La Repubblica 16/07/2006, pag.52 Silvana Mazzocchi, 16 luglio 2006
David Zard. La Repubblica 16 luglio 2006. Roma. «Ho avuto paura fino all´ultimo istante, poi ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato operare
David Zard. La Repubblica 16 luglio 2006. Roma. «Ho avuto paura fino all´ultimo istante, poi ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato operare. E sono rinato. Se non proprio a una seconda vita, sono almeno tornato alla fase della realizzazione dei sogni che, durante la malattia, si erano fermati». David Zard, 63 anni, il produttore che per primo ha portato i concerti negli stadi e che ha legato il suo nome ai grandi della musica internazionale, da Cat Stevens a Elton John, da Tina Turner a Lou Reed, da Frank Zappa ai Rolling Stones, l´impresario che ha rilanciato in Italia il musical come evoluzione naturale del melodramma in chiave moderna, l´ideatore del teatro di massa, ha un fegato nuovo. Nell´aprile scorso ha subito un trapianto epatico, dopo cinque anni di sofferenza e di debilitazione. Un calvario. «Non avevo più forze, andavo al 20 per cento della mia velocità abituale. Ero sempre stanco, spossato e non riuscivo neanche a leggere le proposte e i progetti che arrivavano sul mio tavolo. Non avevo più intraprendenza, ritmo, creatività; in una parola stavo perdendo tutto quello che mi fa vivere». Cinque anni di "sonno", troppi per un uomo abituato a gestire tre uffici con ottanta dipendenti e a macinare idee con il guizzo dell´inventore instancabile. Ebreo, nato a Tripoli, in Italia da quarant´anni (arrivò nel 1967 dopo la Guerra dei sei giorni), David Zard è sempre stato un organizzatore di talento. Da quando in Libia, appena ventenne, aveva l´ardire di riproporre le canzoni del Festival di Sanremo con i cantanti locali, già all´indomani della manifestazione italiana e prima che i dischi arrivassero a Tripoli. «Quando dal policlinico Gemelli mi hanno chiamato la prima volta per dirmi che erano pronti per il trapianto, ho avuto paura e non ci sono andato». Si accomoda sul divano rosso fuoco della sua casa fascinosa e minimalista, il produttore di Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante, della Tosca di Dalla e di Dracula, opera rock e ricorda non senza emozione quella notte del luglio 2005, quando squillò il telefono e dall´ospedale gli venne annunciato che il momento era venuto. «Rispose mio figlio Clemente; mi chiamò, gli tremava la voce... Sentiva il peso di una scelta che riteneva sua. Io avevo molto esitato di fronte alla prospettiva dell´operazione, mentre lui aveva insistito. E se mi fosse successo qualcosa? stato un attimo infernale quello: non me la sono sentita, avevo paura e dovevo riprendermi le mie responsabilità. E ho detto "no". In seguito, riuscire a recuperare è stato difficile. Ero stato cancellato dalla lista d´attesa e, dopo aver convinto i miei famigliari che il trapianto era cosa ormai archiviata, tolta loro ogni responsabilità riguardo alla decisione da prendere, nel febbraio successivo mi sono fatto riammettere nell´elenco dei pazienti. E ho aspettato, finché l´11 aprile è arrivata l´ora. Adesso sto meglio, la fase della convalescenza non è finita, ci vorranno ancora dei mesi, ma ho già ripreso in pieno il mio lavoro. Ho tanto da fare, tante idee». «Continuerò con l´opera. Con Gianna Nannini che sta già musicando Pia dei Tolomei, dalla Divina Commedia. E non è la sola cosa che ho in mente. Da qualche mese abbiamo ripreso una vecchia idea e dato il via a un megaprogetto, un altro mio sogno. Una rete di teatri di massa, dieci, dodici, dislocati su tutto il territorio nazionale. Grandi spazi fissi da duemila, tremila posti, adatti per grandi eventi, alla portata di tutti, come piace a me. Abbiamo presentato la proposta al ministero dei Beni culturali, alle Regioni, speriamo vada avanti... Da parte nostra promuoveremo un concorso tra i giovani architetti, per realizzarli al meglio. Sono convinto che si creerebbero centinaia di posti di lavoro, forse migliaia». Ritorna a parlare della malattia e i suoi occhi azzurri si fanno mesti. «Adesso è tutt´altra cosa, ma negli anni scorsi ho sofferto molto. Ero arrivato a non avere più la voglia di alzarmi la mattina. Io che ero abituato a fare tante cose insieme, a correre, a trottare. Sempre negli stadi, a controllare di persona gli spazi dei miei spettacoli, i corridoi, i servizi, gli spogliatoi, perfino i bagni. Mi sentivo debilitato e perso. Non poter dare al pubblico l´attenzione che merita. Io amo il pubblico, dico sempre che è lui la vera star». Ma non è sempre stato idillio tra David Zard e il pubblico, almeno quello giovanile. Negli anni Settanta, al tempo della contestazione dura, del "tutto e subito" e del molto di più, quando i giovani applicavano la disobbedienza di massa per assistere ai concerti senza pagare, quando le risse erano all´ordine del giorno al grido di "la musica è di tutti e non si paga", lui gira l´Italia con i suoi spettacoli. «Erano anni difficili; negli stadi dove si esibivano i musicisti che incantavano i giovani si arrivò alle bombe. I concerti erano comunque affollati, ma il clima era pesante e vedevo frotte