Valerio Massimo Manfredi, La Stampa 19/7/2006 pagina 25., 19 luglio 2006
Meglio che muoia Gesù. La Stampa, mercoledì 19 luglio I complotti sono di moda. Tutto ciò che ha a che fare con forze oscure che tramano nell’ombra sbanca il botteghino
Meglio che muoia Gesù. La Stampa, mercoledì 19 luglio I complotti sono di moda. Tutto ciò che ha a che fare con forze oscure che tramano nell’ombra sbanca il botteghino. Società misteriose che perpetuano i loro segreti attraverso i millenni, seguaci di culti proibiti, cospiratori, predatori dell’arca perduta, cercatori del Graal, camere segrete sotto la sfinge o dentro la grande piramide, e chi più ne ha più ne metta. Il successo planetario del Codice da Vinci, il bestseller di Dan Brown, ne è la prova più clamorosa. Chi è in grado di immaginare, di elaborare storie capaci di eccitare l’inconscio è il nuovo profeta, il nuovo mago, cui tanti sono disposti a dare credito, anche se non lo merita. La cosa interessante è che sia il mito (inventato) del matrimonio fra Gesù e Maddalena, sia quello del Graal che null’altro sarebbe se non una sorta di crasi delle parole Sang Real, «Sangue reale», ossia quello di Gesù, sono strettamente connessi all’origine del cristianesimo. Il cosiddetto mistero del Graal è facilmente spiegabile: la parola significa «coppa», sopravvive nel termine valdostano «grolla», ed era all’origine la coppa rituale che i guerrieri celti e germanici ricavavano dal cranio scarnificato del nemico ucciso. Tutti ricordiamo i versi di Carducci: «E poi porgendole con un sorriso / Il nudo teschio del padre ucciso / ”Orsù Rosmunda, forte esser devi / Rosmunda, bevi!”». La Chiesa, non potendo sradicare completamente una simile sanguinaria usanza, trasformò semplicemente l’orrenda coppa rituale nel calice in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue santissimo di Gesù colato dalle sue ferite e ne fece una leggenda di straordinario successo, il mito della perenne ricerca della purezza e dell’eroismo destinato a varcare i millenni. Ma quale fu l’origine di tutto questo? Che cosa accadde la notte terribile dell’arresto e del processo di Gesù? Ci fu un complotto? Da chi fu ordito e perché? Il dramma che secondo i credenti realizzò il disegno di Dio per la redenzione dell’uomo ebbe anche un aspetto politico? Quali poteri giocarono le loro pedine sulla pelle di quel giovane profeta disarmato e innocente? Furono gli ebrei presenti quella notte a esigere l’esecuzione di Gesù o la responsabilità fu dei romani? Che ruolo ebbe il sinedrio, quale l’imbelle tetrarca di Galilea Erode il piccolo, quale il procuratore di Giudea, Ponzio Pilato? Le nostre fonti più antiche - lo sappiamo - sono i Vangeli. E anche qui è bene sbarazzare il campo da una quantità di dicerie senza fondamento. Non c’è stata nessuna congiura del silenzio. I Vangeli cosiddetti apocrifi furono squalificati non perché rivelassero cose sconvolgenti ma perché erano tardi, fantasiosi e infondati. I quattro canonici si affermarono spontaneamente perché erano i più vicini ai fatti accaduti e in parte tramandavano la testimonianza, pur filtrata dall’uso catechistico del testo, di testimoni oculari. Sono quindi loro le nostre fonti più valide, anche quando, forse, si rivelano di parte. una questione vessata e dolorosa: «Il sangue suo ricada su di noi e sui nostri figli!» (Matteo, 27, 25). Fu davvero gridata questa frase fatale in quella notte? Non è un problema di poco conto: millenni di persecuzioni antisemite trassero alimento da quella frase e in qualche modo furono poste in atto per dimostrare che quella invocazione si era trasformata in tragica profezia. Molti studiosi ebrei affermano che la responsabilità fu dei romani: soltanto loro avevano il potere di applicare la pena di morte. Punto. Sulla base di questa constatazione reclamano dalla Chiesa cattolica una revisione della versione evangelica degli accadimenti, se veramente si desidera una riconciliazione completa con i «fratelli maggiori», con il popolo d’Israele. un dato di fatto che la posizione dei Vangeli canonici è fondamentalmente filoromana. un ufficiale romano di stanza a Cafarnao che merita il riconoscimento di Gesù: «Non ho trovata tanta fede in Israele». l’ufficiale romano che comanda il picchetto dell’esecuzione di Gesù il primo testimone della sua divinità: «Costui era veramente il figlio di Dio!». La moglie di Pilato, Claudia, cerca di salvargli la vita («Non immischiarti nel sangue di questo giusto!», Matteo, 27,19). Oltre a ciò i Vangeli tendono a scagionare Pilato. Avrebbe condannato Gesù solo perché le autorità religiose di Gerusalemme gli forzarono la mano. E si indusse a condannarlo obtorto collo, applicando la lex de maiestate. la motivazione che appare sul titulus: «Gesù di Nazareth re dei Giudei». Perché mai i Vangeli (ma anche altre fonti