Corriere della Sera 25/07/2006, pag.35 Armando Torno, 25 luglio 2006
Cechov amava la Duse e detestava d’Annunzio. Corriere della Sera 25 luglio 2006. Mosca. Ve lo ricordate il film di Francesca Archibugi Verso sera? Correva il 1990 e Ludovico Bruschi, un nostalgico professore comunista interpretato da Marcello Mastroianni, si poneva, disgustato dall’inconsistente cultura di suo figlio e della sua compagna, una domanda: «Come si fa a vivere senza Cechov?»
Cechov amava la Duse e detestava d’Annunzio. Corriere della Sera 25 luglio 2006. Mosca. Ve lo ricordate il film di Francesca Archibugi Verso sera? Correva il 1990 e Ludovico Bruschi, un nostalgico professore comunista interpretato da Marcello Mastroianni, si poneva, disgustato dall’inconsistente cultura di suo figlio e della sua compagna, una domanda: «Come si fa a vivere senza Cechov?». Chi scrive, forse per rispondere in ritardo al quesito, si è recato a Mosca, nella casa che fu di Anton Pavlovic Cechov (negli ultimi anni è stata chiusa e recentemente, dopo un decreto di Putin, riaperta). Qui visse e scrisse, qui riceveva i malati. Ora è un museo che sta per essere completamente rinnovato; già da settembre diventerà sede di studi e incontri internazionali. Ci riceve la custode e direttrice Galina Fiodorovna Sheboleva, che conosce ogni angolo e particolare di queste mura, forse perché qui ha trascorso una cinquantina d’anni. Prima ancora dei saluti ci parla dell’ultimo ritrovamento: «Sono quattro lettere, due telegrammi e due carte da visita che non si conoscevano». Ne sta curando trascrizione e pubblicazione. Curiosi, chiediamo cosa contengono. La replica non si fa attendere: «Ci sono richieste di prestiti, 100 franchi per l’esattezza; poi risposte a una signora che fu sua amante... Non erano note le lettere di Cechov a questa donna, moglie di un governatore rimasta vedova... un amore vissuto a Nizza». Dopo un’altra lieve pausa e un sorriso, ci offre un indizio: «Aveva quell’età particolare che la faceva sembrare giovane alla luce delle candele e un po’ meno con quella del sole...». La dimora moscovita di Cechov è sulla Sadovaja – allora la strada dei giardini – in faccia al vecchio zoo e al palazzo dei generali fatto costruire da Stalin, tra le case che furono di Ciaikovskij e Bulgakov. Non è nobiliare come quelle di Tolstoj, né volgare con i rigurgiti di lusso cari ai nuovi ricchi, ma piccola e modesta. Lo scrittore la chiamava «il mio comò». C’è ancora la targa originale che fece affiggere l’antico proprietario quando si laureò in medicina: «Dottor Cechov». Il lampione è d’epoca, il campanello non c’è più (un furto...). Prima di vedere le reliquie che ancora si conservano – le lenzuola originali ricamate dalla madre, la tazza del tè che prendeva ogni sera prima di coricarsi, i guanti da chirurgo, la borsa da medico – chiediamo a Galina notizie della biblioteca di Cechov. Dal sospiro comprendiamo che è una storia lunga, complessa. Ma la signora la conosce come nessun altro: «I testi di medicina non sono più qui. Dal trattato di anatomia su cui ha studiato, via via sino ai saggi di fisiologia e a quelli dedicati alle malattie infettive sono finiti a Yalta, nell’ultima casa che comperò». Poi, ricorda la custode, «non va dimenticato che prima di morire regalò alla biblioteca di Taganrog, dove nacque, oltre 700 volumi, tutti autografati. Molti erano sue opere». Non solo: «Vi aggiunse – li riteneva indispensabili per la formazione – classici francesi. C’erano, ad esempio, numerosi titoli di Balzac, di Hugo, soprattutto non mancava Voltaire. Poi scrittori russi suoi contemporanei: oltre Tolstoj, di cui era amico, Dostoevskij, Korolenko, Leskov, Plesceev». Questo prezioso fondo che, oltre la firma, presentava sottolineature e chiose di Cechov, ha vissuto una storia singolare. Durante la seconda guerra mondiale, quando Taganrog fu abbandonata dall’Armata