ULRICK BECK, la Repubblica 20/7/2006, pagina 1., 20 luglio 2006
Più si è vicini al Papa, più i figli diminuiscono la Repubblica, giovedì 20 luglio Non è questa o quella nazione a invecchiare: è il mondo che sta invecchiando
Più si è vicini al Papa, più i figli diminuiscono la Repubblica, giovedì 20 luglio Non è questa o quella nazione a invecchiare: è il mondo che sta invecchiando. Non è la Germania ad avere il più basso numero di figli per donna (1,32), ma paesi come l´Ucraina (1,17), la Slovacchia, la Slovenia e anche la Corea del Sud (tutti 1,2), seguiti dall´Italia (1,29), dalla Spagna (1,3), ecc. In Europa occidentale vale addirittura questa regola approssimativa: quanto più si è vicini al Papa, tanti meno sono i bambini. Ne deriva che nemmeno la fede cattolica difende dal crollo delle nascite. Lo sviluppo demografico è un fenomeno straordinariamente complesso. Ma di una cosa dobbiamo essere consapevoli: lo sguardo nazionale sulla popolazione – predominante nei dibattiti pubblici – e la fissazione demografica che indulge al "nazionalismo metodologico" inducono a uno sbagliato allarmismo, a una falsa causalità e a false ricette politiche. Qual è il nocciolo della questione? Da un lato viene prefigurato il pericolo della "esplosione demografica", della "bomba demografica" (come se i bambini fossero bombe), mentre non di rado gli stessi esperti non si stancano di dipingere a tinte fosche come aspetto centrale della crisi il decremento della popolazione, sottintendendo un lamento funebre per l´estinzione dei tedeschi o degli italiani o degli spagnoli – anche ricorrendo alla retorica delle casse pensionistiche vuote. Di fronte a queste contraddittorie diagnosi di crisi l´osservatore interessato si stropiccia gli occhi incredulo: la popolazione cresce così in fretta che tutti i problemi esplodono e cresce così lentamente che tutti i problemi esplodono. E allora, quale crisi dobbiamo affrontare? La verità è che esistono entrambe contemporaneamente, e che entrambe le tendenze trasformeranno drammaticamente le condizioni di vita sulla terra, con il loro contrasto e con il loro intreccio. In altri termini, abbiamo a che fare con una polarizzazione demografica. una catastrofe? No, l´invecchiamento della popolazione deve anzitutto essere decifrato come un successo della storia, come un trionfo della modernizzazione! Il mondo intero, ma in particolare le società europee, si devono confrontare con gli effetti collaterali indesiderati e inattesi della modernizzazione riuscita, cioè con gli effetti delle vittorie della modernizzazione. Quali vittorie? Migliore assistenza sanitaria, progressi della medicina, eliminazione di malattie, contenimento delle epidemie, miglioramento dell´alimentazione e corrispondenti progressi della conoscenza e della consapevolezza, pianificazione e controllo delle nascite, abbattimento della mortalità infantile, ecc. Dunque, tanto nel decremento delle nascite quanto nell´invecchiamento delle popolazioni le società moderne si vedono confrontate con le conseguenze delle loro scelte e dei loro successi. Anche qui vale il principio fondamentale di quella che chiamo "modernizzazione riflessiva": non sono le crisi, ma le vittorie della modernizzazione a scuotere le società moderne fin nelle fondamenta e a suscitare conflitti e dilemmi politici e morali di nuovo tipo. Il decremento demografico in Europa è per così dire messo in ombra dalla crescita fenomenale della popolazione mondiale nel ventesimo secolo. Attorno al 1900 la popolazione mondiale ammontava a circa 1,6 miliardi, nel 2000 è cresciuta a 6,1 miliardi di persone. Queste cifre dimostrano la stupefacente moltiplicazione della popolazione mondiale in un secolo, dopo che nei mille anni precedenti la popolazione mondiale si era mantenuta sostanzialmente stabile. Questo è il risultato dei successi della modernizzazione, in particolare della riduzione dei tassi di mortalità, soprattutto – e anche questo è notevole – nei paesi e nelle regioni del mondo meno sviluppati. Il progresso nella sanità