La Stampa 18/07/2006, pag.1-12 Tito Boeri, 18 luglio 2006
Il conto salato solo alle società. La Stampa 18 luglio 2006. L’obiettivo delle sanzioni dovrebbe essere quello di scoraggiare gli illeciti sportivi
Il conto salato solo alle società. La Stampa 18 luglio 2006. L’obiettivo delle sanzioni dovrebbe essere quello di scoraggiare gli illeciti sportivi. Chiunque ami lo sport, come la stragrande maggioranza degli italiani e di chi all’estero segue «il calcio», vuole prestarsi al giudizio del campo, non apprezza gli illeciti, anche quando commessi a vantaggio della propria squadra. Perché una sanzione agisca come deterrente deve rendere conveniente comportarsi in modo regolare, tenendo conto della probabilità che l’illecito venga scoperto. Alla luce di questo criterio, le sanzioni comminate ai protagonisti di Calciopoli sono troppo basse. I cinquantamila euro che dovrà pagare Luciano Moggi corrispondono probabilmente a un ventesimo del suo stipendio annuale da dirigente bianconero, i 30.000 euro richiesti a Diego Della Valle corrispondono allo 0,00 per cento dell’utile annuale di Tod’s. Certo, c’è il danno di immagine, ma non è forte quanto il trionfo accordato in caso di vittoria (pensiamo ai cori a favore della «triade» in occasione dell’ultima partita casalinga della Juve). E in Italia c’è poca sanzione sociale per chi viola le regole. Le sanzioni comminate dalla Caf alle squadre sono più rilevanti perché ne colpiscono il bene principale, il diritto a disputare i campionati (o tornei) più prestigiosi. I club retrocessi perderanno fino al 50% dei propri ricavi annuali per almeno un anno e dovranno ricostruire le proprie rose, sperando tra l’altro di riuscire a vendere ai prezzi di mercato i calciatori che si avvarranno delle clausole di rescissione dei contratti. Il rischio di fallimento per squadre già in difficoltà finanziarie, come la Lazio, è molto forte. C’è dunque una notevole sperequazione fra le sanzioni irrisorie inferte ai singoli e quelle ben più rilevanti comminate alle squadre e alle loro tifoserie. Nel caso delle società quotate, gli azionisti potranno perseguire i dirigenti che hanno commesso gli illeciti e farsi risarcire parte dei danni. Negli altri casi, la collusione ai vertici dietro cui ha potuto fiorire Calciopoli rende questo risarcimento alquanto improbabile. Tra l’altro le sanzioni ai club avranno effetti negativi anche su altre squadre dello stesso campionato, soprattutto per quei club che non sono a rischio di retrocessione, che vedranno assottigliarsi gli incassi da stadio virtuale (pay-tv), senza avvantaggiarsi del fatto di avere squadre meno forti con cui scontrarsi. Per questi motivi, sanzioni del tipo di quelle inferte dalla Caf rischiano di non essere un deterrente sufficiente perché chi commette l’illecito è in gran parte al riparo dalle sanzioni, mentre chi viene colpito può spesso fare poco per impedire gli illeciti. Essendo tra l’altro molto ampio il raggio di coloro che sono penalizzati, è probabile che il secondo grado di giudizio ammorbidisca non poco le sanzioni di primo grado (l’andamento del titolo Juve ieri in Borsa sembra riflettere questa convinzione). E una sanzione che non è credibile ex ante, non serve. Per questi motivi, la pur storica sentenza di venerdì scorso difficilmente potrà scongiurare il rischio di una nuova Calciopoli. Per farlo occorre poter sanzionare di più le persone che commettono gli illeciti. La giustizia sportiva non può spingersi oltre certi limiti anche perché il singolo può sempre uscire dalla categoria e ricorrere alla giustizia ordinaria. Ma i contratti dei dirigenti dovrebbero contemplare penali consistenti per chi commette gli illeciti sportivi. Giusto che anche le squadre siano penalizzate, altrimenti potrebbero avvalersi di dirigenti-corruttori, da scaricare all’occorrenza, come i capri espiatori dei romanzi di Pennac. Ma ci vuole meno squilibrio fra i due tipi di sanzione, quella individuale e quella collettiva. Servirà anche più concorrenza, sulla traccia di quanto suggerito nel parere dell’Antitrust del 24 maggio 2006. Più concorrenza economica e sportiva rende più onerosa la corruzione perché diventano molte di più le partite decisive e non basta più concentrare l’illecito su poche partite chiave. Infine, è importante ridurre il potere discrezionale degli arbitri, limitando l’oggetto della corruzione, mediante innovazioni come l’utilizzo della moviola a bordo campo. Se ripercorriamo gli illeciti menzionati nella sentenza della Caf, scopriamo che in moltissimi casi la decisione dell’arbitro non avrebbe retto all’esame del filmato. Certo, perché la moviola incida sulle scelte arbitrali, bisogna che venga consultata. E non si può negare all’arbitro il diritto di decidere quando utilizzarla. Ma come prova Calciopoli, anche per gli arbitri è fondamentale il giudizio del pubblico. E l’errore di un arbitro che rifiutasse di consultare la moviola di fronte ad episodi importanti e contestati sarebbe indifendibile. La Fifa, per bocca del suo presidente Blatter, ha già fatto sapere che non è intenzionata a introdurre la moviola a bordo campo. Ma, come dimostra l’espulsione di Zidane alla finale dei Mondiale, oggi viene già utilizzata. Se l’Italia si muovesse per prima, se fosse il primo Paese a introdurre questa innovazione, darebbe più credibilità al calcio e, più in generale, al rispetto delle regole nel nostro Paese. L’episodio Zidane, la difesa del suo comportamento operata da molta stampa internazionale, dimostra che abbiamo un problema di immagine molto serio. Per mettere a frutto la vittoria dei Mondiali incrementando le esportazioni di partite del campionato, dunque il fatturato del calcio, bisogna far capire al mondo che non solo si è più forti di tutti, ma anche che solo da noi si possono vedere partite i cui protagonisti non sono gli arbitri, ma le squadre in campo. Tito Boeri