La Stampa 23/07/2006, pag.25 Ernesto Ferrero, 23 luglio 2006
Giovanna D’Arco. La Stampa 23 luglio 2006. La passione per gli intrighi e la macchinazione non risparmia nemmeno le vite dei santi
Giovanna D’Arco. La Stampa 23 luglio 2006. La passione per gli intrighi e la macchinazione non risparmia nemmeno le vite dei santi. Tanto più se si tratta di personaggi singolari come Giovanna la Pulzella, la santa nazionale e patriottica in cui la Francia del primo Novecento ha deciso di identificarsi. Certo non «santa subito». Ci sono voluti più di cinquecento anni perché il mito della vergine guerriera venisse rispolverato e usato dalla macchina propagandistica contro i tedeschi, «il più sporco popolo della terra», come li chiamava Léon Bloy, i «bruti che hanno osato mettere le mani sulla patria della Pulzella» (Alsazia e Lorena erano state perse dai francesi nel 1870). Siamo agli inizi del ’900, la guerra è ormai nell’aria, e l’effervescenza di quella che fu chiamata Belle Epoque non basta a nascondere le tensioni. Simbolo dell’eroismo proletario caro a papa Leone XIII, la santa pastora viene beatificata nel 1909 e canonizzata nel 1920, dopo aver fatto il «miracolo» di restituire la sua Lorena alla Francia. Santa di Stato, Giovanna rimane l’oggetto più misterioso della storia francese. La passione per i complotti ha sempre bisogno di situazioni estreme, e il tardo Medioevo ne rappresenta un campione perfetto. All’inizio del ’400 la lotta che oppone i cugini di Valois e di Borgogna, che trovano un alleato molto interessato negli inglesi, sta devastando il Paese. Ad Azincourt, gli inglesi hanno inflitto ai Valois una sconfitta devastante grazie alla bravura del loro arcieri. La guerra si frantuma in una serie infinita di scontri per bande in cui gli alleati possono rivelarsi peggiori dei nemici. Carlo VI di Valois soffre di demenza acuta, la Chiesa vanta tre Papi, tra cui un ex pirata; i principi del sangue ostentano l’incesto e la poligamia, il potere militare e religioso è in mano a marescialli di vent’anni, a vescovi insipienti e feroci. Tutta una società disperata, sadica e raffinata, materialista e superstiziosa, in cui il misticismo si confonde con l’adorazione dei demoni. Alchimisti ed esorcisti sono molto ricercati e mercanteggiano compensi favolosi. L’eccesso è dappertutto, il sangue scorre a fiumi. Gli inglesi hanno messo sotto assedio Orléans, e l’ambiguo, nevrotico, tremebondo erede al trono, il futuro Carlo VII, non è nemmeno sicuro dei propri diritti. Per sua fortuna viene messo sotto tutela da Jolanda d’Aragona, vedova di un cugino di Carlo VI e madre della sua promessa sposa. Una vera signora di ferro: aveva polso di vero statista, i suoi domini andavano dall’Anjou alla Provenza e alla Sicilia. lei la vera eroina di questa storia tutta al femminile, la donna che riesce a restituire alla Francia divisa una monarchia unitaria. Quando la situazione volge al peggio, ecco il prodigio. Preceduta da rumors e boatos, il 23 febbraio 1429 arriva al castello di Chinon, dove la corte Valois aveva sede provvisoria, una diciassettenne androgina che viene di lontano. Riconosce immediatamente il Delfino che s’era travestito e se ne stava nascosto tra i suoi dignitari. Si presenta come una messaggera divina e porta con sé il piano dettagliato della liberazione di Orléans. In due ore convince Carlo VII della bontà dei suoi progetti, dando prova di sciolto eloquio e di buona cultura politico-religiosa e militare. Contro ogni previsione, i capitani Valois riprendono coraggio, si buttano sugli inglesi, li sbaragliano. Giovanna, pur ferita sotto le mura da una freccia alla spalla, continua a guidare l’assalto. La strada è spianata verso l’incoronazione del Delfino a Reims. Al nuovo re basta così, Giovanna invece continua a combattere per conto suo. Vuol liberare Parigi, cacciare definitivamente gli inglesi dal suolo di Francia, sempre in nome del Re dei Cieli, con cui sembra avere un filo diretto. Finché i borgognoni riescono a farla prigioniera e la vendono agli inglesi. Ma chi è davvero l’invasata? Strega no, perché non ha avuto commerci con il Diavolo, come accerta una regia commissione ginecologica, la quale scopre in lei un singolare caso di ermafroditismo. C’è qualcuno che la manovra? Chi le ha dato il potere di cui gode? credibile che i destini di una dinastia, seppure vacillanti, vengano affidati a una ragazza venuta dal nulla? A partire dagli inizi dell’Ottocento, prende piede e s’infiamma l’ipotesi della bâtardise reale. Giovanna non sarebbe un’ingenua pastorella venuta dalla Lorena perché guidata dalle famose voci. Le voci esistevano, ma erano quelle che arrivavano