e nella medicina, che nei paesi più evoluti era stato ottenuto nel corso di diversi secoli, si è diffuso relativamente in fretta nei paesi in via di sviluppo. Anche in questo caso l´aspettativa di vita è cresciuta rapidamente, e la mortalità infantile è diminuita notevolmente. Il futuro dello sviluppo demografico è determinato più dal numero delle nascite che dai tassi di mortalità – fanno eccezione i paesi con alti tassi di mortalità, soprattutto a causa dell´Aids e della malaria. Questa rapida crescita della popolazione mondiale non deve ingannare sulla seconda tendenza fondamentale rilevabile empiricamente: la polarizzazione dello sviluppo demografico, dovuta essenzialmente al numero di bambini. I tassi globali di natalità (numero di figli per donna o per coppia) iniziò a calare dopo il 1960, anche nei paesi meno sviluppati. In molti paesi le coppie cominciarono a pianificare sia il numero dei figli che il momento della loro nascita. Fino ad allora nelle regioni del mondo meno sviluppate era rimasta valida la regola per la quale l´alto rischio della mortalità infantile, collegato alla necessità di avere molti figli per garantirsi un´assicurazione per la vecchiaia, era in contraddizione con l´idea di limitare le gravidanze e di pianificarle nel tempo. Nell´ultimo quarto del ventesimo secolo questo atteggiamento è radicalmente cambiato: le coppie vogliono meno figli. Il desiderio di avere famiglie più piccole è coinciso con la crescente consapevolezza della disponibilità e dell´uso di tecniche contraccettive – non ultimo in conseguenza delle campagne globali di informazione e prevenzione ”, che hanno prefigurato, in particolare, i vantaggi economici e sanitari della limitazione del numero di figli. Anche se la crescita media della popolazione è globalmente rallentata, nello stesso tempo lo sviluppo demografico si è radicalmente polarizzato: le regioni che conoscono un aumento demografico sono caratterizzate dal fatto che i bambini hanno anzitutto un alto valore materiale, poiché lavorano e in questo modo costituiscono una garanzia per la vecchiaia dei loro genitori. Anche se sempre più donne dei paesi con un alto numero di figli affermano di avere più figli di quanti ne vorrebbero, le dimensioni desiderate della famiglia sono pur sempre molto grandi, ossia con tre o più figli. In generale questa costellazione di crescita è caratterizzata da una serie di aspetti tipici: povertà diffusa, prevalenza della popolazione rurale, alti tassi di analfabetismo, limitato ricorso alla pianificazione familiare e, soprattutto, nessuna rete di sicurezza al di fuori della famiglia. Dall´altro lato c´è la costellazione dello stato sociale dei paesi altamente sviluppati, nei quali il decremento demografico, anzi, addirittura la contrazione della popolazione è diventata la norma. Questa costellazione è caratterizzata da una relativa ricchezza economica, da un miglioramento delle condizioni sanitarie, dall´accesso alla conoscenza e alle risorse della pianificazione familiare, da un´elevata scolarizzazione e occupazione femminile, che genera le questioni della compatibilità tra lavoro e maternità o tra lavoro e paternità. Per giunta, quando il livello di reddito e lo standard di vita aumentano, i genitori cominciano a idolatrare i loro figli. La funzione genitoriale viene caricata di ulteriori responsabilità pedagogiche, sicché aumentano i costi, sia quelli economici che quelli affettivi. Anche qui, di nuovo, la conseguenza è che quanto più l´ideale secondo cui i figli devono "stare meglio" viene realizzato, almeno nel privato, tanto più alti sono i costi e tanti meno sono i figli. Due tendenze si rafforzano a vicenda: l´aspettativa di vita media dei nuovi nati è raddoppiata nell´ultimo decennio. Oggi per gli uomini arriva a circa 75 anni, per le donne a circa 81 anni. Questo significa che la popolazione più anziana consiste prevalentemente di donne. L´aumento dell´aspettativa di vita coincide storicamente con la riduzione dei numeri delle nascite. Nello stesso tempo, aumentano