La Repubblica 25/07/2006, pag.23 Maurizio Ricci, 25 luglio 2006
E Bush impose il suo stop "I sussidi non si toccano". La Repubblica 25 luglio 2006. Roma. Se la diplomazia non avesse, in questi giorni, problemi anche più gravi da risolvere in Medio Oriente, il fallimento, dopo cinque anni di tentativi, del grande negoziato commerciale del "Doha Round" potrebbe essere etichettato come la più grave catastrofe diplomatica di questi anni
E Bush impose il suo stop "I sussidi non si toccano". La Repubblica 25 luglio 2006. Roma. Se la diplomazia non avesse, in questi giorni, problemi anche più gravi da risolvere in Medio Oriente, il fallimento, dopo cinque anni di tentativi, del grande negoziato commerciale del "Doha Round" potrebbe essere etichettato come la più grave catastrofe diplomatica di questi anni. In termini economici lo è. Secondo la Banca Mondiale, la liberalizzazione del commercio internazionale, che il negoziato doveva produrre, avrebbe stimolato un aumento di 287 miliardi di dollari del prodotto mondiale, 86 miliardi per i soli paesi in via di sviluppo: quanto basta per far uscire 66 milioni di persone dalle statistiche della povertà. La previsione del commissario europeo al commercio, Peter Mandelson, era più limitata, ma sempre cospicua: un regalo di 126 miliardi di dollari l´anno per l´economia mondiale. Ma il fallimento non è soltanto un´occasione perduta. Come sempre, in diplomazia, quando un processo si interrompe, è il contraccolpo che inquieta. I rischi sono la disarticolazione del processo di globalizzazione, la frammentazione della rete dei commerci, l´aumento del tasso di conflitto fra i singoli paesi e, in particolare, fra le due grandi potenze, Europa e Usa, come fra i paesi già sviluppati e i paesi emergenti, ad esempio, Cina, Brasile, India. Questo inquietante scenario non si apre perché le trattative non sono riuscite a conciliare grandi irrinunciabili interessi nazionali. Il fallimento del Doha Round è, in realtà, una storia di piccola bottega. Dietro questo testa-coda dell´economia globale ci sono, infatti, gli interessi di meno di 10 milioni di persone, un granello della popolazione mondiale. Tanti sono, fra le due sponde dell´Atlantico, gli agricoltori dei paesi ricchi, Europa e Stati Uniti: il negoziato è saltato per proteggere i loro sussidi. Anzi, se hanno ragione europei, brasiliani, indiani, l´area di chi ha imposto il collasso delle trattative è anche più ristretta. E´ quella dei circa 2 milioni di agricoltori americani e, in particolare, al loro interno, delle poche centinaia di migliaia di coltivatori di riso, cotone, granturco e frumento, cui vanno i tre quarti dei sussidi americani all´agricoltura, che l´amministrazione Bush si è rifiutata di tagliare per sbloccare le trattative. La diplomazia commerciale è, probabilmente, il settore più dominato da arcani tecnicismi della politica mondiale e la storia degli ultimi mesi del negoziato iniziato, nel 2001, a Doha ruota intorno ad una oscura norma parlamentare americana e ad una bizzarra serie di scatole di vari colori. L´oscura norma è il motivo per cui si parla di fallimento delle trattative e non semplicemente di una loro sospensione in attesa di tempi migliori. Si tratta della "fast-track negotiation" e consente al presidente degli Stati Uniti di presentare al Congresso un trattato commerciale come un tutto unico da approvare o respingere. E´ così che sono stati approvati, negli anni scorsi, l´Uruguay Round, il predecessore del Doha Round, come il trattato di liberalizzazione Usa-Canada-Messico, noto come Nafta. Nessuno, infatti, pensa che un trattato sopravviverebbe all´impatto delle lobby, se il Congresso potesse esaminarlo riga per riga. Il "fast track" concesso dai parlamentari americani a Bush scade però a metà 2007. I tempi tecnici necessari per presentare al Congresso il testo di un trattato prima di quella data si esauriscono in questi giorni. In questo clima di protezionismo rampante, è molto difficile che il Congresso rinnovi il fast track ad un presidente, destinato ad uscire di scena pochi mesi dopo. Le scatole (verde, blu, ambra e rossa), su cui si è arenato il negoziato, sono quelle in cui vengono etichettate le diverse forme di sussidio agli agricoltori. La scatola rossa è quella dei sussidi vietati, quella verde dei sussidi ecologici (consentiti). La scatola blu finanzia gli agricoltori, tentando, però, di limitarne la produzione. La scatola ambra finanzia la produzione corrente e, quindi, la stimola. L´accusa mossa in queste ore agli americani è di aver tentato di barare al gioco, spostando artificialmente sussidi dalla scatola ambra (quella che più distorce i flussi commerciali) a quella blu. Ma la vicenda può essere raccontata anche in termini più generali e comprensibili. Secondo le prime ricostruzioni, ai partecipanti al negoziato erano state chieste tre cose. Ai paesi emergenti - come Brasile, Cina, India - era stato chiesto di ridurre ad un massimo del 15 per cento i loro dazi industriali, particolarmente alti, oggi, fino al 35 per cento, in settori protetti come l´auto e la siderurgia. All´Europa di abbattere del 54 per cento i dazi sull´importazione di prodotti agricoli. Agli Stati Uniti di tagliare i suoi sussidi alla produzione agricola interna. I paesi emergenti sembravano pronti a ridurre le tariffe, l´Europa era arrivata ad offrire un taglio vicino alla richiesta (52 contro 54 per cento). Gli Usa avrebbero rifiutato di ridurre il volume massimo consentito dei sussidi sotto la cifra annua di 22,5 miliardi di dollari, una somma superiore di 3 miliardi di dollari, secondo i calcoli di Mandelson, a quanto effettivamente speso nel 2005. Contemporaneamente, Susan Schwab, il capo della delegazione americana, chiedeva all´Europa di tagliare i dazi non del 52 o del 54 per cento, ma del 66 per cento. Il più importante negoziato commerciale del decennio si è arenato su queste cifre. Adesso, molti temono che la fine del "Doha Round" apra la strada ad una polverizzazione di accordi bilaterali e regionali, dove i paesi in via di sviluppo hanno una posizione contrattuale più debole e che, comunque, renderanno, in generale, più complicato alle aziende muoversi con agilità sul mercato mondiale. Ma la sconfitta dei liberalizzatori rischia anche di dare spazio alle spinte protezionistiche che già stanno emergendo come reazione alla globalizzazione: il Wto, l´organismo che presiede al commercio mondiale, è oggi più debole e meno in grado di regolare i conflitti. E, poi, ci sono i passi indietro. L´Europa, nei negoziati, si era impegnata ad abolire, dal 2013, ogni forma di sussidio all´esportazione di prodotti agricoli. Difficile capire cosa resti, oggi, di questo impegno. Maurizio Ricci