rossa, un’anziana signora si recò in biblioteca e caricò poco meno di 500 volumi del fondo donato dallo scrittore su una slitta e li portò a casa, sistemandoli sotto il letto. I restanti, all’arrivo dei tedeschi, furono «ricatalogati e timbrati con la svastica». Alla fine del conflitto, fu ordinato di strappare le pagine con la croce uncinata. «In tal modo – nota Galina – si confusero con gli altri e in pratica, non avendo la biblioteca di Cechov edizioni pregiate ma comuni, è come se si fossero persi». rimasto solo il gruppo «salvato con la slitta». Non tutto finisce qui. Lo scrittore aveva cominciato ad accumulare libri sin dall’adolescenza. La direttrice ci informa di non cercare classici greci, «perché preferiva leggerli tradotti, dal momento che con l’antica lingua ebbe un pessimo rapporto, sino a dover ripetere un anno». Altra materia per lui disastrosa «fu la matematica», e quindi non abbiamo visto le opere di Lobacevskij (che, invece, sono in bella vista nella biblioteca di Tolstoj). Di certo leggeva il tedesco e il francese con disinvoltura. Per fare dei nomi, diremo che tra i drammaturghi c’erano le opere di Gerhart Hauptmann ( Prima del sorgere del sole, Il casellante Thiel) e di numerosi altri autori del Nord, tra cui spiccano gli scandinavi Ibsen e Strindberg. «Italiani?», chiediamo con innocenza. La risposta non si fa attendere: «Amava più gli attori che gli scrittori di teatro del Belpaese. A Mosca ha visto recitare Shakespeare, altro riferimento per lui essenziale, da Eleonora Duse e Tommaso Salvini. Ma quando doveva criticare un’opera ha scritto più di una volta: "Peggio di d’Annunzio"...». Tra i nostri grandi ci sono però Dante e Boccaccio, o meglio la Commedia («letta e annotata per tutta la vita») e il Decameron. Tra i filosofi Spinoza (l’Etica in particolare) e Montaigne, ovvero i preziosi Essais. Qualcosa di Kant non manca, ma si capisce ben presto che per Cechov non è un autore quasi sacro come lo fu per Dostoevskij. Poi la curatrice ci sottopone un elenco autografo: sono i libri che portò all’isola di Sakhalin, in Siberia, dove si recò nel 1890. Qui conobbe le condizioni dei deportati, ma si rovinò la salute. Sono soprattutto fascicoli, articoli, opuscoli, guide: insomma Cechov è un lettore contemporaneo che si documenta e desidera ricavare dagli scritti suggerimenti pratici. Ecco un intervento del musicista Rimskij-Korsakov intitolato Gli strani casi sulla barca Vostok. Ricordi del capitano, uscito su una rivista marittima (il commento di Cechov: «Bella lingua, il sentimento di scoprire»). Poi di Butkovskij c’è un breve saggio dedicato all’Isola di Sakhalin, apparso su un periodico storico del 1882. Di George Kennan c’è una copia di Siberia! nella rarissima edizione di Berlino del 1891. Non può averla utilizzata Cechov per il viaggio, ma raccolse alcuni articoli preparatori dell’opera di questo americano, sodale di Mark Twain. Nell’elenco non manca la Commedia di Dante, anzi potrebbe essere che viaggiasse con due esemplari: uno era il suo e uno lo donò fondando anche in quel remoto luogo siberiano una biblioteca. Il pianoforte («lo ha comperato a rate» sussurra Galina) non è gran che: uno Knabethal che Cechov suonava con un dito. Gli spartiti sono in restauro, ma dall’inventario si nota che alcuni vengono da Jasnaja Poljana, ovvero dalla biblioteca di Tolstoj. C’erano Schumann, Schubert, Beethoven, molto Chopin (la passione del fratello Nikolaj), numerose operette viennesi (adorate dal minore Mikhail). I pochi libri rimasti in casa non creano brividi, perché Cechov amava edizioni economiche, pratiche, popolari. In fondo è il primo lettore contemporaneo, anche se come pochi altri fu sferzante con gli atteggiamenti di un mondo che non amava. Uscendo dalla casa riapriamo nella memoria i suoi Quaderni: «Una volta nel gregge, è inutile che abbai: scodinzola». Armando Torno