La Repubblica 08/07/2006, pag.1-24 Adriano Sofri, 8 luglio 2006
Il gulag chiamato Corea del Nord. La Repubblica 8 luglio 2006. Che la Corea del Nord sia un immenso gulag non toglie che vi siano dei campi di concentramento veri e propri, e che vi siano dannati alla morte per fame e stenti centinaia di migliaia di «colpevoli»
Il gulag chiamato Corea del Nord. La Repubblica 8 luglio 2006. Che la Corea del Nord sia un immenso gulag non toglie che vi siano dei campi di concentramento veri e propri, e che vi siano dannati alla morte per fame e stenti centinaia di migliaia di «colpevoli». Vi vengono chiuse famiglie intere «fino alla terza generazione», perché neanche i nuovi nati possano ripetere le colpe dei vecchi: non essere né contadini né operai, aver ascoltato una radio straniera, aver canticchiato una canzone di Seul, non essere stati abbastanza devoti nell’ ascolto, alle cinque di mattina, a mezzogiorno e a mezzanotte, della Canzone del Generale Kim Il-sung. Magari, aver difettato di zelo nella denuncia dei propri vicini di casa o aver trasgredito alle norme sulla sfumatura alta dei capelli maschili. Nel 2000 uscì in Francia il libro di memorie di Kang Chol-hwan, "Gli acquari di Pyongyang" (tradotto da noi da Mondadori l’ anno dopo, «L’ ultimo gulag»). Chol-hwan entrò da bambino nel campo di Yodok, con la famiglia, ci passò dieci anni, riuscì avventurosamente a scappare in Cina e di lì in Corea del Sud, dov’ è diventato un autorevole giornalista. In America il suo libro è uscito più tardi, e ha suscitato un più vivace interesse, tanto più quando, nel giugno 2005, il presidente Bush ricevette a lungo alla Casa Bianca Chol-hwan. Il quale ne fu emozionato, al punto testimoniato dal suo commento: «Dio ha voluto usare il Presidente Bush perché il mondo cieco vedesse che cosa avviene ai Suoi figli in Corea del Nord. Con un batter di ciglia divino, la bieca realtà, nella quale pressoché nessuno si curava dei fantasmi di tre milioni di anime sfinite dalla fame e delle centinaia di migliaia di prigionieri nei campi di concentramento della mia patria, era cambiata». Si può avere una opinione più sobria di George W. Bush, e ancor più dell’ uso che ne fa la divina provvidenza: ma non dell’ orrore di cui Chol-hwan è testimone. Lo sarà anche in una giornata romana, il prossimo 12 luglio, promossa da Freedom House e dai Radicali transnazionali. Con lui saranno altri testimoni eminenti: Kim Sung Min, ex generale dell’ esercito della Corea del Nord e Presidente di Radio Free North Korea; Son Jong Hoon, fratello di Jong Nam Son, condannato a morte in Corea del Nord con accuse di tradimento e di spionaggio per la Corea del Sud, in favore del quale si è pronunciato il Parlamento Europeo; e la signora Mee suk Jung. SEGUE A PAGINA 24 NATA nel 1976, la signora Jung era danzatrice in un gruppo culturale addetto alla propaganda per la città di Pyong Sung, finchè fu sequestrata e venduta in Cina più volte a trafficanti di persone. Riuscì a riparare in Corea del Sud nel 2002. Sono molti gli orrori del mondo di cui facciamo a meno di occuparci. In qualche caso, ce ne procuriamo una specie di giustificazione. Per esempio, appunto la Corea del Nord. Quella è una cosa da pazzi. E come si fa a occuparsi di una cosa da pazzi? Kim Il-sung era il suo Grande Leader, ora, da morto, Presidente Per Tutta l’ Eternità. Del resto non morì: ascese in cielo in un volo di gru. E se fosse morto, suo figlio Kim Jong Il medita - sul serio - di resuscitarlo, magari per clonazione. Kim Jong Il è il Caro Leader a vita - e magari oltre. La venerazione tributata ai Leader è senza limiti. La Corea del Nord è l’ unica monarchia ereditaria comunista (salvo che a Cuba tocchi davvero una successione di famiglia), e vanta i più colossali monumenti dinastici e i più moderni sistemi balistici; intanto alcuni milioni di persone - due, tre e mezzo, le statistiche sono deboli, milione più milione meno - sono morti di fame nelle carestie degli ultimi dieci anni, e molti fra i vivi si cibano di erbe e radici. C’ è una fiorente