Varie, 4 agosto 2006
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Schwarzkopf Elisabeth
• Jarocin (Polonia) 9 dicembre 1915, Schruns (Austria) 3 agosto 2006. Soprano. «Quando, nell’abito lungo nero che faceva ancor più risaltare i capelli biondi, accanto alla massa nera del pianoforte, cantava Alla musica, il Lied di Franz Schubert che ringrazia ”quell’arte sublime”, sembrava davvero che la verità stessa, l’essenza della musica avesse scelto come propria dimora la sua voce. [...] alcune delle sue migliori interpretazioni: il Don Giovanni di Londra del 1947, Le nozze di Figaro a Salisburgo con Karajan, il Fidelio di Beethoven diretta da Furtwängler nel 1950, La carriera di un libertino di Igor Stravinskij cantata alla prima mondiale della Fenice di Venezia nel 1951, la Messa da Requiem di Verdi alla Scala con Victor De Sabata sul podio. La struggente malinconia della Marescialla nel Cavaliere della rosa di Richard Strauss. La Schwarzkopf nasce nel 1915 a Jarocin, una località oggi in territorio polacco, allora prussiana; non ha ancora vent’anni quando viene ammessa - all’inizio come mezzosoprano, grazie ai colori scuri e alle profondità di cui era capace la sua voce - alla Hochschule di Berlino. Gli studi di canto si alternano a quelli di pianoforte e di viola, di armonia e contrappunto, contribuendo in maniera decisiva alla formazione di una personalità musicale completa, intelligente e sensibile, istintiva e analitica, coniugando qualità che raramente si trovano riunite assieme nello stesso cantante. Il temperamento drammatico si fonde con notevoli doti di agilità e di straordinaria proprietà nella dizione, nello svelamento cioè dei significati più segreti di una parola, di una frase. Dopo un debutto nel Parsifal di Wagner, autore che non rientrerà più tra i suoi favoriti, viene scritturata per più stagioni dall’Opera di Vienna e firma nel 1946 un contratto in esclusiva con la Emi, fortemente voluto da Walter Legge, direttore artistico dell’etichetta inglese. Il sodalizio professionale si trasforma presto anche in relazione sentimentale, poi in matrimonio. La Schwarzkopf diventa cittadina inglese - nel 1992 la regina Elisabetta le conferirà il titolo di Dame - e anche così si allontana dalle polemiche, mai del tutto sopite, sul suo comportamento politico durante gli anni del nazismo. Nel giugno 1946, la commissione interalleata incaricata di esaminare i casi di alcuni grandi musicisti - con lei, Furtwängler e Karajan - decide di archiviare la pratica, anche grazie alle dichiarazioni di numerosi orchestrali e di altri cantanti che testimoniarono ”la sua iscrizione al partito, ma non la sua convinzione nazista”. Lei preferì tacere, non dimostrando mai la disinvolta sincerità scelta da Karajan - ”Mi sono iscritto al partito per fare carriera” - né la consapevole tragicità di Furtwängler: ”Sono rimasto in Germania per non consegnare Beethoven e Brahms, cioè il vero spirito tedesco, ai demoni del Reich”. Come racconta lo studioso inglese Alan Jefferson in una biografia del 1996 che attinge a fonti e archivi indiscutibili, i rapporti della cantante - tessera numero 7548960, dossier di 200 pagine al Berlin Document Centre - con i massimi dirigenti del regime, a cominciare da Goebbels, furono frequenti e intensi, al punto che soltanto la Schwarzkopf riusciva a spuntare cachet superiori ai massimi consentiti per legge. La caratura artistica, il temperamento ferreo, la durezza nei rapporti professionali, le protezioni politiche lo consentivano. Prediletta da Richard Strauss, di cui interpretò in modo indimenticabile gli Ultimi quattro Lieder, premiata da Arturo Toscanini nel 1955 con l’Orfeo d’oro, la Schwarzkopf si ritirerà dalle scene nel 1971, dedicandosi poi brevemente all’insegnamento. Quando l’addio alla carriera era ormai imminente, si concesse delle graffianti affermazioni a proposito del divismo e delle colleghe «dive»; in primo luogo, naturalmente, Maria Callas, da cui tutto sembrava dividerla: ”Penso che per fare tutto quello che il pubblico si aspetta da una diva bisogna perdere molto tempo: e io non ce l’ho. Molte cantanti si sono rese famose con i loro atteggiamenti, io sono riuscita a raggiungere la stessa fama senza sacrificare la mia preparazione musicale a favore delle trovate pubblicitarie. E allora mi domando: sono proprio indispensabili?”