varie, 31 luglio 2006
ALLASIO
ALLASIO Marisa Torino 14 luglio 1936. Attrice. famiglia piccolo borghese. Giovanissima, prova la strada dei concorsi di bellezza, finché nel 1956 Dino Risi la sceglie come protagonista di Poveri ma belli, grande successo della commedia all’italiana cui seguirà nel 1957 Belle ma povere. Ha recitato in Susanna tutta panna (1957), Venezia, la luna e tu (1957), Camping, (1958). Lo stesso anno abbandona il cinema per sposare il conte Pier Francesco Calvi di Bergolo, da cui avrà due figli e da cui si separerà nel 1985. «Tutta colpa di un maschio baffuto e aitante. Se il cinema italiano ha visto passare come una meteora (l’immagine è presa a prestito dal Dizionario del cinema di Paolo Mereghetti) le narici maliziose, gli occhi a mandorla birichini, il sorriso piccante, e omettiamo il resto, di Marisa Allasio la responsabilità è di quel giovanotto bruno, alto, di sangue blu, che l’ha voluta sposare. Lui è Pier Francesco Calvi di Bergolo, figlio del conte Giorgio e della principessa Jolanda di Savoia, primogenita di Vittorio Emanuele III re d’Italia e di Elena del Montenegro. Lei, la bella meteora, nasce invece piccolo borghese, da padre calciatore (poi allenatore del Bari e del Torino) di nome Federico, e da mamma Lucia Rocchetti, casalinga. Una famiglia normale, quella di Marisa, che si completa con la sorella minore Marcella. Ben più che graziosa, Marisa imbocca a quattordici anni la strada dei concorsi di bellezza; non ha neppure bisogno di vincerli perché viene presto arruolata nell’esercito di volti nuovi e di morbide curve che il cinema divora. Ricorda con modestia che il suo ingresso nel cinema è dovuto ”alle pressioni di Enrico Mattia”, giornalista e amico di papà. Sono gli anni in cui nasce la commedia all’italiana, sulla scia dei Pane, amore e fantasia, ma anche nell’acuto ricordo dei ”telefoni bianchi”. La ricetta prevede, ancora e sempre, una bella ragazza civetta ma perbene, un giovanotto piacente e fanciullone, qualche caratterista nelle vesti di padre, zio o carabiniere, una mamma guardiana della virtù, una serie di equivoci che tengono desta l’attenzione per qualche decina di minuti e conducono al lieto fine, cioè alle nozze. Insomma è Poveri ma belli di Dino Risi, dove la ventitreenne Marisa si impone da protagonista, da nuova stella. Curve femminili e muscoli maschili, sottovesti e canottiere, battute a doppio senso e battibecchi d’amore. il 1956, anno del debutto anche per la Fiat 500. Quella di Poveri ma belli è la storia di due bulli fanfaroni ma sentimentali: Renato Salvatori fa il bagnino e Maurizio Arena il commesso nel negozio dello zio. Ognuno dei due ha una sorella e ognuna delle due è innamorata del fratello dell’altra, senza speranza, perché tutti e due corrono dietro alle gonne aderenti (ma lunghe, a mezzo polpaccio) di Giovanna-Marisa Allasio, la quale a sua volta è persa per un giovanotto (Ettore Manni) che la trascura e tuttavia alla fine la sposerà. Dal titolo all’intreccio, dalla spontaneità al brio, è tutta una trionfale riuscita, sullo sfondo di piazza Navona, di un Tevere in bianco e nero, di portoni bui fatti apposta per scambiarsi un bacio notturno. Piace a tutti ma non a Pio XII, che ancora una volta deplora che la sua Roma sia deturpata da quei manifesti dove i glutei della Allasio, fasciati in un bikini che lei non indossa affatto nella pellicola, rappresentano la principale attrazione. Il film piace e se ne fa subito un seguito, e sarà ancora campione di incassi, nel 1957. Il titolo è Belle ma povere, gli amori sempre gli stessi, come i protagonisti. Ma alla terza pellicola della serie, Poveri milionari, Marisa non c’è più. Prima di sparire dallo schermo, tuttavia, si è data un gran da fare. Tra il 1956 e il 1958, gli anni brevi della sua luminosa carriera cinematografica, partecipa a un mucchio di film, oltre ai due di maggior fama: in Marisa la civetta è una che scherza con gli uomini finché non ne incontra uno che non scherza affatto e la conduce all’altare; in Arrivederci Roma strappa il tenore Mario