Corriere della Sera 30/07/2006, pag.24 Christopher Hitchens, 30 luglio 2006
L’obiettivo di Hezbollah? I palestinesi moderati. Corriere della Sera 30 luglio 2006. A mano a mano che sofferenza e macerie in Libano si intensificano, e mentre il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah promette di colpire con razzi e missili altre città israeliane, mi trovo a chiedermi che fine abbiano fatto due notizie di cronaca, una vecchia, l’altra molto recente
L’obiettivo di Hezbollah? I palestinesi moderati. Corriere della Sera 30 luglio 2006. A mano a mano che sofferenza e macerie in Libano si intensificano, e mentre il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah promette di colpire con razzi e missili altre città israeliane, mi trovo a chiedermi che fine abbiano fatto due notizie di cronaca, una vecchia, l’altra molto recente. Quella vecchia riguarda il destino del tenente colonnello Ron Arad, un ufficiale dell’aviazione israeliana il cui aereo cadde sopra Sidone vent’anni fa e venne catturato dai militanti dell’Hezbollah. A un certo punto fu proposto lo scambio con prigionieri Hezbollah, e come prova che fosse vivo vennero prodotte alcune sue lettere. Un’informazione fondata ma non confermata lo dava in Iran, o persino venduto agli iraniani, il che avrebbe costituito una forma estrema di rendition. In ogni caso, il capo dell’Hezbollah libanese Hassan Nasrallah ha poi annunciato che il luogotenente colonnello Arad è morto e che i suoi resti sono andati «persi», così che la sua famiglia non ha né informazioni né niente da seppellire. Possiamo anche deplorare la sproporzione dell’intervento di Israele, ma far saltare i ponti e interrompere tutto il traffico aereo e marittimo possiede una sua logica feroce. I soldati israeliani appena sequestrati non sono destinati, se le Forze di difesa israeliane (Tsahal) saranno d’aiuto, a essere trasferiti a Nord per finire come carne anonima in qualche cella gestita da Bashar al- Assad o Mahmoud Ahmadinejad. Quando uno pensa a che cosa succede normalmente ai civili siriani o iraniani che finiscono nelle mani di questi due uomini... Anche la notizia più recente è finita nel nulla. Fino a poche settimane fa, il presidente palestinese Mahmoud Abbas (ossia Abu Mazen) aveva messo il governo guidato da Hamas di fronte a una decisione molto importante. Se non riconoscete il nuovo governo di Israele come legittimo partner per negoziare, aveva detto, ordinerò un referendum fra i palestinesi soltanto sulla questione del riconoscimento. Abbas aveva a disposizione un’importante lettera sottoscritta da numerosi autorevoli prigionieri politici palestinesi che su questa base facevano appello a una soluzione cosiddetta «dei due Stati». Il documento seguiva la falsariga di importanti risoluzioni da parte dell’Unione Europea e di altri interlocutori internazionali interessati alla questione. Inoltre Abbas sapeva ciò che molti dimenticano: Hamas non ha vinto con la maggioranza dei voti alle elezioni palestinesi e detiene un’esile maggioranza di seggi parlamentari. Ma Hamas ha detto chiaramente di non gradire questa proposta, il cui ultimatum stava per scadere. Non sembra ovvio, allora, che l’intento delle varie provocazioni lanciate dalla striscia di Gaza, a partire dai missili fino al primo sequestro di un soldato israeliano, mirasse proprio a rendere impossibile questo referendum? E non sembra quantomeno molto probabile che le operazioni dell’Hezbollah sul confine settentrionale di Israele siano state implicitamente coordinate per assistere Hamas in quest’impresa? Robert Fisk, veterano dei corrispondenti inglesi da Beirut, sarebbe in grado di vincere una causa per diffamazione se qualcuno lo definisse simpatizzante di Israele. E la sua conoscenza della politica delle varie fazioni in Libano è