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 2006  luglio 08 Sabato calendario

RUPERT MURDOCH

Specchio 8 luglio 2006. Rupert Murdoch, l’imperatore dei media che con i suoi giornali, le sue case editrici, i suoi canali di informazione, le sue tv satellitari e i suoi studios cinematografici copre il mondo dall’Australia all’America, dall’Europa all’India e alla Cina, festeggia i suoi 75 anni trasferendosi dallo spazio reale dei satelliti allo spazio virtuale e digitale di Internet, sborsando 580 milioni di dollari per <http://www.MySpace.com>www.MySpace.com, la celebre comunità virtuale online. Murdoch è ”certo che il web continuerà a svilupparsi come principale canale di informazione, intrattenimento, business e aggregazione sociale”. Aperto appena due anni fa, MySpace conta già 60 milioni di utenti, in maggior parte fra i 16 e i 34 anni, che discutono online di musica, cinema e viaggi, flirtano e si scambiano foto, video e blog. la ”generazione MySpace”, che parla a se stessa in un mondo privo di frontiere. E sarà questa la piattaforma del futuro attraverso cui Murdoch veicolerà contenuti e software, perché ”il contenuto dinamico è tutto”.
I giornali, comunque, ”cambieranno ma non moriranno”, proprio come la radio non è stata uccisa dalla televisione, e come nessuno di questi media (neppure il cinema) ha fatto scomparire il libro. La carta stampata sarà solo un modo in cui Sua Maestà il Contenuto potrà ”sorprendere e stupire a ogni pagina”, conquistando l’iPod, il cellulare, il PC, il PVC (Personal Video Recorder) e l’IPVC (Internet PVC). ”Il potere sta abbandonando le vecchie élite del nostro settore – redattori, manager e, inutile nasconderlo, proprietari di giornali. cresciuta una nuova generazione di consumatori mediatici che ha fame di contenuti e chiede che vengano forniti quando, come e, soprattutto, mentre li vuole”. On the go, come il fast food. ”Siamo tutti in viaggio, non solo pochi privilegiati, e la tecnologia ci condurrà a una destinazione i cui confini saranno delimitati solo dalla nostra creatività, dalla fiducia in noi stessi e dal coraggio di cui saremo capaci”. Perché dovremmo dar retta a questo anziano signore? Be’, perché dal 1952 ha scommesso vittoriosamente sulle nuove tecnologie per dare al pubblico ciò che vuole.
Il nonno paterno di Rupert Murdoch era un pastore presbiteriano mezzo scozzese e mezzo australiano; suo nonno materno era un giocatore d’azzardo australiano d’origine irlandese, e un gran spendaccione. Rupert Murdoch ha ereditato sia l’etica del lavoro calvinista, sia – soprattutto – il gusto del rischio. La sua educazione è stata quella tipica dell’alta borghesia australiana. Nella casa di famiglia venne insediato il Comando supremo delle forze americane nel Pacifico. Rupert ha frequentato la Geelong School, alma mater anche del Principe Carlo, e poi Oxford, dove ”Red Rupert” – che teneva in camera un busto di Lenin – ufficialmente ha studiato Scienze politiche, ma di fatto si è dedicato ai cavalli da corsa. Trasferitosi a Sidney, suo padre, un noto giornalista, sfruttò l’esperienza accumulata lavorando a Londra per il popolarissimo ”Daily Mail” e se ne servì per diventare presidente, ma non proprietario, del Sidney Herald Group. Alla sua morte, nel 1952, lasciò al figlio solo tre testate locali di Adelaide, la sussiegosa e calvinista capitale del South Australia. Fin da giovane Rupert si era proposto di possedere i suoi giornali. Le banche amano i giornali perché sia i lettori che gli inserzionisti pagano sull’unghia. La sua prima acquisizione fu, nel 1954, il ”Perth Sunday Times”. Con titoli come: lebbroso stupra una vergine e dà vita a un mostro, il mondo ebbe modo di conoscere il giornalismo tabloid di Murdoch, che dava ai suoi lettori ciò che volevano – sesso, sport e scandali. E così continuò: da una parte, acquistò testate in difficoltà e le riportò in attivo, dall’altra fondò il primo foglio nazionale, ”The Australian”, pubblicato nella nuova capitale, Canberra. Mentre le sue televisioni, con le soap americane, si trasformarono ben presto in una sorta di zecca.