sempre più i figli al di fuori della cosiddetta famiglia normale. In una diversa prospettiva, ciò significa che l´accettazione sociale e politica della possibilità che i figli siano allevati al di là della famiglia normale è un fattore capace, in particolari condizioni, di influenzare positivamente lo sviluppo delle nascite, come insegna, in particolare, l´esempio della Svezia. Alcune conseguenze della polarizzazione demografica sono state spesso indicate, ma perlopiù in un quadro di riferimento sbagliato: l´invecchiamento della popolazione non è un problema nazionale, ma un processo globale. Anche la quota di persone anziane nelle regioni meno sviluppate del mondo cresce drammaticamente. Il 60% della popolazione mondiale anziana vive già nei paesi meno sviluppati; entro il 2030 questa quota crescerà fino al 71%. Con ciò, non si possono trascurare le grandi differenze regionali: infatti, con ogni probabilità nel ventunesimo secolo l´Europa diventerà la nazione più vecchia. Ma anche in Asia, in America latina e in altri paesi ci si attende che la quota di anziani diventi più che doppia tra il 2000 e il 2030. Si parla di conflitti generazionali, forse addirittura di una "guerra tra generazioni" che dovrebbe derivare da questo stato di cose. Ma questa diagnosi, nonostante tutti i dilemmi che qui emergono, è in definitiva frutto di un allarmismo sbagliato. Infatti, le condizioni di età non sono condizioni di classe. Non possono tradursi a lungo in conflitti generazionali, perché prima o poi tutti invecchiano! Il "cambiamento di fronte" è per così dire parte della biografia normale e viene anche anticipato come tale. Appare ben più rilevante il fatto che con l´intreccio e il contrasto tra popolazioni in calo e popolazioni in crescita vengono messi in discussione tra le nazioni e all´interno delle singole nazioni i rapporti etnici di dominio. Il decremento demografico e il processo di invecchiamento si sommano in un trend storico: i bianchi di origine europea si riducono a un quinto e meno della popolazione mondiale; ma diminuiscono drasticamente anche, ad esempio, all´interno della popolazione statunitense. Attualmente, i bianchi sono una minoranza statistica nella popolazione delle quattro più grandi città degli Stati Uniti – New York, Los Angeles, Chicago e Houston -. Anche se non ci sarà una nuova inequivocabile maggioranza, ma una maggioranza di minoranze, i bianchi hanno perduto la loro prevalenza quantitativa. Già oggi da parte dei bianchi che si vedono minacciati nel loro predominio sta profilandosi la tendenza a reagire con misure repressive. Ciò potrebbe costituire lo sfondo degli aspri contrasti che si stanno accendendo negli USA e in Europa sulla politica dell´immigrazione. Stanno diventando politicamente presentabili nuove procedure di esclusione, come nuovi test e principi selettivi per i migranti non-bianchi. Lo sguardo cosmopolita qui applicato alla polarizzazione della popolazione mondiale suggerisce soltanto una conclusione politica: i problemi del decremento demografico o della crescita demografica non ubbidiscono a una causalità nazional-statale e non possono essere gestiti in primo luogo nel quadro della politica nazionale. Facciamo sempre come se i problemi del decremento demografico e dell´invecchiamento della società fossero problemi tedeschi o italiani o polacchi o spagnoli. Invece, ovunque si guardi in Europa, si trova una situazione simile. Sarebbe un importante passo fuori da questa trappola dello sguardo nazionale se si definisse il nesso tra incremento demografico, società che invecchia, necessaria riforma dei sistemi di sicurezza sociale e politica mirata dell´immigrazione come un problema europeo. Allora non soltanto i paesi europei potrebbero imparare gli uni dagli altri, ma potrebbe diventare valido il principio secondo cui la politica nazionale ha tanto più successo quanto più è europea. Chi nel mondo globalizzato vuole mantenere o riconquistare spazi d´azione nazionali deve pensare e agire in termini cosmopolitici! ULRICK BECK