dal partito Valois, interessato (costretto) a inventare una mossa per sbloccare una situazione difficile. Giovanna sarebbe dunque stata figlia della regina Isabeau e del cognato Louis d’Orléans, e affidata a una famiglia di fedelissimi, i d’Arc, appunto. Non i contadini della leggenda (sappiamo però che la figura del pastore aveva una prestigiosa valenza simbolica), ma una famiglia d’antica cavalleria poi rovinata dalla peste e dalla guerra, comunque ben presente a corte con vari incarichi. Curiosamente, il patronimico d’Arc viene attribuito a Giovanna soltanto vent’anni dopo la morte. Sarebbe stata la sagace Jolanda, suocera del delfino, a mettere gli occhi sulla Pulzella e a trasformarla nel messaggero inviato da Dio per salvare la Francia. Una tesi peraltro adombrata nelle sue memorie anche da Enea Silvio Piccolomini, il futuro Pio II, che seguiva da vicino la politica francese; ma anche registrata dall’Encyclopédie, ripresa da Voltaire e da Anatole France, utilizzata da Shakespeare. Chi avversa l’ipotesi, come Régine Pernoud, la più autorevole studiosa della Pulzella, osserva che la scelta dei burattinai sarebbe stata arrischiata. Giovanna è un personaggio che non si lascia manovrare, rifiuta il concetto stesso di gerarchia e tratta il re con una punta di sufficienza protettiva, litiga con i capitani, capovolge le consuetudini militari, punta sull’effetto sorpresa, e soprattutto mira allo scontro decisivo, mentre sino ad allora, mancando un esercito regolare, i signori della guerra badavano soprattutto a fare prigionieri illustri, per poter chiedere congrui riscatti. Come sempre, la guerra era un’industria che nessuno, tranne l’onesta Pulzella, aveva interesse a mettere in crisi. Per aggiungere al feuilleton un tocco alla Dan Brown, v’è chi sostiene che sarebbero stati i francescani, avversari della feudalità e molti attivi nel sostegno della causa reale, a segnalare a Jolanda le singolari qualità di quella ragazza «fiera e di nobile portamento», amante di armi e cavalli, che si nutriva solo di pane e di vino, e faceva inchini come se fosse sempre cresciuta a corte. L’ipotesi di Giovanna «bastarda reale» servirebbe poi a spiegare un secondo e non meno romanzesco capitolo. Nell’estate del 1436, sei anni dopo il rogo di Rouen cui l’avevano condannata gli inglesi e il vescovo collaborazionista Cauchon, si diffonde per Orléans una notizia portentosa: la Pulzella è viva, sta per tornare. Secondo una recente e disinvolta storiografia revisionista, sarebbe stata sostituita da una delle tante streghe che languivano nelle prigioni cittadine, e venivano condotte velate al supplizio. Complice dell’intrigo lo stesso vescovo Cauchon, il quale, presentendo la fine del potere inglese, avrebbe lavorato a costruire nuovi equilibri. Per questo avrebbe cosparso ad arte il processo di numerose irregolarità, in modo da poterlo poi invalidare. La sostituzione sarebbe avvenuta a condizione che Giovanna non avrebbe più dovuto occuparsi di faccende belliche, e sarebbe rimasta tranquilla sotto l’ala protettrice dei vecchi amici francescani. Come che sia, a Orléans non si stupisce nessuno. L’epoca pullulava di sosia di personaggi illustri, e le copie risultavano più vive e brillanti degli originali. I fratelli la riconoscono, il duca di Borgogna le regala un cavallo. Lei ritenta la fortuna guerriera d’un tempo, andando a combattere le città rimaste fedeli agli inglesi, Bordeaux e Le Mans, ma la guerra costa, e pochi sono disposti a finanziarla. Quando torna a Orléans, i registri annotano minuziosamente le spese per i banchetti in suo onore, e una discreta somma «per il bene reso durante l’assedio». Molti la riconoscono. Vogliono riconoscerla. Perché c’è sempre qualcosa da guadagnare, nell’area del portentoso. Perché nulla è più necessario, dunque più vero, del miracoloso. Perché l’epoca è troppo angosciata per potersi accontentarsi della realtà... Così accade che dopo aver confessato la simulazione durante un’udienza reale, la pseudo-Pulzella rimanga in città, e nessuno molesti né lei né i fratelli d’Arc, che continueranno a godere di privilegi e prebende. Adesso ci attendiamo che una qualche scrittrice francese o americana ci faccia sapere d’essere una sua discendente, e ce ne racconti la «vera» storia. Noi siamo qui, in benevola attesa, visto che in fatto di credulità non siamo da meno dei bravi francesi del Medioevo. Ci aspettiamo una storia che, tra Pirandello e fantapolitica, mescoli in modo esemplare vecchi ingredienti: ragion di Stato, presunte verità scomode, ingegnose astuzie del Caso, interventi divini, intrighi umani, la nostra eterna voluttà d’autoinganno. Ernesto Ferrero