di genitori aspettare per ore fuori dagli stadi, preoccupati che ai figli succedesse qualcosa. Qualche anno dopo, ricordando l´ansia di quei genitori, mi venne un´idea e, d´accordo con la Rai, organizzammo la diretta. Accadde con Madonna nel 1987: quattordici milioni di telespettatori». Anni aspri i Settanta per Zard; i contestatori più accesi gli urlavano dietro "picchiatore dei palestinesi" solo perché ebreo. E spesso gli toccava anche pagare i danni causati dai disordini che funestavano i concerti. Pressione troppo alta, tanto da indurlo a cambiare mestiere per un po´. Nel ’75 diventa manager di Angelo Branduardi e, in breve, lo trasforma in un successo europeo e in un collezionista di premi internazionali. Intanto, con il 1980, l´Italia è diventata un´altra cosa; s´affacciano gli anni rampanti della ripresa e della "Milano da bere" e Zard torna a organizzare i grandi concerti rock. Rolling Stones, Madonna, Pink Floyd, Michael Jackson. Si fa editore musicale con tre società in Europa. Crea imprese di servizi per spettacoli, allestisce manifestazioni, congressi e promuove eventi. A cavallo del 2000 nasce l´idea di ripescare la tradizione operistica in chiave moderna. Notre Dame de Paris, la Tosca e Dracula, opera Rock. «Spettacoli molto costosi, ma la musica è la colonna sonora della vita e allora il danaro non è al primo posto. Io mi sento più un creativo che un imprenditore ed economicamente sono un disastro. Guardo al risultato e, solo dopo, mi chiedo se ne valeva la pena oppure no. Come per le produzioni teatrali. Tutte, quando si spostano, hanno costi enormi. Io però ho una filosofia: non faccio solo Roma o Milano, non tratto le altre città d´Italia come fossero di seconda categoria, non taglio lo spettacolo. Porto lo stesso spettacolo, intero e ovunque. Con Notre Dame de Paris, per esempio, in molte città ho perso parecchi soldi. So bene anch´io che, con un´opera come Tosca, a Roma dopo centomila spettatori è tutto guadagno. Ma, se uno spettacolo non gira, non c´è conoscenza. E la produzione senza conoscenza non mi interessa». Zard tiene alla sua immagine. E, mentre torna a ricordare il trapianto e la convalescenza che vive sforzandosi di essere paziente, ripete che «c´è tanto da fare». Dice: «La malattia per me è stata anche costruttiva. Continuavo ad ascoltare, a mettere da parte progetti; e adesso me li ritrovo tutti. Li sto leggendo con attenzione uno per uno, so troppo bene quanto lavoro c´è dietro ogni proposta. Del resto la mia giornata è sempre uguale: mi alzo, vado in ufficio, guardo la posta, controllo come vanno i concerti, le iniziative, parlo con i miei collaboratori. E leggo, leggo tutto e annoto idee». Ha cambiato tante volte attività, Zard, che ormai al mutamento ha fatto l´abitudine. «Arrivato in Italia quarant´anni fa, la prima cosa che feci fu organizzare una tournée per Aretha Franklin. A Tripoli avevo ingaggiato spesso gli artisti americani che venivano a suonare il pomeriggio nella base americana. Così, quando lasciai la Libia, fu l´agenzia di questi artisti a propormi una tournée in Europa per Aretha Franklin. E io mi buttai; dopo l´Italia andammo in Germania, poi in Francia, fino all´Opéra di Parigi». Sorride al ricordo. «Ho tentato anche il teatro, fui il primo a portare Stefania Sandrelli sulle scene. Con Le faremo tanto male, un testo che parlava del rapimento di una star. Recitava con Alessandro Gassman. Era il ’92, a Roma feci trasformare il Palladium, che era una balera-discoteca, in un teatro. Ci rimisi molto danaro, ma non avevo esperienza. In seguito sono tornato alla musica, che è la cosa a cui tengo di più. La musica ha la forza di far sentire vicine le persone più diverse, unisce la gente. In uno stadio, a un concerto, se ti siedi vicino a un cinese, a un giapponese, ti esalti con lui. La musica deve essere per tutti, e se tutti potessero ascoltarla liberamente forse non ci sarebbero l´integralismo, il fanatismo». Musica e non solo. «L´Italia la amo visceralmente, ma non mi piace l´idea del made in Italy come è comunemente intesa. Io ho un progetto mio, si chiama " italiano, Italia è". Vuole valorizzare l´immagine di questo Paese, la cucina, la moda, il mare, i monti e le bellezze, naturali e artistiche. L´Italia è la più grande risorsa culturale, la più grande offerta di monumenti. Ho già proposto la mia idea alla Confindustria, alla Confcommercio, alle Regioni...». Mentre elenca tutto quello che sogna e che vuole fare subito, gli s´accende di nuovo lo sguardo. Ripete che in testa c´è Gianna Nannini con la sua Pia dei Tolomei. Precisa però che innanzi tutto dovrà lavorare al ritorno in scena di Tosca e di Dracula all´arena di Verona, già in calendario per il settembre prossimo. «Dracula lo voglio cambiare; ha avuto successo, ma non mi ha soddisfatto completamente, trovo che così come è manchi di pathos. Non può vincere il male, ed è inaudito che trionfi sul bene. E allora, nella nuova versione, sarà Dracula che, sacrificandosi per amore di Mina, andrà verso la luce tra i mortali, e incontrerà la sua principessa. Insomma a Dracula gli cambio il finale e vincerà il bene. la prima cosa che farò». Silvana Mazzocchi