Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  agosto 02 Mercoledì calendario

Il mafioso innamorato secglie il padrino. La Stampa, mercoledì 2 agosto Tutto cominciò nel 1998 quando Nunzio, arrestato per associazione mafiosa, decise di presenziare al processo che si sarebbe svolto nella tristemente famosa aula bunker di Palermo, già palcoscenico del primo maxiprocesso a Cosa nostra

Il mafioso innamorato secglie il padrino. La Stampa, mercoledì 2 agosto Tutto cominciò nel 1998 quando Nunzio, arrestato per associazione mafiosa, decise di presenziare al processo che si sarebbe svolto nella tristemente famosa aula bunker di Palermo, già palcoscenico del primo maxiprocesso a Cosa nostra. Il protagonista della nostra storia è un mafioso di buona tradizione (non più giovanissimo avendo compiuto già i 56), regolarmente sposato e sistemato. Nulla di più ovvio, dunque, che avesse deciso di andare in aula, dove - tra l’altro - si sta insieme con gli amici imputati e ci si sente meno soli. Non poteva prevedere, Nunzio, quali guai si addensassero sulla propria testa, scegliendo di frequentare il bunker. Già alla prima udienza, infatti, accadeva l’irreparabile. Dalla loggia destinata al pubblico e ai familiari cominciò a pervenire il sussurro di una distinta signora che chiamava: «Nunzio, Nunziooo». L’imputato sfidò il torcicollo per riuscire ad incrociare il volto da cui partiva il richiamo. E gli sforzi lo premiarono: riconobbe gli occhi belli dell’amante che gli mandava dall’alto affettuosità varie. Premio arricchito dal fatto che, per pura casualità, la legittima consorte si era astenuta dal farsi vedere in aula. Tanto trambusto, però, si ripeté anche alle udienze successive e le effusioni si facevano sempre più ardite e rumorose, fino a richiamare l’attenzione del presidente del tribunale che non poté non decidere di porre fine alla telenovela dando incarico ai carabinieri di allontanare la signora (per questo addoloratissima) e di impedirne l’accesso alle successive udienze. Sembrava finita lì, almeno fino a che nell’emiciclo verde dell’Ucciardone non riecheggiò il richiamo: «Nunzio, Nunziooo». Il presidente guardò in alto, non riconobbe i lineamenti già memorizzati. Ma quel sussurro lo inquietava. Ed aveva ragione, perché all’improvviso realizzò: «Mizzica, la parrucca si mise ma sempre lei è». Risatine in aula e davvero fine della storia, stavolta. Lo stesso Nunzio era attraversato da due sensazioni contrastanti: da un lato quasi commosso per la dimostrazione d’amore ricevuta, dall’altro un po’ a disagio per la pubblicità data ad una storia che forse era meglio rimanesse riservata. Ahi quanto fondato doveva dimostrarsi il disagio di Nunzio! Se ne sarebbe presto accorto, quando - una volta riacquistata la libertà (stiamo parlando di qualche anno dopo) - si sarebbe trovato faccia a faccia con un messo del boss Nino Rotolo, il figlioccio Giovanni Nicchi, che gli notificava quanto le «alte sfere» non avessero gradito le sue distrazioni amorose per giunta sputtanate in pubblico, in piena aula di giustizia. «Non è serietà, questa», era stato il responso di un «Sinedrio» mafioso, forse un po’ bigotto ma tanto determinato. E Nunzio? La sua reazione la conosceremo qualche anno dopo (nel 2005), leggendo la trascrizione di alcune intercettazioni telefoniche. E’ Rotolo che si informa con Giovanni: «Dimmi una cosa, ma Nunzio?». «E’ finito», risponde il figlioccio. «Dice che l’ha fatto per lei, padrino. Dice che ha finito da un paio di mesi». E Rotolo: «E’ finito allora il discorso?». Poi dubita: «Ma se si è ripreso da più di un anno!». Giovanni, però, lo rassicura: «Dice che ha finito tutte cose e questo impegno solo per lei, padrino». Quindi aggiunge di aver consigliato a Nunzio: «Mi raccomando stacca perché se lo sente mio padrino...». Il mafioso innamorato insiste coi giuramenti anche se tradisce un certo rimpianto: «Da un lato però mi manca, perché mi scaricavo il cervello, dall’altro sono contento perché così non ho più pensieri di niente: cammino, sono contento, non mi manda a chiamare nessuno, non ci sono discussioni...». Deve essere un bel rovello, mantenere una relazione che Cosa nostra disapprova. Da qualche tempo, poi, sembra essersi verificata una stretta nella sfera sentimentale e sessuale degli uomini d’onore. Avevamo già appreso del rifiuto di Bernardo Provenzano di «usare la cortesia» ad un «amico», medico primario, di eliminare fisicamente l’amante della moglie. «Siamo per l’unità della famiglia», aveva sentenziato don Binu, «non per la disgregazione». E allora si preferì convincere la signora a tornare a casa e il «pretendente» a desistere. Anche con Nunzio sembra si sia scelta la via morbida. Per l’unità della famiglia, in nome della «famiglia». Francesco La Licata