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 2006  luglio 30 Domenica calendario

A Milano le soap prendono il posto della Lambretta... Il Sole 24 Ore 30 luglio 2006. Il grande fratello televisivo non è solo un circuito mediatico che ci prende virtualmente

A Milano le soap prendono il posto della Lambretta... Il Sole 24 Ore 30 luglio 2006. Il grande fratello televisivo non è solo un circuito mediatico che ci prende virtualmente. anche un circuito produttivo territorializzato. Fatto di grandi imprese pubbliche e private come Rai e Mediaset, che sono gli editori; di medie imprese, i produttori di format e soap opera; di un pulviscolo di piccole imprese e di one man companies di servizi e di creativi che corrono nel ciclo della consulenza. un flusso potente che disegna non solo stili di vita e consumi, ma forme del produrre, dei lavori, e geografie dei luoghi. Usando come mappa due ricerche, una della Regione Lombardia diretta da Alessandra Alessandri e l’altra dell’Agenzia Sviluppo Nord Milano, basta percorrere la tangenziale milanese per capire. A Lambrate, ove una volta si produceva la mitica Lambretta, in una fabbrica dismessa trovi gli studi Magnolia di Giorgio Gori. Alla sua attività di produttore si devono molte isole famose. Prima di mettersi in proprio era ai vertici di Mediaset. Che ha la sua tana del lupo lì vicino, a Cologno Monzese. Vi lavorano 4.644 dipendenti (il 67% in Lombardia). Un organico sempre in crescita, +4,8% rispetto al 2004. La televisione tira. In un anno arrivano 10mila curricula spontanei, si fanno 772 colloqui di selezione, si attivano 179 stage, si assumono 288 persone. Non è solo una fabbrica di sogni. Strano, ma vero, a Cologno Monzese c’è una strada, viale Europa, che in piccolo può essere paragonata al caso studio americano della Rue 128. Già nel 1960 vi serializzò Cinelandia, sfruttando l’onda del boom economico che scopriva carosello e la pubblicità. Nel 1983 venne comprata da Berlusconi e poi divenne il centro principale delle produzioni Mediaset. Partendo da Viale Europa si è sviluppato un microdistretto del settore audiovisivo che contava 38 imprese nel 1990; oggi sono più di 200. La tv, oltre che di immagini, ha bisogno di tecnica. L’elettronica industriale del gruppo Mediaset a Lissone produce apparecchiature per il network televisivo. Mille dipendenti, 150 milioni di euro di fatturato, il 15% all’estero. Vi lavorano anche 150 ricercatori impegnati nella progettazione dei nuovi impianti televisivi in collaborazione con Politecnico di Milano, Alcatel e Italtel. Visto l’ambiente favorevole non poteva che atterrare nel distretto di Cologno anche l’astronave Sky Italia che è il terzo editore digitale in Europa. Lasciato il distretto audiovisivo di Cologno si punta sulla Bicocca. Dove c’era la Pirelli, c’è il nuovo polo universitario; di fronte, nel contenitore dismesso della Manifattura Tabacchi, la Regione promuove la nuova sede della scuola del cinema. Università e società dello spettacolo. Binomio che prosegue anche alla Bovisa dove di fronte al nuovo Politecnico è in costruzione il polo degli editori delle tv regionali, aggregato dall’animatore di Tele Lombardia, Sandro Parenzo. In Lombardia ci sono 26 emittenti locali o pluriregionali, leader per classi di fatturato (oltre 2,5 milioni di euro). Laddove la tangenziale punta verso Genova si trova una sintesi nella università privata Iulm. Nata con una specializzazione linguistica, si è qualificata nel marketing e nelle scienze delle comunicazioni.  un grande cerchio che perimetra Milano. Anche percorrendo il grande raccordo anulare di Roma il racconto non cambia se non nel big player che è la Rai e non Mediaset. Il tutto produce una competizione tra città per aggiudicarsi eventi e contenitori produttivi delineando un’interessante geografia della merce spettacolo. I dati Istat ci dicono che in Lombardia si concentra il 19% delle imprese audiovisive italiane. Producono spot (95% del mercato nazionale), intrattenimento, animazione, sitcom. Segue il Lazio (14%) specializzato nelle fiction di breve serialità, poi Napoli per le soap opera che hanno un polo produttivo forte anche in Piemonte nel Canavese. Tutti vorrebbero un potenziamento delle sedi Rai. Così come ogni polo universitario si è ormai dotato di corsi orientati alla comunicazione. In Lombardia sono 171 i corsi a vari livelli: 17 corsi di laurea triennale con 9.400 iscritti, 13 corsi di laurea specialistica con 1.062 iscritti, 12 master universitari con costi superiori ai 6mila euro e via andare. Dove e come troverà lavoro questa moltitudine di comunicatori? I dati Istat ci dicono che è vero che nel decennio 1991-2001 c’è stata una crescita costante degli addetti. Ma dal 2001 al 2005 c’è una flessione (-7%). Cresce l’occupazione tra i produttori e il ciclo delle piccole imprese (+73%) e cala dentro le mura degli editori (-62%). Segno evidente di un ciclo di esternalizzazione ideativa e produttiva. I dati di un campione di imprese lombarde raccontano un settore giovane, il 32% degli addetti ha meno di 30 anni, con un’alta percentuale di donne (46%). Quasi il 70% degli addetti dichiarati dalle aziende ha un contratto diverso dal tempo indeterminato. Il 26% sono collaboratori, il 14% sono a tempo determinato, il 17% consulenti con partita Iva. Dentro le mura degli editori prevale il lavoro normato e salariato, tra i produttori, invece, i collaboratori e i consulenti sono il 64% degli addetti. In questo ciclo della creatività è più aperto che altrove il dibattito sulla flessibilità. Si va da chi teorizza che il mercato dello show business debba vivere di lavoro freelance, perché il genio nel settore televisivo non vive a stipendio, a chi racconta di "un nuovo cognitariato che si aggira dalle aule delle università al ciclo della creatività diffusa". Massimo di postfordismo nel ciclo dei lavori, massimo di fordismo del ciclo produttivo. Due grandi editori, Rai e Mediaset, hanno il 90% del mercato pubblicitario. Sono un po’ come l’Iri e la Fiat di un tempo nel nostro capitalismo manifatturiero. Sono ancora poche le medie imprese di produzione e tante le impresine e le partite Iva al lavoro nell’outsourcing. Il dibattito sul mondo della televisione e della comunicazione non è solo un problema di regole per l’etere. Ma si porta dietro i nodi di un modello produttivo, il ragionare delle nostre università e delle forme dei nuovi lavori. Aldo Bonomi