Alberto Arbasino, la Repubblica 20/7/2006, pagina 44, 20 luglio 2006
la Repubblica, giovedì 20 luglio Religione romana. Volentieri ci si domanda perché tanti promettenti giovani «preferiscono di no» circa l´ora ecclesiastica
la Repubblica, giovedì 20 luglio Religione romana. Volentieri ci si domanda perché tanti promettenti giovani «preferiscono di no» circa l´ora ecclesiastica. E innumerevoli porporati lamentano la scarsa affluenza alle sacre funzioni, se non sono «eventi di massa» come le partite e il rock. Flashback sulla delicata infanzia, allora. Domande primarie e basiche, al di là delle elucubrazioni teologiche e della giovialità dei reverendi con oratorio e pallone. Perché nessun santo fa più gli innumerevoli miracoli che (anche meschini e melensi) erano i fondamenti della fede d´una volta? E a livelli più su: come mai la moltiplicazione dei pani e dei pesci (non già onerosa, ma a costo zero) non si effettua più, malgrado le crescenti fami nel mondo e i pressanti inviti a sborsar soldarelli? «Abbiamo già dato?». Quali esempi ricavare poi dalle Madonne che si limitano a muover ciglia o manti da illusionista, senza però tirar fuori neanche un coniglietto per gli affamati, neanche per le continue fiaccolate per i vecchi e nuovi Caduti? Ormai, anche sulle soglie delle migliori basiliche, si ricevono epiteti irriferibili se invece di dar soldi alle zingare si indica devotamente il Cielo, si offrono dei Pater-Ave-Gloria e magari un Requiem, oppure a chi offre preghiere si replica (fedeli e credenti) «ma preghi pure la Vergine per sé». E sarà psicanalisi da strapazzo, ma siccome alla Prima Messa le vecchiette si accusavano di loro «massime colpe» circa i peccati commessi in casa nelle 12 ore dopo il rientro dai Vespri, e pur facendo la Comunione tutti i giorni, allora si domandava alle più anziane prozie qualche spiegazione, venendo sgridati. Così come oggi, circa le intercettazioni sui pompini, par vano chiedere ai confessionali e agli uffici giudiziari se sono più reati o più peccati quelli fatti per lucro o come «fine a se stessi». Da piccini i «padri spirituali» promettevano spesso - in cambio o in premio d´una vita di dolori e calvari e dispiaceri - un eterno Aldilà felice e beato al cospetto del Santo Padre. Che era allora Pio XII, ammiratissimo per la ieraticità del portamento sulla sedia gestatoria, tra i flabelli da Aida degli «scopatori segreti» (che facevano sognare!). Così, in seguito, ci si domandò intensamente: che bon ton assumere, da beneducati «sempre a posto», in un Paradiso "bien", davanti ai famosi «silenzi» di Papa Pacelli, o all´antisodomitismo di Papa Wojtyla? Certo, per un minimo uso di mondo politicamente corretto, in base alle comuni radici pagano-cristiane, non sarà davvero il caso di offrire affanni e malanni e appendiciti e peritoniti a Giove o Giunone o Venere o Marte o ad Apollo e alle sue Nove Muse. Gaffe! Così come mancherebbe di savoir faire un dono di profumi e pavoni a Santa Rita o a San Francesco. E si riscontra poco "tatto" anche in chi si "converte" sul letto di morte alla religione in cui è nato, battezzato, e vaccinato. E certo, in quanto bravi bambini ed eterne pecorelle, si è sempre creduto volentieri a tutto: Edipo, Amleto, Biancaneve, Vispa Teresa, Asino & Bue, Madame Bovary. Se si credeva meno a Don Abbondio e al Cardinale, la colpa è della scuola e non degli utenti. Un bell´applauso a Sansone e Dalila e Salomè e Davide, invece, quando cantano bene. Perplessità qualitative, però, per le prediche tipo televendite e le chitarre da sotto-Sanremo fra mutande e biberon davanti al "Santissimo". Ci si chiede, magari: se ci si veste da umili pastorelle per le Apparizioni, e poi arriva lì una Santa tipo Picasso o Jazz Festival, si canta e balla «Satisfaction» o si offre qualche centesimo deducibile? Alberto Arbasino