La Stampa 9 luglio 2006, pag.10 Francesco La Licata, 9 luglio 2006
Al servizio segreto di Sua Deviazione. La Stampa 9 luglio 2006. Roma. Ha radici che affondano nel tempo la non esaltante nomea dei nostri servizi segreti
Al servizio segreto di Sua Deviazione. La Stampa 9 luglio 2006. Roma. Ha radici che affondano nel tempo la non esaltante nomea dei nostri servizi segreti. Tanto da finire per essere una sorta di preconcetto capace di oscurare anche le «buone operazioni» - eseguite specialmente nell’era del terrorismo islamico e del rigurgito brigatista - che pure ci sono state, per ammissione generalizzata da destra e da sinistra. Anzi sarà forse proprio per il pesante retaggio del passato che oggi, di fronte all’«affaire Abu Omar» e alla disinvolta collaborazione del Sismi con gli americani della Cia, che assistiamo ad una sorta di riflesso condizionato che quasi nega «qualunque sentimento di sorpresa», come se, appunto, si trattasse di storie che si ripetono da troppo tempo. Il sistema americano. Non stupisce, perciò, che un insigne giurista che è stato anche politico di grande sensibilità costituzionale - l’ex Presidente dell’Autorità per la Privacy, Stefano Rodotà - possa commentare così la vicenda: «Io che sono abbastanza vecchio ricordo tutta una serie di vicende passate e tutto quello che sta avvenendo in questi giorni mi inquieta». Poi aggiunge: «Mi sembra che di nuovo compaiano i servizi segreti ”deviati”. Vuol dire che qualcosa non funziona all’interno di questo mondo se le ”deviazioni” si riproducono». Già, il tormentone dei «servizi deviati»: una storia infinita tutta italiana, condizionata forse - e questo è un dato condiviso da molti storici - dalla preponderante presenza degli apparati americani e dalla conseguente nostra «sovranità limitata», il prezzo pagato ai timori per l’«invasione dei cosacchi». E’ proprio il sistema americano (col coinvolgimento della Marina) che, già nel ’45, fa da modello per una struttura interamente riciclata del disciolto servizio militare monarchico. E sarà quel servizio a «salvare» il comandante Junio Valerio Borghese, esercitando poi una repressione blanda sui reduci della X Mas. E’ un momento particolare della storia italiana e la presenza di un grande partito comunista indurrà i vertici della struttura, intanto divenuta Sim (Servizio Informazioni Militari), ad imbarcare gran parte del cascame fascista. In Sicilia verranno arruolati persino uomini capaci di garantire «buoni rapporti» con quella mafia che era stata utilizzata per agevolare lo sbarco a Licata. Anzi, ad un certo punto, proprio gli americani - come hanno raccontato documenti recentemente «liberati» dal governo di Washington - sembrarono aver trovato un accordo con esponenti del cosiddetto «clandestinismo fascista» per fronteggiare il nemico comune rappresentato dal blocco del Popolo che aveva vinto le elezioni in Sicilia. In questo scenario matura la strage di Portella delle Ginestre e la torbida storia di Salvatore Giuliano (Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Bompiani). Non cambieranno le cose dopo lo scioglimento del Sim e l’avvento dell’Ufficio I dello Stato maggiore dell’esercito. E neppure dopo, quando nasce il famigerato Sifar. Sarà, il servizio segreto, un vero e proprio cane da guardia dell’ortodossia filoamericana in seno alla Nato. Certo, si verificheranno episodi molto più venali della difesa della democrazia anticomunista, come il coinvolgimento nel cosiddetto «scandalo delle banane e dei tabacchi» che coinvolse il ministro Trabucchi. Già, gli «scandaletti»”: anche quelli si sono ripetuti con una certa cadenza, specialmente da quando il servizio segreto è entrato da protagonista occulto nel sistema che ha promosso la vendita delle armi delle industrie italiane. Con meno giri di parole, alcuni storici hanno parlato apertamente di traffico d’armi, tirando in ballo l’ufficio Rei (Ricerca economica industriale) del Sifar del generale Giovanni De Lorenzo. Ordine Nuovo. Una connection «servizio-industria» non sempre esaltante: si pensi al famoso convegno dei fascisti di Ordine nuovo al Parco dei Principi, a Roma (1965), finanziato dalle maggiori imprese italiane. E il famigerato scandalo di Fiumicino (l’acquisto dei terreni dei Torlonia), insabbiato con accorte operazioni di depistaggio. Ma gli scandali non sono stati solo per soldi. C’è una lunga attitudine spionistica che predilige le intercettazioni, i dossier, le foto o i fotomontaggi per meglio controllare (ricattando i protagonisti) il corso degli eventi politici. Restano nell’immaginario degli italiani le 157000 schede del Sifar («4 faldoni alti come un doppio dizionario»), le impietose notizie sulle malattie mentali di alcuni familiari di Saragat; la foto di Scelba (oppositore nella Dc del primo governo Moro) sorpreso in imbarazzante compagnia femminile in via Veneto, a Roma; le bobine manomesse venute alla luce molti anni dopo la conclusione dell’inchiesta sulle «deviazioni» del Sifar. Furono le carte di Gladio (l’organizzazione militare segreta resa pubblica da Giulio Andreotti) a rivelarne l’esistenza e le manomissioni. Erano un’accurata schedatura delle abitudini di Vip e politici, persino di Presidenti della Repubblica consegnati in «viva voce» con tutti i loro «vizietti», compreso l’utilizzazione della porticina secondaria del Quirinale per l’accesso di generose signorine. Autentiche tragedie, come l’assassinio di Maria Fenaroli, utilizzate per guerre fra bande e delegittimazioni politiche che lambivano il Quirinale. E quando fu deciso che andavano distrutte le schede illegalmente redatte, il servizio finse di bruciarle. Chissà come, qualche tempo dopo quel «patrimonio» verrà miracolosamente riesumato e portato in dote, dal generale Giovanni Allavena, al Gran Maestro della P2, Licio Gelli, al momento della sua iscrizione alla Loggia. La strage di piazza Fontana. Quasi superfluo, ricordare il vincolo stretto della massoneria deviata coi vertici dei servizi e degli Stati maggiori: Santovito, Maletti, Miceli, Viezzer, Viviani, per fermarsi ai più noti. E poi i giornalisti: un chiodo fisso anche quello. L’informazione e la disinformazione attraverso redattori che intrattenevano rapporti stretti con alcuni dirigenti del servizio: Guido Giannettini, che si scoprirà essere l’agente «Z», indagato per la strage di piazza Fontana; Giorgio Zicari il «cronista con la pistola» della strategia della tensione. Per non parlare del direttore di «Op», Mino Pecorelli, assassinato dopo essere stato utilizzato per scandali e ricatti. E allora non c’era neppure la «quarta guerra mondiale», oggi invocata come attenuante all’arruolamento atipico dei cronisti. Francesco La Licata