Note: [1] Vittorio Zucconi, la Repubblica 2/8; [2] Il Messaggero 4/8; [3] Arturo Zampaglione, la Repubblica 2/8; [4] Paolo Mastrolilli, La Stampa 3/8; [5] Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 3/8; [6] Gherardo Milanesi, Avvenire 2/8; [7] Rocco Cotroneo, Co, 5 agosto 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 7 AGOSTO 2006
Domenica Fidel Castro dovrebbe compiere 80 anni. Dovrebbe perché la settimana scorsa una misteriosa «emorragia intestinale» l’ha costretto a cedere il potere al fratello minore Raùl. Vittorio Zucconi: «Sarebbe stato l’Onnipotente a fare quello che la Cia, il Pentagono e la Casa Bianca non sono mai riusciti a fare: piegare Fidel Castro e costringerlo a lasciare». [1] Fabian Escalante, ex capo dei servizi segreti dell’Avana, ha contato 638 tentativi di assassinare il Líder Máximo (sigari esplosivi ecc.). [2]
Castro è già morto? Un Luis Sanchez esule a Miami: «Se fosse vivo non avrebbe mai ceduto il potere». [3] Paolo Mastrolilli: «Il primo sospetto nasce dal fatto che la notizia non l’ha data lo stesso Castro, come era successo quasi sempre quando aveva avuto problemi di salute. Davanti alle telecamere è andato il suo segretario, Carlos Valenciaga, per leggere le parole che in teoria erano uscite dalla bocca di Fidel». [4] Mel Martinez, primo senatore Usa nato a Cuba: «Ho una sensazione: non lo rivedremo più». [5] Gherardo Milanesi: «Le analisi di numerosi specialisti interpellati persino in Italia concordano su due possibili ipotesi: ulcera perforante o cancro al colon». [6]
Castro adora giocare al gatto e topo con l’opinione pubblica e la stampa internazionale. Rocco Cotroneo: «A volte sparisce per mesi e gli analisti di Miami corrono a intervistare i medici. Sarà morto? Come l’avete visto l’ultima volta? Avrà il Parkinson? Poi, senza alcun particolare motivo, riappare in pubblico e non molla più la scena». [7] Mimmo Càndito: «Che Fidel sia vivo e in ottima salute o che invece stia davvero male, anzi malissimo, anzi forse moribondo o perfino già morto e tenuto in frigorifero l’una verità o l’altra non crea granché di differenza: di fatto, il dopo-Castro è ormai cominciato». [8]
«Fidel Castro è la principale forza della rivoluzione, ma anche la sua principale debolezza» (Garcia Marquez). Maurizio Matteuzzi: «Lui ”è” - o ”era” - la rivoluzione. E la grande incognita di questo momento è capire se è riuscito nel suo sforzo più grande: dare alla sua creatura la forza e le gambe per poter camminare anche dopo e senza di lui». [9] Zucconi; «Dopo avere lavorato per decenni al rovesciamento del socialismo cubano e aver sognato la fine di Castro, ora la Presidenza Bush e i suoi apostoli del ”regime change”, tutto vogliono meno che una transizione violenta a Cuba, uno scatenamento di appetiti e di vendette per contendersi le proprietà espropriate 40 anni or sono. Un mini Iraq caraibico a 90 miglia da Key West e dalla Florida costringerebbe Washington a intervenire». [1]
Non è più Castro che fa paura a Bush, è il dopo Castro. [1] Gli americani delineano almeno una ventina di scenari possibili. Matteuzzi: «Ma gli analisti della Cia in questi 47 anni non ci hanno mai azzeccato per cui non sono da prendere molto sul serio». [9] Armando Valladares, poeta ed eroe della resistenza democratica: «Nel governo cubano esistono diversi gruppi e tendenze ostili tra loro, e Castro, come un domatore di iene con la frusta in mano, impedisce che si divorino tra loro». Morto Castro, i vari gruppi «lotteranno uno contro l’altro, e a quel punto sì, avverrà uno spargimento di sangue. Non so quanto grande, ma ci sarà». [10]
Cuba non è il paradiso in terra. Gianni Vattimo: «Vero, ma la questione sembra essere un’altra: è Castro che non è riuscito a costruire un regime tollerabile perché è cattivo, o sono gli Stati Uniti che sono cattivi? In fondo Castro è un’occasione mancata, e il fatto che la successione sia difficile ne è una dimostrazione. Del resto ci deve essere qualche ragione per cui l’individuo cosmico storico, come direbbe Hegel, non riesce a tramandare la sua discendenza». [11] Le ipotesi sulle quali si lavora sono due. Omero Ciai: «Secondo la prima Fidel Castro è effettivamente grave. Ciò che ha provocato il ricovero e la difficile operazione poteva anche portarlo alla morte e, per questo, per una ragione di forza maggiore, il capo supremo è stato costretto a cedere i poteri. Prova di ciò sarebbero il fatto che la lettera-proclama è successiva e non precedente all’operazione». [12]
L’altra ipotesi è quella di una crisi momentanea che si trasforma in prova generale. Ciai: «Fidel Castro non sarebbe in pericolo di vita ma avrebbe approfittato della défaillance per osservare che cosa potrebbe accadere nell’isola quando lui effettivamente lascerà il regno dei vivi. Una sorta di work in progress, di lavori in corso, durante il quale lo stesso Fidel, nell’ombra, può mettere a punto dettagli o sostituire personaggi». [12] Vladimiro Roca, economista, dissidente e leader del gruppo fuorilegge Todos Unidos: «Tutto questo può anche essere un’occasione per scatenare un’ondata repressiva. L’ultimo trucco. In passato Fidel ci ha abituato a questi giochi». [13]
