di tutto, richiedono spese di polizia, sanità, istruzione e accoglienza e, a conti fatti, le loro rimesse fiscali coprono a malapena queste uscite. Un’immigrazione di questo tipo non aiuta l’America, come neanche l’Europa, a risolvere i problemi fiscali, anzi li complica. Abbiamo bisogno di immigrati diversi: più colti, di mezza età, capaci di vivere con quello che guadagnano dopo l’arrivo. Ogni Paese del mondo vorrebbe averli, tutti tentano di attirarli e alcuni, come ad esempio il Canada, riescono a farlo meglio degli Stati Uniti». Che opinione si è fatto del nuovo presidente della Federal Reserve Bernanke? Come affronta i rischi di disastro fiscale che lei descrive nel suo studio? «Bernanke è uno dei migliori del mondo, un economista di prima classe. Ma che si tratti di Bernanke o Greenspan quando la politica fiscale è il rischio maggiore il capo della Federal Reserve dovrebbe fare di tutto per abbassare i tassi di interesse, che sono ancora decisamente alti. I mercati finanziari ora hanno paura ma avrebbero dovuto averla cinque anni fa. Le crisi finanziarie quando arrivano sono precipitose, si sviluppano in 24 ore, come è avvenuto negli anni passati in Argentina, Russia, Israele e Bolivia». Perché in alcuni suoi articoli lei fa riferimento a Modigliani? «Franco Modigliani era un mio buon amico e il suo modello si sta avverando nell’economia americana. Lo dimostra il fatto che abbiamo un tasso nazionale di risparmio del 2 per cento rispetto al 12-15 per cento degli anni Cinquanta e Sessanta. Il governo prende i soldi ai giovani e li dà agli anziani sotto forma di pensioni e benefici sanitari creando pericolosi squilibri, come ad esempio il fatto che sono le persone della terza età a consumare di più. Modigliani aveva indovinato la natura degli squilibri dell’America». Maurizio Molinari