Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  agosto 03 Giovedì calendario

DEODATO

DEODATO Ruggero Potenza 7 maggio 1939. Regista. Tra i suoi film il peplum Ursus il terrore dei Kirghisi (64), l’horror Ultimo mondo cannibale (77), il catastrofico Concorde Affaire ”79 (79), il fantasy The barbarians & Co. (86), il thriller Un delitto poco comune (88) • «C’era una volta il cinema italiano. Quello di genere, con zombie e cannibali. Poi, tutto ad un tratto, zac: basta sangue movies. E il cinema italiano degli anni Settanta è stato divorato vivo in un sol boccone. Adesso a mangiarci vivi sono gli americani e, sembrerà strano, in certi casi può essere persino un piacere. Sono loro che non ci vedono più dalla fame di vecchie pellicole nostrane, di cui ora è piena renaissance. L’esempio è Ruggero Deodato [...] regista cult di Ultimo Mondo Cannibale (1977) e Cannibal Holocaust (1978). vero che in Hostel II (regia di Eli Roth, produzione del re del pulp Quentin Tarantino), c’è quel gran-pezzo di Edwige Fenech (memore dell’Ubalda). Ma all’Eros della bella maestrina si contrappone il Thanatos di Deodato, torturatore e cannibale. La sequenza è già da antologia: ”vado ad aprire la porta, arriva una donna, poi entro nella sala, vado al tavolo dove si sta mangiando, c’è questo personaggio steso su un lettino tutto legato, con le contusioni, mi affetto una coscia, la metto su un piatto, mi metto al tavolo e comincio a mangiare”, racconta lo stesso Deodato [...] E allora diciamo grazie, a questi americani? No. ”Per il momento serve più a loro che a noi, perché loro ci sfruttano e si riempiono la bocca continuando a dire ”noi ci siamo rifatti al cinema italiano, evviva il cinema italiano...’. Ho capito. Ma noi siamo morti? Va bene che il nostro è cinema di genere. Ma un po’ ci cannibalizzano”. Probabilmente, con un po’ di masochismo, deve fare piacere, dato che Deodato è volato a Praga per fare un favore a un suo fan, ”il regista Eli Roth, che è venuto a trovarmi [...] a Roma e mi ha voluto conoscere. Era lì per Hostel I. arrivato con la maglietta e i manifesti da autografare di Cannibal Holocaust”. Quello che in Italia è un titolo dal passato difficile, legato a vicissitudini legali e quasi disconosciuto da (certi) attori, in America è un brand da ostentare con orgoglio. ”Quando sono andato per le riprese, tutti avevano la maglietta del film. Anche il primo giorno, quando c’era la Fenech e io no”. il segno di un passato glorioso non ancora del tutto riabilitato. ”E dire che magari abbiamo più fans noi che i grandi maestri del cinema di prima, quello favoloso, quello italiano. Ma che cosa abbiamo noi? Niente. Perché i produttori non esistono più”. Tranne che poi, dopo la riscoperta, saltano fuori tutti dalla tana del bigottismo per fare un po’ di soldi. ”Il sequel di Cannibal Holocaust non lo faccio più. Però probabilmente ritorno con un film di genere. Ho diverse chiamate, ultimamente, e sto iniziando a pensarci seriamente. Soprattutto per gli altri che fanno cinema, oltre che per me”. Questo è il futuro: allargare i confini, guardare oltre, nella zona buia dell’horror e della fantascienza, da cui sono stati sferrati tanti attacchi alla società di massa a suon di inquadrature violente, sconvolgenti e arrabbiate. ”Purtroppo i nostri giovani continuano a fare questi filmetti che non riescono a passare il confine italiano. Devono cominciare a fare generi internazionali. Antonio Margheriti, Lucio Fulci, Sergio Corbucci, Umberto Lenzi... il problema è che un film così deve avere degli ingredienti diversi, deve essere più epidermico”. Prima era tutta un’altra storia. allucinante venire a conoscenza del modo in cui si pensava a una location per un film. Bastava un dito puntato a caso sul mappamondo. ”Io prendevo un giornale, di solito il National Geographic, e stabilivo un posto dove andare. Avevo il progetto e partivo. Trovavo sempre il produttore. Se un film come Hostel l’avessi [...] all’Italia, non avrei mai avuto la possibilità di girarlo”. Bravi. Sprecatelo pure, tutto il tesoro del cinema di sudore, passione e disperazione, fatto con il sacro fuoco della settima arte che brucia dentro. Il vizio è circolare: copiare gli americani, che copiano gli italiani, e non accorgersi di essere arrivati prima degli altri che sono messi sul piedistallo per essere inseguiti. ”Tarantino l’ho conosciuto [...] Abbiamo visto Cannibal Holocaust insieme. Mi chiedeva come abbiamo fatto gli effetti speciali. Io ho spiegato i trucchi di tutta la semplicità dei nostri mezzi. rimasto meravigliato dal cinema artigianale, perché quando il cinema diventa artigianale diventa più veritiero. rimasto strabiliato e anche io: ho ancora le foto in cui sto spiegando a lui come avevo fatto a fare la scena della donna impalata”. La riabilitazione arriva dopo una distruttiva messa al bando del film, un ostracismo durato anni. Nel capolavoro di Deodato c’erano anche animali uccisi, e si è perso di vista il vero obiettivo di un film denuncia. ”Cannibal Holocaust è un attacco ai media, ma questo è stato capito tardi. Ai tempi di Blair Witch Project mi ricordo che erano uscite due pagine a colori proprio su il manifesto che dicevano più o meno questo: Deodato è stato l’unico, a quei tempi, capace di andare contro i media. Quello che è stato considerato un film violento è stato riscoperto come un film educativo. Perché io volevo condannare i giornalisti dell’epoca che potevano fare vedere impunemente delle atrocità in televisione”. Il secondo tempo della sua pietra miliare è, infatti, un film nel film, visto dalle quinte, con l’occhio della cinepresa che registra il cinismo dei quattro reporter. Il mondo dell’informazione di massa carico di odio, ”mentre noi eravamo sempre tagliati, censurati, bruciati. E adesso si vede ancora nei telegiornali: teste mozzate, sangue, spanciate”. una tv che manda una coppia di assassini alla ribalta del mondo della fiction, come Olindo e Rosa. Ma tanto quella non è informazione. ”A me quella fiction lì è piaciuta. Era fatta con mano realistica, anche se un po’ forte per la prima serata”. Immagini date in pasto al pubblico. Fresche, al sangue. Retrogusto di morte. Violenza da masticare. Il pubblico vuole altra carne, porcomondo cannibale» (Christian Galimberti, ”il manifesto” 27/6/2007).