Proprietario di media in Australia, Nuova Zelanda e Hong Kong, nel 1969 Murdoch partì alla conquista dell’Inghilterra, dove comprò ”The News of the World”, giornale popolare della domenica che vendeva sei milioni di copie, e il vecchio quotidiano laburista ”The Sun”, le cui vendite erano crollate a 650.000 copie, recuperandolo per 50.000 sterline dal ”Daily Mirror” (giornale da due milioni di copie) che ”aveva voltato le spalle alla classe operaia. Giovani, sfacciati e disinibiti, ci siamo dati da fare”. Le vendite salirono immediatamente a un milione e mezzo di copie, poi quattro, anche grazie alle ragazze in topless di pagina 3. Il ”Sun” era contro l’Apartheid, l’establishment e la guerra del Vietnam, ma era dalla parte della società permissiva, favorevole al partito laburista e ai minatori. Tuttavia, nel 1979 sostenne la signora Thatcher – questa volta votate tory. è il solo modo per mettere fine allo sfascio. ”Red Rupert” considerava la ”sua” Margaret una radicale anti-establishment capace di affrontare il ”racket protezionista in quella gabbia di matti”, cioè i sindacati della stampa, che tenevano in scacco i suoi e altri giornali. Il ”Times”, che avrebbe poi comprato nel 1981, aveva dovuto chiudere per un anno a causa della pressione sindacale. Inoltre, gli utili del ”Sun”, già decurtati dall’eccesso di personale, furono utilizzati per pagare gli interessi sui prestiti bancari con cui Murdoch aveva finanziato la sua espansione negli Stati Uniti, dapprima con l’acquisto di testate locali, poi con l’acquisizione del più vecchio quotidiano liberale del paese, il ”New York Post”. Al quale impose una linea più popolare, destinata ai colletti blu che avrebbero poi votato Reagan (un altro eroe), con titoli come: corpo decapitato in un topless bar. ”Una stampa che non riesce a interessare l’intera comunità è fatalmente destinata a diventare l’house organ dell’élite” dichiarò Murdoch. Sostenne la candidatura a sindaco di Ed Koch contro Mario Cuomo sulla base del principio che a New York c’erano due milioni e mezzo di ebrei e solo un milione di italiani. Alla fine però, rassegnandosi al fatto che negli Stati Uniti esisteva una minoranza analfabeta ma non una cultura operaia anglo-australiana, Murdoch si rivolse alla televisione e, per sottrarsi alla legge ad personam voluta da Ted Kennedy per impedire che certe proprietà finissero in mani straniere, nel 1985 prese la cittadinanza americana. In quello stesso anno comprò gli studi della Fox a Hollywood, procurandosi così software e contenuti, e la catena di televisioni Metromedia, per 2 miliardi di dollari. In questo modo si accaparrò il 22% del mercato americano, innalzando contemporaneamente i debiti della sua società da 5,5 a 7,6 miliardi di dollari. Ciò che non gli impedì più tardi di comprarsi ”Tv Guide” per tre miliardi di dollari, e la casa editrice Harper Collins. A quel punto, avendo ampliato il suo impero del 600% fra il 1985 e il 1988, gli interessi erano lievitati a 800 milioni di dollari annui. Murdoch aveva capito che, in un mercato globale, a comandare erano ormai le immagini, non gli argomenti; il chip, non la pagina. Anche il computer avrebbe contribuito a far crescere il valore delle sue grasse mucche da latte londinesi, portandolo da 300 milioni di sterline a un miliardo, con utili settimanali di due milioni di sterline prodotti da 33 milioni di copie stampate da 570 tipografi (non più 1469), aumentando così dell’85% i suoi profitti in Gran Bretagna, ora assestati intorno ai 34,5 milioni di sterline. In Texas, Murdoch aveva assunto quattro uomini per ogni rotativa. A Londra 18. Al ”Sun rimasero solo 150 dei 450 operai salariati (al doppio dello stipendio minimo). I quattro