Lanza alla fidanzata americana; in Susanna tutta panna è una pasticcera che custodisce la ricetta di una torta squisita; in Carmela è una bambola è una sonnambula che finisce di notte nella camera di Nino Manfredi (ma conserva la virtù); in Venezia, la luna e tu è la fidanzata del gondoliere Alberto Sordi, intreccia un flirt con Manfredi, ma sposa il primo amore. Le attribuiscono una storia d’amore con Teddy Reno, ma la mamma smentisce: la sua Marisa è una brava ragazza, certe cose non rientrano affatto nel suo stile e comunque deve trattarsi di una trovata per far pubblicità. Hollywood le offre un’occasione e lei riesce a fare due viaggi esplorativi fin laggiù. Accompagnata da mamma Lucia, per prudenza. Non sfonderà, nella sofisticata Mecca californiana, ma non importa, tanto Hollywood è sul Tevere. Però le cronache fanno in tempo a registrare che Marisa ha attirato l’attenzione di Nick Hilton, erede dell’omonima catena alberghiera e fresco di divorzio da Liz Taylor. Un gentiluomo, dichiara lei, molto discreto sulla sua passata vita coniugale. Un po’ imprevedibile, tuttavia, se di fronte alla ritrosia della brava italiana rispettosa della virtù, diventa una furia e spacca un’intera collezione di dischi a 78 giri. Lei tiene la testa sulle spalle, poco incantata da miliardari alberghieri e cinematografici. Rientra a Roma, e riesce pure a presentare i due viaggi-fiasco americani come un saggio e ponderato ritorno a casa. Si direbbe davvero che tenga in pugno la propria carriera, da vera professionista. Nel 1957 rompe il contratto che la lega al produttore Carlo Ponti, che l’ha scoperta, con la motivazione ufficiale che il film dal titolo Viaggio di piacere è stato trasformato in un troppo piccante Raimonda tutta tonda. Ma dicono i bene informati che già Marisa e Pier Francesco siano amici, molto amici. Mormorano che sia lui a suggerire una certa moderazione a Marisa nel mostrare le sue grazie, che dia consigli di decenza ai registi. Circola voce che l’avrebbe perfino seguita a Venezia per sorvegliare certe scene del film con Sordi. Il giovane conte non sarebbe in condizioni di impartire lezioni, ma lo fa, da vero rampollo di stirpe regale. un giovanotto viziato, non cattivo, ma travolto dagli eventi burrascosi della famiglia. Pier Francesco è l’ultimo, nato dopo tre sorelle; ha fatto studi brevi ed essenziali, per imboccare poi l’apprendistato dei suoi simili in quell’epoca: attrici, automobili veloci, viaggi e mondanità. Si accompagna dapprima a Luciana Vedovelli, attrice; si prende una coltellata al ventre in una lite, non si sa bene da chi e per quali motivi; lascia la Vedovelli per un’altra attrice, la svizzera Ursula Andress; intreccia quindi un’affettuosa amicizia con la napoletana Maria De Filippis, appassionata come lui di automobili veloci. Forse più che un amore si tratta di una gara. Pier Francesco corre e corre sempre, vince il Gran Premio di Bari, scende da un’auto per salire su un’altra. Corre fino a quando, su una strada del Piemonte, azzarda con la sua Fiat Campagnola un sorpasso pericoloso. Siamo nell’autunno 1957, Marisa ha ripreso la sua carriera italiana, i due sono molto legati. In quel sorpasso restano uccise tre persone, il conte finisce piantonato all’ospedale, poi condannato a undici mesi con la condizionale. Gli resta da scontare un’altra pena, quella di andare a piedi, poiché gli hanno ritirato la patente, e per giunta zoppicando. L’infermità non gli impedisce di compiere qualche gita con Marisa; i due sono braccati dai paparazzi ora a Portofino, ora a Cortina, ora a Venezia o al castello di Pollenzo. E perfino in Piemonte dalle parti di Pomaro Monferrato, dove i Calvi di Bergolo possiedono una tenuta. Che lui l’abbia presentata ai genitori? Che cosa avranno detto l’augusta mamma e il militaresco ma diplomatico papà di fronte a una maggiorata che si candida a contessa? Saranno indulgenti, azzarda qualcuno. In fondo anche loro hanno un passato. Non si diceva forse all’epoca del loro matrimonio, nel 1923, che la principessa, bellissima e di forte