La Stampa 29/07/2006, Edoardo Raspelli, 29 luglio 2006
Cari americani, i veri truffati siamo noi. La Stampa 29 luglio 2006. Hanno preso lucciole per lanterne
Cari americani, i veri truffati siamo noi. La Stampa 29 luglio 2006. Hanno preso lucciole per lanterne. Hanno stigmatizzato un affare che non esiste. Hanno fatto scandalo di qualche cosa che non è un problema. Ci hanno ricoperto di accuse e di improperi, ma non ne abbiamo alcuna colpa, anzi, ne abbiamo tante, e pure molto più gravi, ma non sono quelle di cui ci hanno accusato. Mi riferisco agli strali che nei giorni scorsi il New York Times ha dedicato alla ristorazione romana: «Quando vedono un turista gli osti romani allungano il ragù per risparmiare, avvertendo la cucina con un gesto di intesa!» è stata l’accusa più grave. Ma quando mai? E poi, per risparmiare su che cosa? Magari in cucina avranno visto allungare un sugo, ma sì, con dell’acqua al posto del brodo, ma per evitare che si attaccasse. Che risparmio c’è ad allungare un ragù quando, in un ristorante di battaglia, ha un costo limitatissimo? In quanto al resto, ahimé, i ristoranti turistici sono uguali in tutto il mondo: la pasta è precotta in piazza Navona, ma anche alla celebre Bola di Madrid o lungo i fetenti locali della Gran Via. Gli ingredienti sono vecchi, ma questo capita di meno, perché la ristorazione di bassa qualità adopera il congelato (non è certo un merito!) e gli ingredienti possono essere sempre «freschi come appena colti» (come dice la pubblicità). Far pagare pane e coperto, poi, è un’indegnità che i ristoranti italiani di qualità hanno da tempo abolito, relegando questo vezzo alla ristorazione di seconda classe. La nostra presunzione Quello che è più grave non è tutto questo, il problema è la presunzione, l’approssimazione, le menzogne di casa nostra. Alle truffe si unisce il non dire, la reticenza, il giocare sull’equivoco e la prima vittima non è il turista straniero, ma proprio il consumatore di casa nostra, quello che entra in un ristorante, quello che fa la spesa al negozio o al supermercato, quello che si siede al tavolo di casa sua e non sa quello che mangia. Abbiamo voluto trasformare l’Italia, nel secondo dopoguerra, in un grande paese industriale? Non ci siamo riusciti ma in compenso abbiamo distrutto l’Italia, i suoi paesaggi e la sua agricoltura. Ci pavoneggiamo di avere il numero più grande d’Europa di prodotti a Denominazione d’Origine Protetta e ad Indicazione di Origine Protetta; ci glorifichiamo delle migliaia di Prodotti Agroalimentari Tradizionali, ma ci raccontiamo un sacco di bugie. Non basterebbe tutta la carne bovina italiana per fare la Bresaola della Valtellina che si produce in quindici giorni. Ed infatti per la celebre specialità lombarda si adopera la carne congelata di zebù che arriva dal Brasile. In tutto il Trentino ci sono solo tre grossi allevamenti di maiali, in Alto Adige ci saranno 15 mila capi e lo speck viene da cosce congelate che possono arrivare da dovunque. Il presidio Slow Food premia l’antica ciuiga, la salsiccia di San Lorenzo in Banale, ma avete visto quanti maiali ci sono laggiù, in quell’angolo verde di Trentino? Se non ci fosse l’Olanda, non ci sarebbe né la ciuiga, né il grano saraceno per i pizzoccheri. Avete mai visto quante oche ci sono a Mortara ed in tutta la Lomellina? Chiedetevelo quando trovate dovunque il salame di Mortara protetto dalla bandierina gialla e blu dell’Europa. Ed il fegato grasso? Quello che arriva da Mortara (o dal Friuli)? Viene da Ungheria, Israele e Francia. E del resto sappiate che sono i tir spagnoli a portare il fieno, per i bovini dei nostri allevamenti, piemontesi, valdostani. La mozzarella lettone Da dove vengono le carni di maiale ed il latte che danno salumi e formaggi che si beano del Tricolore? Quando un ristoratore porta in tavola la Mozzarì, sa che la mozzarella (di vacca) più venduta in Italia è fatta a Riga, capitale della Lettonia? E la bottiglia di olio extra vergine messa sul tavolo, magari la stessa che per decenni la pubblicità ci ha presentato come parlante toscano o così leggera da far scavalcare le staccionate, il cliente di quel ristorante sa che si tratta non di olio di olive italiane, ma di olive che arrivano da Spagna, Turchia, Grecia, Tunisia, Algeria? La Nutella è un simbolo nazionale, ma i grassi vegetali con cui è fatta, olio di palma e di cocco, nascono in Africa e le nocciole sono turche. Tra qualche anno verranno dall’Argentina dove la Ferrero ha depositato il nome della Tonda Gentile delle Langhe, la varietà di casa nostra. Basta andare in questi giorni di piena estate in qualunque supermercato ed ipermercato, fonte di rifornimento primo di qualunque ristorante da turista: le ciliegie sono turche, le mele sono cilene. Il pesce che arriva nel locale da turisti è congelato (e nessuno ti avverte); se la spigola è fresca, nessuno ti dice se viene da un allevamento turco (3 euro al chilo), da Orbetello o dalla Sardegna (6 euro al chilo) o se è stata pescata in mare aperto (40 euro al chilo). Queste sono le truffe. Edoardo Raspelli