milioni di copie del ”Sun”, i sei milioni di ”News of the World”, il milione e mezzo del ”Sunday Times” e le cinquecentomila del ”Times” riuscivano a ripagare gli interessi, ma con quei costi di personale non bastavano a coprire una crescita del 600%. La legislazione antisindacale della Thatcher fornì a Murdoch le munizioni, mentre la computerizzazione stava riducendo al rango di dinosauri industriali gli operai tipografici (i cui sindacati si erano illusi che l’espansionismo di Murdoch lo avesse posto alla loro mercè). Tutti rifiutarono le offerte di Murdoch. ”In un’industria che procede minuto per minuto, quando ti tengono per le palle devi ascoltare. Be’, non ci tengono più per le palle” dichiarò Murdoch. In totale segretezza vennero consegnati i computer nella nuova sede centrale delle Docklands – oggi piene di grattacieli, ma a quel tempo esempio di una Londra ancora dickensiana. In Nuova Zelanda vennero reclutate delle ragazze per preparare i giornalisti, da Southampton vennero fatti arrivare degli elettricisti (non c’era bisogno di tipografi) con contratti di sei mesi, e da Birmingham autisti per una società di distribuzione australiana, onde evitare scioperi secondari (a quel tempo non ancora illegali). L’esistenza di quell’edificio, con scorte di inchiostro e carta sufficienti a sostenere un assedio di tre mesi, filo spinato e un elicottero sul tetto per la fuga, era nota soltanto a cinque massimi dirigenti. Ai giornalisti venne concessa solo qualche ora per decidere se trasferirsi a Wapping con un bonus di 2000 sterline, o andarsene. Alle persone più esposte vennero assegnate delle guardie del corpo. Gli operai delle tipografie persero la loro buonuscita scioperando, poi commisero un ”secondo suicidio” rifiutando 50 milioni di sterline e una vecchia commessa per la stampa di un foglio sindacale. Alla fine, dopo due anni di violento assedio, nel 1987 i sindacati accettarono da Murdoch 60 milioni di sterline, o il 50% di quanto aveva offerto prima che iniziasse lo sciopero. Per l’Inghilterra, la vittoria di Murdoch equivalse alla caduta del Muro di Berlino.
Eppure, nel 1989 questo gigantesco impero si trovò a un passo dalla bancarotta. A salvarlo furono solo le stratosferiche ambizioni di Murdoch, che scommise tutte le sue proprietà su Sky – 300 canali che gli avrebbero concesso un controllo totale sui contenuti. Come i grandi padroni delle ferrovie, che nel secolo precedente avevano stabilito dove si dovessero costruire le città, Murdoch decise quali canali lanciare. In Cina, la sua Star TV promise al governo di Pechino una televisione ”niente sesso, niente violenza, niente politica” – e niente BBC, pur senza dichiararlo.
Se i tipografici erano stati i dinosauri degli anni Ottanta, nell’era del digitale i giornalisti e i padroni che non si adattano sono darwinianamente destinati all’estinzione. Le nuove tecnologie permettono infatti a un qualsiasi utente di essere giornalista, redattore e fruitore, con contenuti creati dall’utente stesso ”blog, notizie di quartiere ecc. Quando suo padre era giovane, la stampa industriale e la rete ferroviaria avevano reso possibile la nascita del quotidiano a grande distribuzione. Dal 1952 Murdoch ha scommesso vittoriosamente sulle nuove tecnologie legate all’etere, al computer, alla tecnologia satellitare, alle fibre ottiche, e ora alla rivoluzione digitale di un mondo fuori dal tempo e dallo spazio, un mondo virtuale e interconnesso che resta pur sempre un mercato globale – in cui ci sarà ancora bisogno di Sua Maestà il Contenuto, e in cui bisognerà ancora ”sorprendere e stupire a ogni pagina”. Nessuno ha mai perso i suoi soldi per aver sottovalutato i gusti del grande pubblico.
Richard Newbury