Varie, 22 luglio 2006
BRAIBANTI
BRAIBANTI Aldo Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) 23 settembre 1922. Filosofo. Pittore. Scrittore. «Vive a Roma, nella stessa casa che diventò la casa dello scandalo negli anni Sessanta. Non c’è più il suo cane cieco e sempre accanto a lui, non c’è più l’oca affezionata e tenace. Non c’è quasi l’eco dello scandalo, il processo per plagio, ”processo per omosessualità”, lo chiama il deputato dell’Ulivo Franco Grillini, presidente dell’Arcigay. [...] La sua storia rimane lontana, negli archivi. Ci sono due ragazzi, 19 e 16 anni. Questo studioso ha recuperato un torrione medievale nelle campagne di Piacenza. I ragazzi stanno da lui. Uno torna a casa presto, l’altro non ne vuole sapere. una pagina di cronaca: forza pubblica, ambulanza, ricovero in psichiatria per il giovane, denuncia per plagio per questo professore che si ostina a volerlo seguire. Nell’Italia del 1968 è scandalo. Plagio, omosessualità, abuso della fiducia di un ragazzo in cerca d’arte. La prima condanna per Braibanti è a nove anni di carcere. Si spacca la politica, ma si frantuma e si sbriciola anche la cultura italiana. Cominciano gli appelli, viaggiano i dubbi: cultura o corruzione? Seppure con qualche cautela, il mondo intellettuale si divide come oggi fa in tv per una tragedia tra le mura domestiche. Un intellettuale come Carlo Casalegno (il vicedirettore della Stampa ammazzato dai terroristi) scrive: ”Se è così, allora un secolo fa qualche padre reazionario avrebbe potuto trascinare in processo Giuseppe Garibaldi: plagiava i giovani, trascinandoli in avventure illegali come l’impresa dei Mille”. Guardava avanti, Casalegno. Ma, allora, c’era il nodo dell’omosessualità. Per questo Braibanti - l’uomo che comunque convinse con il suo carisma due giovani a seguire l’insegnamento artistico - non si vuole sbilanciare. Ci sono foto scattate a distanza di anni. Ha sempre le mani incrociate. In una c’è il cane cieco, nell’altra, nascosti, ci sono i ferri dell’arresto. E ci sono le memorie di inviati come Gigi Ghirotti, che racconta dei carcerieri che gli sequestrano il ”vermine pericoloso”, una formica regina che Braibanti voleva ammaestrare in cella. In galera, a Regina Coeli, scrisse una tragedia ispirata al Filottete, pensando di trasportare Sofocle in un dramma intitolato Le ferite. Uscì dopo quattro anni, lo aspettavano amici come Amelia Rosselli. Lo accompagnarono nella casa di via del Portico d’Ottavia. ”Voglio togliermi di dosso questi panni che puzzano di galera”, disse. E la delusione più grande che raccontò a Ghirotti fu quella delle sue poesie lette in aula: ” incredibile. L’avvocato le leggeva incomplete e ne deformava il senso”» (Marco Neirotti, ”La Stampa” 22/7/2006).