Varie, 1 agosto 2006
BERTONCINI
BERTONCINI Mario Roma il 27 settembre 1932. Compositore. Pianista. Allievo di Goffredo Petrassi e Rodolfo Caporali, ha fatto parte del gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza di Roma. Autore di musica da camera e per orchestra (Carme, 59, Scratch-a-matic, 73) • «A lui non piace essere identificato come uno dei più brillanti protagonisti dell’avventura del romano Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Giusto che Mario Bertoncini tenga a tante altre avventure solitarie in giro per il mondo, venute dopo il suo distacco dal Gruppo nel 1972. Giusto, però, anche ricordare l’acume del suo contributo a una pratica, l’improvvisazione, tuttora in primo piano nell’universo della musica contemporanea non ”istituzionale”. [...] nei suoi concerti oltre a mettere in luce le risorse straordinarie delle sue macchine sonore va alla riscoperta o alla reinvenzione del vecchio pianoforte. ”Io sono pianista, tra le altre cose, e cerco di uscire dalle secche del ”temperamento’. Da qui la preparazione, molto elaborata, molto personale, in pezzi come Suite `99 (colori). Ma la preparazione è la grande invenzione di Cage: ha sventrato il pianoforte, ne ha ricavato suoni inauditi. Non dimentichiamo che con questo intervento si possono modificare non solo i timbri ma anche le altezze”. In una classifica ipotetica quale sarebbe il suo strumento preferito, comprese le macchine costruite da lei, ovviamente? ”Non ho uno strumento preferito, cerco di raggiungere i risultati artistici che mi prefiggo con vari mezzi, tra cui l’elettronica. Ma uso sempre con molta parsimonia la manipolazione elettronica degli oggetti sonori che costruisco. Facciamo l’esempio di un grafico creativo. Potrà elaborare i suoi lavori al computer ma il segno della sua mano si vedrà comunque. Io voglio che si veda, o che si senta, il segno della mia mano. Perché questi strumenti, l’arpa eolia gigante, arpe e gong eolici assemblati, Chanson pour instrument à vent, li costruisco io pezzo per pezzo, come in una bottega artigiana”. Per una buona parte dei musicofili la sua biografia artistica comincia con la partecipazione al Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza... ’Un po’ limitata come biografia... Io nel Gruppo ho portato inizialmente il pianoforte preparato alla mia maniera, molti colori di molti brani venivano da lì. Un’esperienza importantissima dal punto di vista umano. [...] Ma mi è sembrato molto bello che in quel periodo, dal 1965 al 1972, si sia potuti stare assieme nonostante le difficoltà di amalgamare tante personalità spiccate, da Franco Evangelisti a me, da Egisto Macchi a John Heineman, da Walter Branchi a Frederic Rzewski, ecc. Musicalmente è stato una specie di behaviorismo: come certi fenomeni potessero costituire una grande lezione per i compositori, per evitare certi errori. Pensiamo alla feroce polemica di Boulez contro l’improvvisazione. Lui diceva: c’è nei lavori di questi guppi un’accumulaziome progressiva di suoni e poi una caduta finale, sempre lo stesso percorso. Aveva ragione se pensava a tanti gruppi senza motivazioni e senza un sapere musicale forte. Noi non ci siamo mai cascati. Praticavamo la critica sistematica di noi stessi [...] Evangelisti cercava di fare il leader ma non ne aveva la possibilità concreta. E per un motivo preciso: pensava che quella, l’improvvisazione totale collettiva, fosse l’unica e l’ultima chance per chi voleva comporre musica. Questa convinzione lo rendeva troppo rigido, poco discorsivo, poco comunicativo”. Era veramente improvvisazione totale? ”Del tutto. Niente di scritto, nessuna traccia. Nessuno schema. Nessun andamento del brano deciso prima”» (M. Ga., ”il manifesto” 6/12/2005) • «[...] Dal lavoro settennale col Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (1965-1972) alla residenza di circa trent’anni a Berlino fino al ritorno, due anni fa, in Italia. Il [...] compositore e pianista ha sviluppato in tutto questo tempo anche la sua terza facoltà di musicista sperimentatore, quella di inventore e costruttore in proprio di strumenti, anzi di macchine sonore. Macchine a vento, le vele per esempio, destinate a raccogliere suoni all’aperto per poi convogliarli dentro altre macchine complesse da concerto, amplificate elettronicamente, come la Chanson pour instrument à vent, il cui nome corrisponde a una composizione del 1974. Come mai? ”Lo strumento è la composizione”, dice Bertoncini. Costruzione artigianale e prodotto sonoro (artistico) coincidono, l’una viene intrapresa per realizzare l’altro. [...] Nella Chanson vediamo Bertoncini muovere spirali che ”intonano” suoni mettendo in funzione una bombola d’aria compressa, poi lo vediamo produrre altri suoni soffiando su sensori. I ”terminali” della macchina, che potrebbero corrispondere alle imboccature o ai tasti di uno strumento tradizionale, sono a contatto con un telaio meccanico su cui sono tese 800 corde sottilissime di bronzo rame e acciaio e a contatto con alcune barre di bronzo. L’insieme è spettacolare già a vedersi. L’idea strutturale dell’opera è quella del continuum, come in molta musica elettronica. Ma questo flusso è così sapientemente articolato, così riccamente variato: suoni ancestrali e cordiali, ruggiti e incantamenti. Una piccola sinfonia, meditativa eppure vivace, di suoni artificiali. Il Bertoncini compositore è davvero super in Suite ”99. Estrae corde filiformi dal ventre del pianoforte, le manipola ottenendo suoni di glissando, suoni eterei. Tutto il breve brano ha un che di sognante. E nei passaggi alla tastiera si sentono persino echi debussiani. Ma è un sogno tecnologico per la qualità dei suoni, come un messaggio dal cosmo di alieni molto umani. Senza tecnologia che non sia quella ”sporca”, manuale, della preparazione. [...]» (Mario Gamba, ”il manifesto” 6/12/2005).