come la Lettera di Pietro e gli Atti degli Apostoli) sarebbero stati antiebraici e filoromani? La spiegazione che danno molti studiosi di cultura ebraica è che il cristianesimo, non potendosi affermare in Giudea se non in forma limitatissima, doveva per forza affermarsi nell’Impero romano e quindi doveva trovare un’intesa con quel mondo. Fu così quindi che «i cattivi» divennero, per sempre, gli ebrei. Non basta. Sembra che, almeno nei primi trent’anni dopo la morte di Gesù, l’Impero romano abbia in qualche modo protetto, se non addirittura sponsorizzato, i cristiani. C’è un episodio abbastanza sconcertante narrato negli Atti degli apostoli che riguarda San Paolo. Questi sta predicando nel cortile del tempio annunciando la buona novella quando scoppia una disputa. La disputa degenera in rissa e Paolo rischia il linciaggio. A quel punto un gruppo di legionari esce dalla fortezza Antonia che è prospiciente il tempio (quindi i romani stavano osservando la scena) e lo sottraggono a una esecuzione sommaria portandolo all’interno. Il giorno dopo suo nipote lo va a trovare e gli riferisce che settanta persone hanno fatto giuramento esecratorio, davanti al sommo sacerdote, di assassinarlo. Paolo fa chiamare un centurione e gli dice di portare il ragazzo dal tribuno (la massima autorità militare romana in Palestina) perché gli riferisca ciò che gli ha appena detto. Il centurione esegue e l’indomani il tribuno fa trasferire Paolo a Cesarea sotto scorta di circa cinquecento soldati! Un’enormità. Da questo episodio sembra evidente che l’Impero non solo teneva d’occhio i cristiani ma era interessato a proteggerli, se non a sponsorizzarli. E c’è di più. Non molto tempo dopo la morte di Gesù, Tiberio decapitò l’intera classe dirigente della zona: sostituì il governatore di Siria con un uomo di sua personale fiducia, depose il sommo sacerdote Caifa e richiamò Pilato. C’è poi una testimonianza di Tertulliano secondo cui, solo cinque anni dopo la morte di Gesù, Tiberio avrebbe tenuto un senato consulto proponendo che Gesù potesse essere accettato fra gli dèi dell’Impero e chiunque volesse professarne il culto potesse farlo liberamente (Apologeticum, V, 2). Insomma un editto di Milano tre secoli prima. Molti studiosi, sulla base di considerazioni giuridiche, respingono questa testimonianza, ma bisogna pur sempre considerare che Tertulliano la riporta in un contesto non sospetto e quindi bisogna riflettere bene prima di respingerla. Come si spiegherebbe allora tutto questo? C’è una frase, nel Vangelo di Giovanni, attribuita al sommo sacerdote nei confronti di Gesù: «Meglio che un uomo solo muoia piuttosto che tutto il popolo perisca» (Giovanni, 18, 14). Una frase rivelatrice. Immaginiamo per un momento che la domenica delle palme sia successo veramente quello che narrano i Vangeli: e cioè che Gesù sia entrato a Gerusalemme come un trionfatore e che la folla lo acclamasse come «il figlio di David», ossia come un erede della casa reale d’Israele. I capi religiosi, che erano anche i leader politici, potrebbero aver temuto una reazione spropositata da parte di Pilato con conseguente bagno di sangue. Avrebbero quindi deciso di consegnare Gesù prima che il procuratore romano scatenasse una repressione sanguinosa o che provocasse comunque pericolose turbolenze. Pilato lo avrebbe condannato a morte. E le pressioni popolari? E i ripetuti «crucifige»? Qui sta il grosso problema. Una risposta abbastanza probabile potrebbe essere che le autorità religiose che collaboravano con gli occupanti romani abbiano risolto due problemi in un colpo solo: avrebbero prevenuto una reazione esagerata da parte di Pilato con ennesimo bagno di sangue, e si sarebbero sbarazzate di un oppositore interno radicale che li insultava (sepolcri imbiancati, razza di vipere!), che criticava il mercimonio del culto religioso nel Tempio e che di fatto, in una situazione così polarizzata della Palestina dell’epoca tra fondamentalisti fanatici (gli zeloti) e collaborazionisti realistici (come i farisei e i sadducei), era una mina vagante. Se è vero che Gesù aveva un seguito così grande e però non prendeva una posizione politica (date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio) un suo minimo sbandamento avrebbe potuto mandare all’aria equilibri delicatissimi. Meglio che morisse. Quanto a Tiberio, lo stesso Svetonio dice che preferiva risolvere i problemi con l’astuzia e la diplomazia anziché con la forza. Forse non è assurdo pensare che dal suo punto di vista, se quella religione pacifista (amate i vostri nemici... chi di spada ferisce di spada perisce ecc.) avesse veramente preso piede, si sarebbe potuto risolvere il problema palestinese senza colpo ferire. Questo potrebbe spiegare perché l’Impero osservava i primi cristiani da vicino. Molto da vicino. Valerio Massimo Manfredi