Varie, 28 luglio 2006
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OLDENBURG Claes Stoccolma (Svezia) 28 gennaio 1929. Scultore. Spesso in coppia con Coosje van Bruggen • «[
OLDENBURG Claes Stoccolma (Svezia) 28 gennaio 1929. Scultore. Spesso in coppia con Coosje van Bruggen • «[...] Coosje e Claes fin dagli anni Settanta hanno unito vita e lavoro. Si conobbero nel 1971, lei nata a Groningen in Olanda nel 1942. Storica e critica d’arte con ottimo curriculum alle spalle, era allora curatrice al museo Stedelijk. Lui svedese di nascita e americano d’adozione, era artista già famoso a livello internazionale. La prima collaborazione creativa arriva nel 1976. Coosje curava il catalogo per una grande mostra in Olanda. Claes aveva progettato una gigantesca scultura a forma di cazzuola, Trowel. ”L’ho fatta per te”, le dice. Ma lei: ”Prima di tutto non devi fare queste cose per me. Secondo, non mi piace”. ”Perché non ti piace?”. ”Con questo colore argento più che uno strumento da lavoro sembra una paletta per dolci”, è la risposta di Coosje. ”E di che colore dovrebbe essere?”, chiede umilmente il grande artista. ”Blu, come la tuta di un operaio”, Coosje dixit. E blu fu, sia l’opera che l’inizio di una nuova era. Quella dei ”Large scale projects” firmati Oldenburg-van Bruggen. Un gioco di parole tra paesaggio e grande progetto, inventato da lei che con le parole e i concetti aveva sempre lavorato. Un gioco di proporzioni-simboli-colori che arriva da lui, artista immaginifico capace di rendere eroico il più banale oggetto del nostro quotidiano. la sua cifra, fin dagli anni Sessanta, quando trasforma un rossetto in un monumento costruttivista: quel ”Lipstick on Caterpillar Tracks”, ironico e post dadaista omaggio al ”Monumento alla III Internazionale” di Tatlin. In nome del dio oggetto, Oldenburg fu subito d’ufficio iscritto nella lista dei pop artist: ”Anche se io non sono mai stato un pop artist. Non ne condivido l’attitudine, né i programmi” [...] Piuttosto il suo approccio è più concettuale ed europeo. ”Coglie la miticità degli oggetti e offre un certo modo di guardarli. Rivela una loro enigmaticità che è straniante e ironica. Ne fa un teatro di sorpresa”, ha scritto Germano Celant nella monografia dedicata a entrambi (Skira, 1999), raccontando come il sodalizio con Coosje radicalizzi il metodo. I ”Large scale projects” coinvolgono il contesto urbano, richiedono non solo creatività individuale, ma un processo intero che va dallo schizzo al disegno, dall’analisi storica del luogo al controllo della produzione della scultura e della comunicazione. Un lavoro che nasce dal team, qui basato sugli opposti: uomo-donna, America-Europa, un passato di studiosa contro un’intera vita da artista. Come vi dividete i compiti? ”Lo chiedevano sempre anche a Stanlio e Ollio”, dice Coosje ridendo, ”e rispondo come rispondevano loro ’Non ci pensiamo mai, succede e basta’”. Tutto qui? ”In realtà io sono più legata a un punto di vista storico-artistico, al significato iconografico e simbolico e al contesto in cui il progetto deve essere collocato. Claes punta più all’aspetto visivo e fisico del fare gli oggetti, alla loro qualità intrinseca di morbidezza o durezza”. ”Coosje ed io”, aggiunge lui ”abbiamo vissuto trent’anni insieme senza quasi mai separarci. Parliamo molto, discutiamo, ci confrontiamo. Abbiamo lo stesso amore per l’arte, lo stesso interesse per il rapporto fra esseri umani e oggetti, e a volte opinioni diverse”. Chi vince in quel caso? ”L’idea migliore. E devo ammettere che spesso è la sua”, conclude lui. In effetti gran parte del lavoro di un ”Large scale project” è appunto il progetto e il ”brain storming” che lo precede. Qual è l’oggetto più significativo per quel luogo? Quali i colori giusti? Che rapporto proporzionale con l’architettura o il paesaggio? A chi è rivolto? Che velocità di fruizione? Nascono così le sculture che sembrano cadute dal cielo per trasformarci tutti in lillipuziani, frutto di un intenso ed elborato discutere. [...]» (Alessandra Mammì, ”L’espresso” 3/8/2006).