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 2006  luglio 29 Sabato calendario

I nuovi schiavi. La Stampa 29 luglio 2006. Destra, sinistra. A destra i regolari, a sinistra i clandestini

I nuovi schiavi. La Stampa 29 luglio 2006. Destra, sinistra. A destra i regolari, a sinistra i clandestini. File di uomini sotto la luce gialla di un lampione. Sono i nuovi schiavi. Grugliasco, strada del Portone. L’una di notte. Poco lontano i semafori del varco d’ingresso del Caat, il gigantesco mercato regionale dell’ortofrutta: 500 mila metri quadrati, popolato da oltre 4 mila persone: grossisti, commercianti, contadini. La polizia ha appena fermato il primo bus stracarico che porta i facchini sotto le volte dell’enorme parallelepido illuminato a giorno dai neon. Gli uomini scendono con calma, seguono rassegnati gli ordini secchi dei poliziotti del reparto mobile, della volante, della squadra mobile, impegnati da ore in un’operazione contro il lavoro nero, contro chi sfrutta la miseria e la paura. Hanno lo sguardo rassegnato. Alcuni non hanno altro che il passaporto. «Siete tutti egiziani?», chiedono i poliziotti. Risponde l’unico che sa un po’ di italiano: «Tutti tranne due, marocchini». Spalle larghe, braccia muscolose. Quasi in divisa, blue jeans e maglietta chiara, berretti da baseball. Come vogliono i «caporali». Adesso, la schiena apoggiata alla sbarre, aspettano il loro turno. Devono mostrare i documenti. Senza card, non puoi lavorare. Momenti di tensione. Quando gli agenti della mobile restituiscono le carte e dicono: «Sei in regola, puoi risalire sul bus», scene di gioia. Sorrisi, strette di mano. Dal terrore alla felicità. Gli irregolari, separati dagli altri da un cordone di agenti, invece sono tristi. Trattati con grande rispetto. «Questa è gente che lo merita. Siamo solidali con loro, ma queste situazioni vanno stroncate», spiegano i poliziotti. Li guida il vicequestore Marco Martino, che conosce ormai ogni segreto di questo esodo quotidiano di centinaia di lavoratori. Primo bilancio: cento regolari, quaranta clandestini. I «sans papiers», mentre gli altri entrano nel Caat, aspettano pazienti i furgoni della polizia che li porteranno in questura. Foto, impronte, l’identificazione, in attesa del rimpatrio. Sono arrivati in Italia chissà come. Invece di farsi arruolare dal racket della droga o della prostituzione, si ritrovano tutte le sere in due bar della zona, con la speranza di tirar su un pugno di euro, da guadagnare onestamente. I «caporali» sono lì ad attenderli, forse li sceglieranno, forse no. Parlano la loro lingua, sono gli stessi che li hanno aiutati a raggiungere l’Occidente. L’altra strada è quella di avvicinarsi furtivamente alle reti di recinzione anti-scavalco: quattro interminabili chilometri di perimetro. Nei pochi tratti in cui corrispondono ai cancelli, le feritoie si allargano quel tanto che basta ad infilare un piede. Passare dall’altra parte è facile. Gli obiettivi delle videocamere della sicurezza continuano a documentare le intrusioni nell’area proibita a chi non ha la card personale con il microchip che autorizza l’ingresso. Ma i vigilantes sono pochi, concentrati nel varco principale. Per fermare questi disperati ci vorrebbe una guardia continua, torrette, reti più alte almeno di un metro, pattugliamenti come nelle carceri. Cosi si ritrovano nelle zone più buie dei piazzali e cercano di rimediare qualche ora di lavoro. Vanno dove gli autisti scaricano i camion. Alla fine, dopo ore di fatica, in tasca restano 10, 15 euro. Non di più. Oppure entri nel «sistema». Ti affianchi ai regolari delle coop, gestite quasi tutte da extracomunitari, e lì ti devi spaccare la schiena. Non sei nessuno e non hai diritti. Se ti fai male, e se se sei ancora in grado, devi andartene fuori, verso il pronto soccorso di un ospedale qualsiasi e raccontare una storia qualunque, incidente stradale, rissa, qualsiasi cosa. Ma non la verità. Se va male, qualcuno degli «amici» provvederà. All’alba, stordito dal sonno e dalla fatica, si scopre che un’ora di lavoro vale 2 euro e cinquanta centesimi, e se va di lusso anche tre. Domani si ricomincia. Chi si lamenta, o fa la spia, viene inesorabilmente cancellato dalla rete. Ci sono anche altri modi per entrare clandestinamente nel «mostro» (200 aziende, 100 grossisti, ogni anno passano 12 milioni di quintali di merce) invaso dai camion. Nascosti nei pianali dei «Ducato», chiusi dei camion-frigo, sepolti tra le cassette. Un passaggio costa 10, 20 euro. La meta è sopravvivere un giorno in più. E’ vero, l’autista rischia una denuncia penale. Ma i vigilantes possono fare ben poco. I lampeggianti delle auto della polizia, il tam-tam attraverso i telefonini, hanno per una notte bloccato il flusso dei clandestini. Sennò, il tempo di infilare la tessera nel lettore, le sbarre che si alzano e il gioco è fatto. Il direttore della logistica del Caat, Enzo Nettis, ha seguito i controlli attimo dopo attimo, sino all’alba: «Sappiamo benissimo degli ingressi irregolari, possiamo tentare di combatterli ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Su 12 mila card, ne abbiamo ”cancellate” duemila. Ma non basta ancora». Massimo Numa