varie, 24 luglio 2006
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LANDIS Floyd
LANDIS Floyd Lancaster (Stati Uniti) 14 ottobre 1975. Ciclista. Vincitore del Tour de France 2006 (poi perso a tavolino) • «[...] primo ai Campi Elisi, fu trovato più volte positivo, e lo spagnolo Pereiro - che arrivò secondo fu salvato dai soliti certificati medici che attestavano le più svariate e inesistenti malattie. Ad oggi, non sappiamo ancora a chi verrà assegnato il Tour: se il prescelto sarà Landis potremo parlare di scandalo, se invece si deciderà per Pereiro basterà parlare di vergogna. [...]» (Sergio Rizzo, ”Corriere dello Sport” 27/7/2007) • «[...] Nella vita di Floyd Landis [...] la bicicletta non è stata un mezzo per divertirsi o per guadagnare il mezzo milione di euro all’anno che gli paga la sua squadra, la Phonak. Per Landis [...] la bicicletta è stata come l’Harley Davidson per la generazione di Easy Rider, due ruote in corsa verso la libertà: nel suo caso verso il permesso di fare piccole cose, come guardare la tv o stringere a un ballo una ragazza, proibite in un posto che si chiama Farmersville, Pennsylvania. ”Quando me ne andai da casa - ha raccontato al New York Times - non avevo mai visto un film, non conoscevo la televisione, non ascoltavo il rock e per fare ginnastica in palestra non potevo indossare i pantaloncini corti perché per i miei genitori era peccato”. Come gli Hamish di Witness, sono rigide le regole dei Mennoniti, una delle comunità di protestanti radicali che punteggiano l’America dove arrivarono per sfuggire alle persecuzioni in Olanda, in Germania, in Russia. Irriducibili pacifisti, li consideravano renitenti e disertori. Brava gente da sbattere in galera o impiccare. L’unica scelta era la fuga in terre vergini dove ricostruire il proprio mondo e conservarlo intatto nei secoli, perché il piacere e la modernità sono doni del diavolo e soltanto nella tradizione si rispetta Dio. Anche Floyd decise di fuggire. Lontano di lì. ”Non capivo cosa importava al Signore se portavo i pantaloncini per giocare”. A 15 anni gli regalarono una mountain bike perché andasse a pescare nei torrenti più lontani, a 17 era diventato il campione nazionale, a 19 aveva cambiato bicicletta ed era arrivato dalle parti di San Diego con un allenatore, Arnie Baker, che credeva nelle sue potenzialità. Scappando dal mondo fermo al Settecento è arrivato fino al Tour e l’ha vinto nella maniera più folle, prendendo la maglia gialla e lasciandosela sfilare due volte: la prima volontariamente, a Montelimar, quando permise a Pereiro Sio di recuperare mezz’ora perché non voleva sfiancare i propri compagni nella difesa del suo primato; la seconda, per una delle più clamorose botte di fatica, di fame e di sete vista al Tour degli ultimi anni. ”Ho provato l’umiliazione più grande della mia carriera - ha detto -, ero depresso. Poi lentamente mi è tornato lo spirito combattivo e il giorno dopo sono andato all’attacco. Non sono stato un pazzo, anzi le mie scelte sono sempre molto ragionate: i miei genitori mi hanno allevato al gusto per il lavoro duro, alla passione e alla pazienza. Sono i tre segreti che mi hanno permesso di riprendermi il Tour”. Chissà come avranno fatto a insegnarglieli, se al piccolo Floyd mancavano la televisione e la playstation. [...] Non è un fenomeno. Floyd ha colto l’attimo: mancavano i cinque migliori dell’edizione passata, lui si era piazzato nono e ha capito che nel mondo dei ciechi poteva essere l’orbo vincente. ”So che molti la pensano così. Credo che dovremmo dimenticare la questione di Basso e Ullrich sospesi prima del Tour: io non giudico nessuno, il ciclismo è ancora lo sport più bello che ci sia, quello che fa di più per prevenire il doping e l’unico messaggio da trasmettere è per i genitori che insegnino ai figli a non prendere scorciatoie”. Per giudicare la statura di Landis si dovrà attendere. [...]» (Marco Ansaldo, ”La Stampa” 23/7/2006).