molto profonda. Stando a Fisk (e a una dichiarazione di Nasrallah), le recenti «operazioni» sono state pianificate mesi fa. L’evidenza empirica a sostegno di questa ipotesi non manca. E’ poco probabile che l’Hezbollah, per improvvisare una reazione a un’incursione israeliana, possa avere messo in posizione in tutta fretta un missile in grado di colpire e danneggiare una nave, e che con questo missile sia effettivamente riuscito a centrare direttamente un’unità della flotta israeliana senza prima aver fatto prove accurate. Lo stesso discorso vale per lo spiegamento di missili di costruzione iraniana da far cadere su Haifa. Se le cose stanno così, la differenza fra gli avvenimenti di questo mese e il disastro dell’invasione di Ariel Sharon nel 1982 non potrebbe essere più marcata. L’intenzione dichiarata dell’operazione «Pace in Galilea» di 24 anni fa era anche quella di frenare, schiacciando la presenza dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) nel Sud del Libano, le richieste di un’entità statuale palestinese nella West Bank e a Gaza. Quando la Siria intervenne, apparentemente sferrando un attacco offensivo counterforce, lo fece allo scopo di reprimere i radicali palestinesi e libanesi che costituivano una minaccia alla sua egemonia. Tutti in Libano sanno che Kemal Jumblatt, leader del Partito socialista libanese e padre del suo attuale leader Walid Jumblatt, fu assassinato su ordine del presidente Hafez al- Assad, padre dell’attuale dittatore siriano. Ora, tuttavia, gli ex seguaci israeliani di Vladimir Jabotinsky (il leader della destra sionista negli anni Venti e Trenta, dalle cui file uscì il movimento radicale Irgun, n.d.r.) vanno dicendo pubblicamente che la colonizzazione degli arabi da parte israeliana è demograficamente impossibile e moralmente sbagliata. Ma la Siria e l’Iran stanno servendosi dei loro emissari in Libano e nelle file di Hamas per destabilizzare un’autorità palestinese autentica che vuole andare al voto sull’autodeterminazione palestinese. Forze che si proclamano «movimenti di liberazione» hanno in realtà il loro quartier generale e la loro leadership nelle capitali di due dei dispotismi più reazionari della regione. E hanno anche legami con quei fanatici che sperano di sabotare l’esile democrazia federativa che lotta per la sopravvivenza in Iraq. Il fatto che i recenti avvenimenti abbiano riportato il Libano nel caos cui era sfuggito, per loro non ha importanza: sono alleati con il regime che ha organizzato l’assassinio dell’amatissimo Rafik Hariri e hanno disapprovato il ritiro dell’esercito e della polizia siriani dal Paese la cui esistenza in quanto Stato indipendente la Siria a tutt’oggi rifiuta di riconoscere. La sola reale analogia con il 1982 e l’operazione «Pace in Galilea» sembra essere la seguente. Il pretesto per l’intervento di Ariel Sharon venne fornito dall’uccisione dell’ambasciatore Shlomo Argov, inviato di Israele a Londra, da parte dell’oscura banda nichilista guidata da Abu Nidal. Sembra assodato che anche in quel caso l’intenzione di Abu Nidal (nonché dei suoi maestri baatisti iracheni) fosse di creare difficoltà a quella che riteneva una leadership dell’Olp troppo conciliante. In entrambi i casi, e a livello allarmante, i nichilisti e gli jihadisti e gli sponsor degli squadroni della morte sembrano in grado di dettare l’agenda, e determinare in modo stravagante le azioni di Israele. Gli israeliani potrebbero volersi chiedere se è questo il risultato cui veramente aspirano. Ora l’aeroporto Rafik Hariri di Beirut è diventato un enorme cratere, e i palestinesi devono sopportare un’ulteriore punizione collettiva. E a nessuno sembra venire in mente che stavano per essere interpellati affinché esprimessero la loro opinione. (Traduzione di Monica Levy) Christopher Hitchens