personalità, avrebbe potuto ambire a nozze regali? Non era stata anche lei disapprovata per aver scelto un conte piuttosto squattrinato? Una Savoia, perbacco, dovrebbe almeno aspirare a un trono, e guardate la sorella minore Giovanna, che è diventata regina di Bulgaria. O la sorella Maria, che si è legata a un Borbone-Parma. [...] Il 3 novembre 1958 la storia tra Marisa e Pier Francesco torna a fare prepotentemente notizia. Quel giorno a Pomaro Monferrato e a Roma vengono affisse le pubblicazioni di matrimonio e qualcuno se ne accorge. Ma, con gran sorpresa, a protestare e a indignarsi non è la nobile famiglia piemontese. A confidarsi con i cronisti è mamma Lucia, agitata e confua nell’appartamento di via di Villa Ada: mia figlia non mi ha detto niente, non posso crederci e comunque è una cattiva scelta. Noi siamo gente per bene, una famiglia come si deve, abbiamo tirato su la nostra figliola secondo i giusti principi, e Marisa dovrebbe occuparsi della sua carriera cinematografica invece di correre dietro a quel giovanotto. Dai parenti viene persino una ”soffiata” : Marisa si sarebbe presa uno schiaffo da mammà. Gli innamorati scompaiono per qualche giorno. Il 10 novembre 1958 all’alba si sposano nel santuario di Crea, in Piemonte. Nel dare la notizia a cose fatte, gli sposi rendono noto che lei indossava un tailleur e scarpe nere, che lascerà il cinema, che hanno finalmente coronato un sogno. Tant’è che in Poveri milionari, l’ultimo film della trilogia Marisa non compare. Sta provando la parte della contessa a Pomaro Monferrato. A parte qualche fotografia rubata di quando in quando, dopo lungo appostamento intorno alla tenuta piemontese, Marisa Allasio esce di scena per parecchi anni. Trapela qualche notizia: ha avuto un figlio, Carlo. E dopo quattro anni, di nuovo: è nata una figlia, battezzata Jolanda come la nonna. Vita riservata, niente più scandali e gesti sopra le righe, famiglia unita e perfetta. Fino al 1985, ventinove anni dopo Poveri ma belli. La notizia è scarna e secca: Pier Francesco e Marisa si sono separati. ” stato un amore grandissimo, che per un certo periodo mi rese molto felice”, dichiarerà lei più tardi e sempre limitandosi all’essenziale, ma un certo punto ”è venuta a mancare la fiducia e non esisteva più la serenità indispensabile”. Aggiunge che la separazione ”non è stata indolore” e che è stata lei a volerla. Impossibile per i cronisti strapparle di più. Quel che la sempre avvenente Marisa non nasconde è invece la nostalgia del passato. Nessun rimpianto sentimentale: ha creato una famiglia e ha attraversato una vita coniugale più lunga della media (soprattutto nel mondo del cinema e dell’aristocrazia). E nessun rimpianto neppure per i momenti più luminosi della sua vita di attrice, né per quel tenero sbocciare di un amore per lei da parte di Dino Risi, durante la lavorazione di Poveri ma belli: ”Non era certo l’uomo per me. Ero troppo giovane per iniziare una storia con lui che era tanto più anziano e più esperto”. Tanto meno sente la mancanza di grandi eventi nazionalpopolari come quel Festival di Sanremo, edizione 1957, presentato insieme a Nuzio Filogamo e che Marisa ora definisce ”la più brutta esperienza della mia vita”. Non cerca un nuovo amore, anche se i pretendenti non mancano. Soltanto: ora che è libera, che i figli sono grandi, che i genitori sono morti a breve distanza uno dall’altra… Ora le è tornata una gran voglia di cinema. Lo confessa nel 1993, mentre si fa fotografare, solare e morbida come quarant’anni prima, davanti al monumentale caminetto della sua casa romana. Che nostalgia, gli anni della commedia all’italiana. Quella vitalità giovanile che le permetteva di girare due film insieme, passando da uno studio all’altro, ripassando la parte in automobile. Che malinconia ripercorrere le tappe di quella fulgida e breve carriera di stella. Perché non ricominciare? La dichiarazione d’amore per il cinema, Marisa Allasio la ripete da qualche anno, ma sembra che nessuno l’abbia ascoltata [...]» (Marta Boneschi, ”Il Foglio” 15/7/2001).