La dittatura di Castro potrebbe finire come quella di Franco nel ’75. Càndito: «Francisco Franco, dittatore per 40 anni d’una Spagna immobile nel tempo, venne ricoverato d’urgenza in ospedale e vi restò - morto vivente - per due lunghi infiniti mesi d’agonia. Ma quella sua agonia senza fine finì per far elaborare il ”lutto” a una società che temeva il ritorno dei furori della Guerra Civil, e facilitò il processo d’una transizione che poi divenne modello per i popoli dell’America Latina. Oggi, l’accantonamento ”provisional” di Fidel potrebbe avere la stessa, straordinaria, funzione di preparazione morbida alla transizione». [14]
L’assenza di immagini di Fidel ha diffuso la ”teoria del golpito”. Ciai: «Raùl avrebbe preteso o ordinato la lettura della lettera per accelerare una successione che, annunciata da tempo, sembrava allontanarsi sempre di più. E perché l’avrebbe fatto? abbastanza noto che l’accordo sulla transizione post-Castro, sottoscritto dalle varie anime del regime e del partito comunista, vedeva un compromesso tra gli uomini di Raùl (ossia i generali delle Forze armate, padroni del potere militare e di gran parte di quello economico) e i rampanti trenta-quarantenni della generazione dei cosiddetti ”talibani” guidati dal ministro degli Esteri Perez Roque e appoggiati apertamente dal venezuelano Hugo Chavez. Se i primi sono il passato che può tramontare insieme a Castro non c’è dubbio che i secondi sono l’unica vera speranza di sopravvivenza per il regime. Ora c’è un particolare che può aver messo in grave allarme i generali. Nell’ultima intervista concessa da Castro, quella all’intellettuale no global Ignacio Ramonet, l’ex lìder maximo prefigura ad un certo punto la possibilità di un salto generazionale nella successione. Direttamente da lui ai ”talibani” senza passare per Raùl. Ecco la necessità dell’accelerazione». [15]
Li chiamano «los Talibanes» ma non sono affatto sfegatati del dio Castro. Càndito: «O, quanto meno, non ne sono sfegatati fino al punto da non saper riconoscere che comunque soltanto una flessibilizzazione del regime e un progetto in qualche modo riformista, possono dare risposte credibili ai malesseri forti d’una società che teme il cambio e però anche lo vuole. I due nomi di punta sono quelli del medico-economista Carlos Lage, 54 anni, che è stato l’uomo che ha aperto alla liberalizzazione e al mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la durissima crisi che ne seguì, e Felipe Pérez Roque, 41 anni, segretario particolare di Fidel per 7 anni e oggi potente ministro degli Esteri. Nessuno è un Gorbaciov, e neppure un Deng, ma sono loro gli uomini del nuovo potere, loro hanno nelle mani il futuro dell’isola». [8]
Da tempo, spinta dagli alti costi delle materie prime (soprattutto nichel) e dal corposo incremento dell’interscambio con Venezuela e Cina, l’economia cubana cresce a ritmi sostenuti (11% secondo Gianni Minà). [16] Ciai: «Ma questo non si traduce in alcun benessere per la popolazione perché il sistema è troppo centralizzato e chiuso. E quindi via al mercato, all’iniziativa privata, agli investimenti stranieri, se questo non comporterà nessuna cessione di potere reale, civile e politico, del Partito comunista». [17] Jaime Suchlicki. direttore del dipartimento di studi su Cuba dell’Università di Miami: «I militari, il partito e l’apparato di sicurezza si sono fatti carico di assicurare la continuità della Revoluciòn ”fino al prossimo millennio”. Dunque, niente glasnost né perestroika alla Gorbaciov». [18]
L’Europa Centrale e la Russia sono passate dal comunismo al capitalismo nel modo peggiore per la gente. Lo storico britannico Richard Gott (Cuba, A New History): «Anche in America Latina la trasformazione dal capitalismo di Stato degli anni 60-80 a una forma brutale di neoliberismo, è stata un’esperienza tragica per milioni di persone. Se i cubani potessero, nella loro transizione, utilizzare l’esperienza dell’Europa Centrale ed evitare di imitarla, sarebbe una grande opportunità». [19] Minà: «I cubani, anche quelli che sono stanchi del socialismo e della retorica della rivoluzione sanno perfettamente che la loro sicurezza sociale sarebbe impensabile se i governi di Washington avessero potuto imporre modelli come quello segnalato nel sito del Dipartimento di stato e intitolato Cuba Libre, un piano di cinquecentocinquanta pagine dove si parla di una transizione nell’isola pilotata come sempre da Washington». [16]
Una cosa è certa: il successore, per adesso, è Raùl Castro. Dal crollo del comunismo sovietico, controlla attraverso i suoi generali il potere economico, turistico e commerciale dell’isola, in un’«apartheid che estromette i cubani dalle loro spiagge, dal loro mare e dalle loro ricchezze». Carlos Franqui: «Filosovietico e anticinese viscerale (nel ’64 entrò persino in conflitto con Guevara per il suo maoismo), l’anno scorso fece una visita in Cina che aprì le porte di Cuba al gigante asiatico. nota la sua posizione di aprire Cuba alla via cinese: libertà economica e assoluto controllo politico, normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, con la garanzia che non ci saranno fughe massicce dall’isola né spargimenti di sangue». [20]