. Elegante e capace di intensa emotività, musicista vera, sensibile al respiro della melodia e alla campata architettonica della frase, dotata di un superiore controllo stilistico e di una verve teatrale che le ha consentito di rendere anche il ruolo di Pamina nel Flauto magico e di essere una convincente Vedova allegra, Elisabeth Schwarzkopf è stata, e resterà, un’impareggiabile interprete liederistica. Quando la musica non ha bisogno delle scene, dei costumi, della tangibile presenza della rappresentazione, ma, per vivere, si affida al solo potere, evocativo e immateriale, del suono e della parola; lì, sapeva trovare la strada dell’assoluto, della verità possibile a quest’arte» (Sandro Cappelletto, ”La Stampa” 4/8/2006). «Se i cantanti capissero una buona volta che la loro arte è un fatto di cultura, intelligenza e sensibilità molto prima che di fonazione, corde vocali e tecniche d’emissione, il mondo musicale sarebbe migliore. [...] Se mai infatti v’è stata cantante che interpretasse e servisse la musica attraverso le qualità di cui sopra, questa è stata la signora Schwarzkopf, una che le parole che cantava, le azioni che rappresentava, i significati che esprimeva: qualunque cosa facesse - musica lirica, da camera, liederistica, sacra - sapeva comunicare al pubblico la cultura, il pensiero, l’intuizione che stava alla base di quelle opere. Col che non si dice affatto, come si potrebbe pensare, che colmasse con la testa una tecnica vocale approssimativa. Anzi, il timbro era vellutato, l’intonazione cristallina, le agilità impeccabili. Semplicemente, quando vestiva i panni della Marescialla del Cavaliere della rosa di Strauss - per dire di una parte nella quale non aveva confronti - non si badava a fiati, emissione, fraseggio e quisquilie di tal genere ma si veniva investiti dalla malinconia di quel personaggio: quel tipo di malinconia che va oltre il senso di smarrimento per la perdita di qualcosa che non è più (la giovinezza perduta, ad esempio) e sfiora la dimensione della nostalgia della cosa che c’è, la nostalgia di una bellezza presente ma intangibile. E intelligente, la Schwarzkopf, lo è sempre stata anche nello scegliersi il repertorio adatto, ben consigliata in ciò anche dal marito, quel signor Walter Legge cui si deve una parte cospicua dell’autorevolezza e del successo della casa discografica Emi: Mozart, in primis, e Brahms, Beethoven, Strauss, la musica sacra di Bach, per non dire di quella miniera di delizie che è il repertorio liederistico (bella, a proposito, l’iperbole di Bortolotto quando nel suo libro sui Lieder dice che per ascoltare quelli di Strauss cantati da lei bisogna mettersi in ginocchio). Intelligente inoltre lo è stata nel capire quand’era arrivato il momento di smettere, al principio degli anni Settanta, quando il fisico e la voce la sostenevano ancora ma l’intensità interpretativa e la forza espressiva non sarebbero state più le stesse. Fu lunga ma non lunghissima, dunque, la sua carriera - con direttori come Wilhelm Furtwängler, Otto Klemperer, Vittorio de Sabata e Herbert von Karajan - perché dopo gli studi regolari alla Hochschule di Berlino - canto, ma anche pianoforte, viola, armonia e contrappunto - e un breve apprendistato in provincia, aveva debuttato cantando Kundry nel Parsifal di Wagner. Quella sì che non era una parte tagliata su misura per lei, ma rappresentò comunque l’inizio di una carriera meravigliosa, nei massimi teatri d’opera: Vienna, Berlino, Parigi, Milano (dove era sempre Toscanini a volerla) e soprattutto Londra, città che amò fino al punto da assumere la nazionalità britannica. A proposito di nazionalità, era nata nei pressi di Poznan il 9 dicembre. In Polonia, dunque, ma da famiglia prussiana da più generazioni, il che contribuì senz’altro a formare quel suo carattere determinato nella vita quanto flessibile nell’arte. Non si meritava che all’indomani del ritiro dalle scene vi fu chi l’accusasse d’aver aderito nel 1939 al Nazismo. Si chiamava Testanera ma l’aveva fatto, al pari di decine e decine di artisti tedeschi, solo per non metter fine alla carriera appena sbocciata. Come disse lei stessa, era come fosse stata costretta a iscriversi a un sindacato di categoria. Onore agli esuli; ma per molti restò difficile darle contro» (Enrico Girardi, ”Corriere della Sera” 4/8/2006). «[...] Era considerata la cantante mozartiana e straussiana per eccellenza, e persino il maestro Karajan, non dirò Furtwängler che non aveva un grande orecchio, se ne giovò assai, non ricevendone molta gratitudine post obitum. Era una donna bellissima, e nel costume della Marescialla faceva gran figura. Purtroppo la voce era piccola e corta; stridula e non intonatissima; coi pianissimo la dava a bere e commuoveva. La dizione non certo esemplare, con un difetto di pronuncia, la sch al posto della esse, che non s’era mai curata di correggere. Che le venisse di gran lunga posposta la sublime Lisa Della Casa, sia nel ruolo favorito, sia in quello della Contessa di Mozart, sia nei Quattro ultimi Lieder di Strauss, mostra ancora e sempre quanto l’umano giudizio dipenda dal caso e dal capriccio» (Paolo Isotta, ”Corriere della Sera” 4/8/2006).