La Repubblica 08/08/2006, pag.33 Maurizio Ricci, 8 agosto 2006
Dal maxi serbatoio nella tundra il greggio che fa andare l´America. La Repubblica 8 agosto 2006.Un colpo che fa sparire d´improvviso 400 mila barili di petrolio al giorno, la metà dell´impatto degli uragani di un anno fa, Rita e Katrina
Dal maxi serbatoio nella tundra il greggio che fa andare l´America. La Repubblica 8 agosto 2006.Un colpo che fa sparire d´improvviso 400 mila barili di petrolio al giorno, la metà dell´impatto degli uragani di un anno fa, Rita e Katrina. E´ l´8 per cento della produzione nazionale americana, oltre il 2,5 per cento di tutto il petrolio che arriva sul mercato Usa. La decisione della Bp di chiudere i suoi pozzi di petrolio in Alaska, perché gli oleodotti che lo trasportano non reggono più e rischiano di allagare la tundra, intacca i fragili equilibri del mercato internazionale, perché colpisce quelli del mercato più importante, quello americano, che da solo assorbe un quarto del greggio mondiale. In una situazione dominata da mesi dall´isteria, dove gli operatori, a New York come a Londra, sono convinti, quali che siano i livelli delle riserve già stoccate nei depositi, che il petrolio sia ormai diventato una risorsa scarsa, i prezzi sono di nuovo ripartiti verso l´alto. Ad alimentare l´ondata di panico c´è l´ammissione della Bp, che dichiara di non sapere quando potrà riprendere la produzione. E, soprattutto, la realizzazione che questa nuova frustata al mercato non viene dalle guerre e guerriglie d´Africa o dai rischi geopolitici del Medio Oriente, che incendiano le quotazioni da mesi. Ma da un crollo della produzione nel cortile di casa, in una delle aree più affidabili del mondo. Peggio. Non si è trattato né del destino imprevedibile, come per gli uragani, né di un incidente. Piuttosto, di una eccessiva fiducia nella tecnologia. La Bp ha cominciato a chiudere, domenica mattina, i pozzi di Prudhoe Bay (che gestisce per conto anche di altri giganti come Exxon, Conoco e Chevron) perché un controllo straordinario in 16 postazioni, lungo l´oleodotto, aveva rivelato che, in 12 di esse, lo spessore del tubo era stato corroso oltre la soglia di sicurezza, con il rischio di crepe attraverso cui il greggio poteva raggiungere il terreno. A marzo, questo era già avvenuto su uno dei rami dell´oleodotto. Quasi 300 mila barili di greggio erano finiti nella tundra, prima che il braccio venisse chiuso e sostituito da un gigantesco by pass. Operazione impossibile, ora, perché i danni sono molto più estesi. Né i normali controlli del tubo con i raggi X, né quelli con gli ultrasuoni avevano finora rivelato nulla. C´è voluto lo «smart pig», il maiale intelligente, in sostanza un robot che si muove all´interno dell´oleodotto per rivelare i danni della corrosione, forse dovuti all´anidride carbonica contenuta nel flusso di greggio. Non aiuta a calmare le inquietudini il fatto che i tecnici abbiano ammesso, nonostante l´incidente del marzo scorso, di essere stati colti completamente di sorpresa. «E´ stata una scoperta assolutamente inaspettata», ha dichiarato Steve Marshall, il capo delle operazioni del gigante petrolifero in Alaska. In questa situazione di generale sbandamento, il colosso petrolifero britannico (una delle sei maggiori compagnie petrolifere al mondo) ha annunciato, comunque, che la produzione potrà riprendere solo quando tutte le esigenze di sicurezza saranno soddisfatte. Un impegno che, secondo molti esperti, può comportare la costruzione da zero di un nuovo oleodotto, con il conseguente allungamento ad una data oggi imprevedibile dei tempi di normalizzazione nei pozzi di Prudhoe Bay. Per una volta, non sono solo gli ambientalisti ad applaudire a questo impegno. Anche per i politici dell´Alaska, uno stato che trae una fetta cospicua delle sue risorse dalle royalties sull´estrazione del petrolio, la difesa di un ecosistema fragilissimo come la tundra artica è imprescindibile. «Non possiamo permetterci - ha detto il presidente della Camera dei deputati statale, John Harris - un´altra Exxon Valdez», la petroliera che, nel 1989 rovesciò centinaia di migliaia di barili di greggio sulle coste dell´Alaska. La scomparsa di 400 mila barili dalle forniture quotidiane di greggio al mercato è di un ordine di grandezza non lontano dai danni della stagione degli uragani 2005. Rita e Katrina, a metà settembre dell´anno scorso, comportavano una perdita di produzione pari a 843 mila barili al giorno. Secondo Tetsu Emori, un analista della giapponese Mitsui Bank, l´impatto potrebbe far schizzare il prezzo del greggio anche di 10 dollari, fino a quota 85. In realtà, almeno nell´immediato, il rischio di una caduta nell´offerta di petrolio non c´è. Secondo le statistiche, le riserve di greggio nelle raffinerie americane sono alte e c´è comunque la possibilità di ricorrere ai 700 milioni di barili stoccati nelle riserve strategiche americane ed europee, come avvenne per gli uragani, quando i riflessi sui prezzi furono, alla fine, contenuti. Tuttavia, il prezzo del petrolio è, oggi, materia di psicologia quanto di dati economici. Nessuno sa quando i pozzi di Prudhoe Bay torneranno in produzione. E, nel Golfo del Messico, la stagione degli uragani sta iniziando adesso. Maurizio Ricci