Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  luglio 22 Sabato calendario

Perché sopravvive la «q» e il «giro» non va in letargo. TuttoLibri La Stampa 22 luglio 2006. Mimmo Veronesi, da Pesaro, mi chiede perché non si pensa a una riforma ortografica, dal momento che usiamo segni che non pronunciamo

Perché sopravvive la «q» e il «giro» non va in letargo. TuttoLibri La Stampa 22 luglio 2006. Mimmo Veronesi, da Pesaro, mi chiede perché non si pensa a una riforma ortografica, dal momento che usiamo segni che non pronunciamo.  vero, teoricamente nelle scritture alfabetiche a ogni segno dovrebbe corrispondere un suono. Tutte le lingue dell’Occidente hanno adottato scritture alfabetiche. La geniale proposta risale ai fenici, i greci hanno adattato e rifatto quel sistema, adottato in seguito, attraverso la mediazione dell’etrusco, dai latini. Nella realtà però le scritture alfabetiche non rappresentano fedelmente i suoni, perché la lingua parlata si evolve velocemente e la scrittura ha difficoltà a starle dietro. Per esempio, noi abbiamo l’«h», che non rappresenta un suono, ma ha la funzione di indicare la pronuncia velare di «c» e «g» davanti a «i» ed «e», e ha valore puramente diacritico nel presente indicativo del verbo «avere» (ho, hai, ha, hanno), un relitto grafico latino, da habeo, habes, ecc. Potremmo anche scrivere «io ò»,«tu ài», «egli à», «essi ànno», proposta già lanciata con scarso successo nel primo Novecento dal Petrocchi, ma la forza della tradizione latina in questo caso è molto forte. Lo mostra anche la presenza della «q», segno sovrabbondante, doppione di «c» (cuore/quoziente). Quanto a non esatta corrispondenza, possiamo citare «e» e «o», che possono essere vocali ora aperte ora chiuse. Poi c’è la «s», ora sorda ora sonora, idem la «z». La «c» e la «g» hanno un valore (velare) davanti ad «a, o, u», ne hanno un altro (palatale) davanti a «i, a». La disimmetria risale ancora al latino, dove «c» e «g» avevano sempre valore velare (Cicero era pronunciato kikero, Caesar era pronunciato kaesar), poi con la nascita del volgare i due simboli dell’alfabeto latino non bastano più, per cui dopo molte oscillazioni nella grafia dei primi secoli «c» e «g» si stabilizzano per le palatali, e i digrammi «ch», «gh» per le velari (chilo, ghiro). Più complicata invece la situazione del francese, o dell’inglese. In inglese il suono /i/ può essere rappresentato da «ea» (mean), da «ee» (green), da «ie» (field), da «eo» (people) e la stessa grafia può avere più suoni («gh» è /f/ in enough, o /g/ in ghost). Noi tutto sommato abbiamo meno problemi, possiamo benissimo lasciare le cose come stanno. Gian Luigi Beccaria