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 2006  agosto 03 Giovedì calendario

Se la scienza è una questione di follia. Corriere della Sera, giovedì 3 agosto Se c’è una cosa che manda Bill Bryson in visibilio sono i dati e le statistiche inutili, per esempio che ogni anno 400 mila americani «Riportano ferite o contusioni da letto, materasso o cuscino, il che equivale a dire 2 mila casi al giorno»

Se la scienza è una questione di follia. Corriere della Sera, giovedì 3 agosto Se c’è una cosa che manda Bill Bryson in visibilio sono i dati e le statistiche inutili, per esempio che ogni anno 400 mila americani «Riportano ferite o contusioni da letto, materasso o cuscino, il che equivale a dire 2 mila casi al giorno». Oppure, ancora meglio, che «il 13 per cento delle donne americane non sa dire se porta le calze sopra o sotto le mutande». Ora, prendete uno scrittore così, il travel writer più amato del mondo come lo presenta il suo editore inglese forte di dieci milioni di copie vendute, mettetelo alle prese con la scienza e la storia di come il mondo si è evoluto e non stupitevi se vi aprirà le porte dell’universo spiegandovi che ogni cellula vivente contiene tanti ingranaggi quanto un Boeing 777, e che farci un giretto dentro sarebbe come attraversare una zona di guerra. «Congratulazioni. Sono contento che ce l’abbiate fatta» esordisce nel suo ultimo bestseller Breve storia di (quasi) tutto, l’irresistibile, modesto, simpaticissimo Bill Bryson. «Una minima deviazione dai processi evolutivi degli ultimi 3,8 miliardi di anni e adesso ci ritroveremmo a leccare alghe dalle pareti di una roccia». Noi, forse, non lui. Non un cinquantenne dello Iowa capace di presentarsi ai lettori con l’ormai celebre frase «Vengo da Des Moines. Qualcuno doveva farlo». Non uno scrittore così avventuroso da alternare un travel book sui monti Appalachi a uno sulla sintassi della lingua inglese a una storia universale della fisica, chimica e biologia, solo perché «Quattro o cinque anni fa, mentre ero in volo sul Pacifico e guardavo pigramente dal finestrino l’oceano illuminato dalla luna, mi si è presentata alla mente, con una forza piuttosto inquietante, la consapevolezza di non sapere nulla dell’unico pianeta sul quale mi sarebbe capitato di vivere». Racconta questo americano innamorato dell’Inghilterra che da trent’anni è casa sua, mentre ordina due tè dentro la cripta della chiesa di St. Martin in the Fields a Londra, dove il vicario suo amico ha aperto una caffetteria. «Qui la sfida era doppia: da un lato capire le cose, visto che non conoscevo la differenza tra un protone e una proteina, dall’altro spiegare in modo coinvolgente per il lettore. Ma soprattutto, più ancora che rispondere alla domanda: perché il cielo è blu? Mi interessava capire come hanno fatto, le persone che hanno capito che il cielo è blu perché le particelle di polvere riflettono la luce in un certo modo, a scoprirlo». Bill Bryson lo spiega in 500 pagine alla sua maniera, scrivendo che «se poteste visitare l’interno di una cellula, non vi piacerebbe granché», con tutti quei «milioni e milioni di oggetti che schizzano qua e là come proiettili». E portando per mano il lettore in un mondo di eccentrici come l’astrofisico bulgaro Fritz Zwicky, che ovunque si trovasse era capace di buttarsi per terra a fare flessioni per dimostrare la sua virilità, minacciava di morte il suo principale collaboratore ed enunciava teorie geniali senza spiegare come ci fosse arrivato perché, come disse ineffabile un suo collega, «non capiva le leggi della fisica abbastanza da sostenere le proprie idee». Oppure come James Parkinson, che non solo scoprì il morbo omonimo e partecipò a una cospirazione per uccidere Giorgio III con una freccia avvelenata perché era un rivoluzionario socialista, ma «fu probabilmente l’unico uomo al mondo a vincere un museo di storia naturale alla lotteria». O l’aristocratico Henry Cavendish che fu il primo a isolare l’idrogeno e a combinare idrogeno e ossigeno per ottenere l’acqua, ma che soffriva di una timidezza così patologica che persino la sua governante doveva comunicare con lui per lettera. Questo e altro è la Scienza vista da Bill Bryson: un ex studente svogliato che a vent’anni si è lasciato alle spalle l’America felice dell’infanzia per girare l’Europa in autostop, innamorarsi e fermarsi due anni a fare l’inserviente in un ospedale psichiatrico in Inghilterra. Qualche anno da giornalista al Times e all’Independent, quattro figli, otto libri e «il conforto di sapere che tra me e George Bush c’è un oceano», hanno fatto di lui uno degli scrittori più amati dagli inglesi e meno dagli americani. Considerato che ha scritto che «la gente di New York va a Calcutta per prendersi una vacanza dai mendicanti», non c’è troppo da stupirsi. Dell’Inghilterra, a cui ha dedicato il suo maggior successo, Notizie da un’isoletta, ha scritto che «senza le siepi somiglierebbe allo stato dell’Indiana con le guglie». E dell’Italia, dove viene in vacanza ogni estate? «Dell’Italia non potrei scrivere mai. Quando il panorama è magnifico, il cibo splendido e l’umore alto, per me non c’è nulla da dire. Diventerei noioso. Io ho bisogno che mi morda un cane. Solo una volta, a Firenze, sono stato rapinato da dei bambini. Ma persino quello sono riusciti a farlo con grazia». Livia Manera