Ugo Magri, La Stampa 19/7/2006, pagina 7, 19 luglio 2006
Pisanu. Da capro espiatorio ad anti-Tremonti. La Stampa, mercoledì 19 luglio Per come ce la racconta Sandro Bondi, unico trepido testimone dell’evento, la pace tra il Cavaliere e il Traditore è tornata in un clima da autentico melodramma, tra abbracci, occhi lucidi, sospiri e promesse di eterna amicizia
Pisanu. Da capro espiatorio ad anti-Tremonti. La Stampa, mercoledì 19 luglio Per come ce la racconta Sandro Bondi, unico trepido testimone dell’evento, la pace tra il Cavaliere e il Traditore è tornata in un clima da autentico melodramma, tra abbracci, occhi lucidi, sospiri e promesse di eterna amicizia. Non è ben chiaro se sia stato Silvio Berlusconi a perdonare Giuseppe Pisanu (69 anni, Peppe per gli amici sardi, Beppe per quelli del continente) o viceversa. Considerati i caratteri, è escluso che l’uno o l’altro abbia ammesso di aver sbagliato quella famosa notte del 10 aprile, in cui ancora non si capiva bene chi avesse vinto le elezioni, l’Unione era in vantaggio di un soffio e Berlusconi pretendeva dal suo ministro dell’Interno che le lancette dell’orologio venissero fermate, le schede ricontate, i 24 mila voti di distacco azzerati addirittura per decreto-legge. Pisanu, sardo testardo, s’impuntò. «La legge me lo vieta» rispose, considerando offensivo che gli venisse chiesto un atto contrario ai suoi doveri. Il Cavaliere, fuori di sé, per settimane gli addossò il peso della sconfitta: «Che errore, aver messo Pisanu al Viminale...». Con i soliti personaggi di corte che aizzavano Berlusconi, «sì, sì, tutta colpa sua, Prodi deve dirgli 24 mila volte grazie». Acqua passata, sembra. Tanto che gli stessi denigratori di tre mesi fa oggi fanno a gara per conquistarselo. E già lo candidano al ruolo di anti-Tremonti, colui che in autunno dovrebbe scalzare l’ex ministro dell’Economia dalla carica di vice-Berlusconi, «delfino» designato a succedergli un giorno. Pisanu si sente abbastanza autorevole per competere. Ieri è intervenuto con tre righe per dare la sua approvazione alla scelta di Fini, che vuole entrare nel Ppe. Un tempo gli rimproveravano una modesta tempra da combattente. Monocolo nel regno dei ciechi, grazie alla professionalità che lo rendeva quasi unico nel panorama berlusconiano, però opportunista. Ma ora, dopo che ha avuto l’ardire di opporsi al Capo, sfidandone l’ira al punto da non rispondergli al telefono per settimane («Ditegli che non ci sono», era la risposta orgogliosa al centralino di Arcore), nessuno può argomentare che Pisanu sia privo di attributi. Semmai, ha un cattivo carattere. Permaloso? Tanto. Senso dello humor? Prossimo allo zero. «Una serietà, anche in famiglia, da far spavento», lo racconta Francesco Cossiga, che del giovane Pisanu fu il primo padrino politico. Veniva da Ittiri, provincia di Sassari, il paese dove s’incontrano (è sempre Cossiga a sostenerlo) «le più belle donne della Sardegna», dunque dell’Italia e forse del mondo, ancora fino a pochi anni fa nei loro costumi tradizionali. Centro agricolo, noto per la produzione di carciofi e per certi dolcetti croccanti a base di mandorle che donna Annamaria (consorte di Peppe, ex insegnante, toscana di Siena, un continuo affettuoso battibeccare col marito) per anni ha fatto recapitare al Cavaliere, il quale ne è ghiotto. Papà e mamma di Pisanu erano contadini. Benestanti, tant’è vero che non lo mandarono nei campi ma all’istituto di Agraria, scienza in cui si laureò dottore. Non arrivò a esercitarla, poiché la politica l’aveva già preso nell’ingranaggio, e nel partito che deteneva il potere, la Democrazia cristiana. Tra parentesi, democristiano Pisanu si dichiara tutt’oggi, e niente affatto pentito, perché lui è uomo della Prima Repubblica, per certi versi un sopravvissuto alla Grande Glaciazione. Le prime vertigini del successo le provò trent’anni fa, nella stagione dei Moro, dei Fanfani, «cavalli di razza» che se la battevano coi Berlinguer, i Nenni, i La Malfa, monumenti di una politica dove Pisanu fu proiettato come capo della segreteria di Benigno Zaccagnini. Si occupava di nomine, e poiché regnava la solidarietà nazionale, i suoi interlocutori stavano al Bottegone (da qui, spiega Cossiga, certi rapporti complici e mai interrotti di Pisanu col mondo ex-comunista). All’ombra dell’«onesto Zac» lui e gli altri componenti la «Banda dei Quattro» (Bodrato, Belci e Salvi), fecero bello e cattivo tempo. Finché non girò il vento. Furono dieci anni di disgrazia. Scoppiò lo scandalo P2 e Pisanu dovette dimettersi da sottosegretario al Tesoro per le frequentazioni con Flavio Carboni, che gli aveva presentato Guido Calvi proprio alla vigilia del crac Ambrosiano, e poi un certo Silvio Berlusconi che a quel tempo voleva espandere le sue tivù in Sardegna. Quando il Cavaliere fondò il partito, nel ’94, Pisanu ebbe l’intuito di puntare sul cavallo giusto. E la fortuna di approfittare degli scivoloni altrui. Era vice-capogruppo di Forza Italia alla Camera, quando la vicenda Ariosto mise fuori gioco Vittorio Dotti (ne prese il posto). Ed era malinconico ministro per l’Attuazione del programma, praticamente un Ufo, allorché Claudio Scajola definì Marco Biagi «rompicoglioni», e fu defenestrato dal ministero dell’Interno: chi meglio di Pisanu per l’ordine e la sicurezza? Si è fatto apprezzare dagli avversari per il suo passo felpato, istituzionale. L’unico scivolone l’ha commesso proprio al momento di andasene, quando il Corriere della Sera ha pubblicato stralci di intercettazioni dove Pisanu chiedeva a Lucianone Moggi di dare una mano alla Torres, che rischiava la C2. Sardocentrico perfino nel calcio. Sobrio, quasi quaresimale, nello stile di vita. Cattolico praticante. Si nutre col contagocce. Mai stato da un sarto. Amicizie rare e fuori della politica. Sommo godimento, le passeggiate sulla spiaggia di Alghero, dove ha una casa. Saltabecca nelle letture con indubbio profitto: recita a memoria interi canti della Divina Commedia, in gara con Paolino Bonaiuti. Una settimana fa ha rotto mesi di mutismo per dire basta all’«asse del Nord» con la Lega, basta alle cene di Arcore con Bossi e basta (così tutti hanno inteso) all’onnipresente Tremonti, vicepresidente alla Camera e pure vicepresidente al partito... Il guanto di sfida è lanciato. Bondi, cordinatore azzurro, pur di evitare una guerra intestina, sarebbe pronto a farsi da parte. Ma non è alla sua poltrona che mira Pisanu. Corteggiato dall’Udc, osservato speciale della Margherita, e perciò in grado di parlare l’unico linguaggio che (secondo Cossiga) Berlusconi capisce: quello barbaricino. Ugo Magri