Varie, 2 agosto 2006
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STILLS Stephen. Nato a Dallas (Stati Uniti) il 3 gennaio 1945. «[...] universalmente conosciuto come membro di formazioni stabilizzate nel mito come Buffalo Springfield e Crosby, Stills, Nash & Young
STILLS Stephen. Nato a Dallas (Stati Uniti) il 3 gennaio 1945. «[...] universalmente conosciuto come membro di formazioni stabilizzate nel mito come Buffalo Springfield e Crosby, Stills, Nash & Young. In pratica è in giro da sempre [...] natali texani in una famiglia di militari che lo cresce tra Costarica e Panama, motivo per cui da sempre la sua musica è venata d’influenze latine. Sbarcato a New York nei primi Sixties, Stills si fa le ossa in una sequela di formazioni folk rock e incrocia altri ragazzini in cerca di fortuna al Village, come Neil Young e Richie Furay. Ma dal momento che a New York le cose non decollano, Stills prende la via della California, più ben disposta verso le sonorità che ha in mente, e convince Furay e Young a seguirlo. Sono praticamente già nati i Buffalo Springfield e presto il mondo si accorge di Stills, della sua strana idea di suonare folk music con una formazione rock, del suo essere un chitarrista straordinario (con una tecnica che unisce radici blues/rock’n’roll ai suggerimenti del suo amico Jimi Hendrix) e un personaggio che contiene spontaneamente in sé qualcosa di assoluto, che è ciò che poi mi piace evocarvi di quest’ultimo uomo della frontiera, dal momento che dei suoi successivi successi come membro di CSN&Y, tra Woodstock e ”Four Way Streets”, saprete tutto, perché sono pietre miliari del pop. Il fatto è che il biondo Stephen dall’eterno ciuffo sugli occhi, è la perfetta incarnazione della generazione baby boomer, il modello convinto della naturale eccezionalità americana e del valore di viverla fino in fondo, con uno slancio che è risarcimento per la fortuna avuta in dote. Stills incarna il rock’n’roll nel momento di massima limpidezza e della più ispirata progettualità. In quegli anni ha il physique du role, la voce (roca, malinconica, bellissima) il modo di suonare (semplice, suggestivo, mai virtuosistico), di parlare (’Buonasera, siamo qui per suonare un po’ di pezzi acustici e dell’electric boogie”, dice a una mezza milionata di persone, neppure fosse il capetto di un’orchestra di liscio) e un fattore umano (quella copertina a cavallo, con lo sguardo all’infinito, le premature tracce di ambientalismo che col tempo ne avrebbero fatto un collaboratore di Al Gore) di una vecchia America che ormai va storicizzata anche dal punto di vista della cultura popolare. Stills è nel filone di Paul Newman, Steve McQueen, Springsteen. La sua musica è un prodotto di un modo di prendere la vita in America, privilegiando l’individualismo, la forza dei sentimenti, il desiderio di congregazione, il gusto di una creatività che tiene viva la tradizione. Dei suoi album solisti non sappiamo fare a meno, come dei ritornelli in cui intona ”ama la persona con cui stai”. [...] ha un figlio che si chiama Chris Stills, che si sta costruendo una carriera da musicista con tutte le ritrosie dell’erede di tanto padre. Chris ha una splendida voce e una buona vena, ma paga il prezzo di essere in circolazione in un momento in cui non è semplice fare del robusto pop rock sofisticato, senza correre il rischio di cadere nel prodotto di genere. [...] Anche la mamma di Chris, moglie (divorziata) di Stephen Stills, è una musicista, parigina purosangue. Si chiama Véronique Sanson, era una splendida bionda che muoveva i primi passi musicali quando incontrò Stills in tour in Francia. Véronique seguì Stephen a L.A., diventandone l’allieva prediletta e il risultato della collaborazione tra i due sta in buona parte in Le maudit, l’album che Veronique registrò in California nel 1974, col marito e i suoi amici, la crema della West Coast. L’album è interessante anche oggi, per il mix tra le ambizioni della Sanson, che predilige arrangiamenti barocchi e la competente e un po’ distaccata collaborazione su cui può contare. Véronique metterà a frutto l’esperienza, tornando in patria, allorché le cose con Stephen non funzionano più, allevando Chris alla musica, e costruendosi una carriera da superstar nell’autarchico pop transalpino. [...]» (Stefano Pistolini, ”Il Foglio” 1/8/2006).