La Stampa 22/07/2006, pag.1-8 Francesco Ramella, 22 luglio 2006
I sindaci sono invecchiati. La Stampa 22 luglio 2006. I giovani stanno scomparendo dalle nostre città e anche dalle giunte che le governano
I sindaci sono invecchiati. La Stampa 22 luglio 2006. I giovani stanno scomparendo dalle nostre città e anche dalle giunte che le governano. Trent’anni fa, proprio mentre Pasolini scriveva il suo articolo, nei municipi italiani entrava una nuova generazione di amministratori che sarebbe rimasta a lungo nelle posizioni di potere. La politicizzazione e le mobilitazioni collettive che avevano interessato il mondo giovanile, complice l’estensione del voto ai diciottenni e la forte affermazione del Pci nelle amministrative del 1975, produssero una forte immissione di giovani nelle sedi periferiche del sistema politico. Si trattò di una parentesi. L’ondata di rinnovamento anagrafico si interrompe già negli Anni Ottanta. Il distacco dalla partecipazione politica, che caratterizza le generazioni successive, si traduce ben presto nella diminuzione dei giovani nei governi locali. Secondo quanto emerge da una ricerca condotta dal Laboratorio di studi politici e sociali dell’Università di Urbino per conto della Presidenza del Consiglio regionale delle Marche, questo trend non si è arrestato neppure nel periodo più recente. Al contrario, una delle riforme istituzionali positive, quella dei sindaci, che ha notevolmente migliorato la governabilità delle nostre città, ha accelerato la rarefazione. Apparentemente un costo collaterale di una riforma riuscita, che rischia però di impoverire le fonti del rinnovamento generazionale della classe politica. Alla fine degli Anni Ottanta, alle soglie della crisi della Prima Repubblica, il peso dei giovani-adulti (tra i 18 e i 34 anni) nelle giunte municipali, per quanto in calo, era ancora significativo. Il 15% dei sindaci italiani aveva meno di 35 anni e tra gli assessori si raggiungeva il 28% (Anagrafe degli amministratori locali del ministero dell’Interno). Una quota non troppo distante dalla loro presenza nell’elettorato, all’epoca pari al 33%. Negli anni successivi questo dato si riduce drasticamente. Tra gli oltre 8 mila sindaci in carica alla fine del 2005 i giovani-adulti sono appena il 7%. La situazione non migliora nelle altre posizioni di giunta: tra i vice-sindaci e gli assessori, gli under 35 sono appena il 17%. Si tratta di un calo preoccupante. E patologico. Si parla molto di quote rosa in politica ma non di quote verdi. E’ infatti raro sentire analoghe discussioni sull’apertura delle nostre istituzioni locali alle nuove generazioni. Forse è anche per questa mancanza di consapevolezza che dalle elezioni amministrative del 2006 non è emerso alcun segnale nuovo. Tra gli oltre 1300 sindaci appena eletti, infatti, la presenza di giovani-adulti non va oltre il 7%, restando molto al di sotto della loro quota nell’elettorato (oggi pari al 28%). Quest’ultimo dato sgombra il campo da un possibile equivoco. La rarefazione politico-istituzionale dei giovani non va attribuita esclusivamente all’invecchiamento della popolazione. Neppure può essere attribuita al prolungamento degli studi, visto che la quota degli studenti tra gli amministratori-giovani è notevolmente cresciuta nel corso degli anni e che avere un diploma o una laurea aumenta significativamente le loro chance di ottenere una posizione in giunta. Le spiegazioni vanno cercate altrove. Ad esempio nella chiusura strutturale che la nostra società manifesta nei confronti dei giovani. Accuditi e protetti a lungo nella sfera privata, i giovani vengono precarizzati e marginalizzati nella sfera lavorativa e in quella pubblica. La società degli adulti ne ostacola così l’autonomia e la maturazione sociale, inaridendo la loro carica propulsiva e di rinnovamento. E ancora di più dobbiamo cercare spiegazioni nei comportamenti della classe dirigente (non solo politica) che invecchiando tende a blindarsi nel fortino conquistato. Più i governi locali (per non parlare delle sedi centrali) hanno acquisito poteri e sono diventati appetibili, più si sono chiusi agli apporti delle nuove generazioni. Francesco Ramella