compravendita di giovani donne, buon prezzo, sottomissione garantita, verso la Cina, dove il deficit di donne lascia troppi uomini senza moglie. La Corea del Nord è un grottesco manicomio criminale, dunque come si fa a occuparsene? Il fatto è che in quel manicomio i pazzi criminali sono i tenutari e i loro guardiani, mentre una popolazione di 23 milioni di persone ne è schiacciata, e sogna, quando gliene arriva un’ eco lontana, una vita umana. Posti come quello sono singolarmente capaci di intuire che cosa sia una vita umana, in modi che ci lasciano sconcertati e perfino un po’ infastiditi. Per esempio: assaporare di contrabbando il proprio primo sorso di Coca Cola, e provarne una commozione travolgente. Noi fummo per tanti decenni sconcertati e un po’ infastiditi del desiderio di Coca Cola che correva sotto la crosta dell’ Europa sovietica, e siamo ancora seccati che, strappata quella crosta, quei popoli si rivelino così devoti alle borse firmate e alla riviera romagnola - proprio come noi, figurarsi. Si dice che nel Nord-Corea la gente sia assai meno attaccata al potere che a un anello d’ oro, o a un dente d’ oro, o a un comune orologio Seiko, solo che per permettersi un dente d’ oro bisogna avere del potere, legale o illegale. Ma è assai difficile che la popolazione venga a sapere qualcosa del resto del mondo. Che sia successa una cosa chiamata l’ 11 settembre, i nordcoreani non lo sanno. Non sanno che gli uomini e le donne possano farsi la corte. Sanno per certo che il mondo intero, guidato dalla Corea del Sud e dagli Stati Uniti e dal Giappone, prepara da sempre una guerra contro di loro, e che per questo il Caro Leader deve sacrificare tutto alle armi, e loro devono morire di fame. I leader nordcoreani giocano il loro ricatto nucleare come un incapace di intendere e di volere, e la comunità internazionale li tratta come un pazzo cui sia capitato in mano un giocattolo micidiale, offrendogli, perché lo restituisca, una quantità di caramelle e perline - e dollari, e tecnologia. Questo pazzo irresponsabile sta dettando la linea a mezzo mondo terzo, convincendolo che per mettersi al riparo dalla legge e dalle intromissioni basta farsi l’ atomica e tenerla sollevata fra due dita minacciando di lasciarla cadere: e che si può anche guadagnarci su. Il bello di tutto ciò è che il ricattatore è pazzo davvero. I sette missili che ha appena lanciato, compreso quello intercontinentale che è affondato a mezz’ acqua, sono gli ennesimi di una sequela che ha abituato il Giappone a sentirsi sotto tiro. Il primo missile a sorvolare il Giappone risale al 1998. L’ invidia del Giappone è uno dei moventi più tenaci della pazzia di Pyongyang. Ma la pazzia è un modo di dire che non deve impedire di simpatizzare per le sofferenze della gente nordcoreana e di sostenere i perseguitati e i dissidenti di quel paese, e neanche di ricordarsi che pazzia e potere vanno volentieri assieme un po’ dovunque. L’ Iran che, come spiegava due giorni fa Federico Rampini, gioca la sua partita a scacchi nucleare di conserva con la Corea del Nord, è guidato da un signore dalla barba trascurata che voleva chiudere al traffico il vialone di Teheran dal quale aspettava l’ imminente ritorno del Dodicesimo Imam sprofondato undici secoli fa. Questioni che ci riguardano, tanto più se ci lusinghiamo di non essere pazzi. Kim Jong Il se ne fotte dell’ opinione pubblica mondiale. Ma i suoi tiepidi (e diffidenti) tutori un po’ meno, compresa Cina e Russia. E poi si può guardare in faccia l’ infamia, e protestare, anche solo per se stessi, e per la speranza che un’ eco ne raggiunga mai gli affamati e i reclusi dei lager. Se no, sarà solo affare di George W. Bush, e di qualche buon volontario. Oltretutto, la Corea del Nord riceve aiuti consistenti dalla comunità internazionale e dalla stessa Europa, oltre che dalla Corea del Sud, il cui governo corteggia un pusillanime appeasement. Solo una piccola parte di aiuti arriva agli affamati. Arrivasse loro almeno un segno di compassione e di rivendicazione dei diritti. Adriano Sofri