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 2006  luglio 16 Domenica calendario

Valentino: "spingere la moto al limite è la mia opera d’arte". Il Messagero 16 luglio 2006. Lo chiamano Valentino a Tavullia dov’è nato e a Londra, dove risiede, ma anche a Cincinnati, a Praga, a Nairobi, a Mosca, a Manila

Valentino: "spingere la moto al limite è la mia opera d’arte". Il Messagero 16 luglio 2006. Lo chiamano Valentino a Tavullia dov’è nato e a Londra, dove risiede, ma anche a Cincinnati, a Praga, a Nairobi, a Mosca, a Manila. Lo chiamano Valentino ovunque. con il Papa, Sophia Loren, la Ferrari, la pizza, gli spaghetti, l’espresso, la canzone napoletana, il melodramma, l’emblema del made in Italy. una campione, un campionissimo, ma del campione, del campionissimo non ha le pose né la supponente iattanza. Se il pilota fa sempre sul serio, l’uomo non si prende mai sul serio. Più saggio di quel che sembra, o vuol sembrare, e anche più timido, parla della sua moto come Dante parlava di Beatrice, Petrarca di Laura. Il dottor Valentino Rossi ha avuto tre mogli: l’Aprilia, la Honda e la Yamaha, l’ultima, che gli hanno dato sette figli, tutti bellissimi: i più belli. Dopo il leggendario Giacomo Agostini, che ne ebbe quindici, è il nostro centauro più prolifico. Se quest’anno la Yamaha partorirà l’ottavo non sappiamo. Quel che sappiamo è che incinta e vuole sgravarsi prima della Repsol Honda di Pedrosa e di quella di Hayden. La levatrice è avvisata. A che età salì sulla prima moto? A tre anni. Il suo primo alloro? A Brno, nel 1996, in 125. L’anno decisivo della sua carriera? Il 1997, quando mi aggiudicai il primo mondiale. Cosa ha più degli altri? Non è a me che deve chiederlo. E se lo chiedo a lei? Passione, concentrazione, freddezza. Perché un pilota – parole sue – è ”più un artista che uno scienziato”? Perché guidare una moto al limite è un’opera d’arte. Il momento più difficile della sua carriera? Nel 2004, il mio primo anno con la Yamaha. Nel Qatar, partii ultimo e caddi. Potevo perdere quel mondiale, ma lo vinsi. Dorme meglio la notte precedente la gara o quella successiva? Quella successiva. Si è mai rifiutato di scendere in pista? Sì, durante le prove del campionato europeo 1995. Pioveva a dirotto. Quando un pilota coraggioso deve avere paura? Ma la paura è importante. E sa perché? Perché? Perché favorisce la concentrazione. Dopo la partenza, alla prima curva, si è tutti molto vicini: lo spazio è poco ed è più facile commettere errori. In pista, più rischia o più calcola? Più calcolo. Io rischio solo in situazioni-limite, negli ultimi giri. Trepida di più ai box o in pista? Ai box sono piuttosto teso. E in pista? Abbastanza calmo. Ha mai visto la morte in faccia? Mai. E di profilo? Sì, a Suzuka, nel 2002, quando, velocissimo, caddi in curva vicino a un muro. Il ruolo della fortuna in una gara? Importante, non fondamentale. La fortuna bisogna saperla vedere, intercettare, sfruttare. Punta sugli errori degli avversari? Preferisco pensare che i miei avversari errori non ne commettano. L’avversario va solo temuto o anche rispettato? Se non lo rispetti, la gara diventa pericolosa. Il momento più esaltante di una gara: la partenza, l’arrivo o la gara stessa? Gli ultimi due-tre giri, quando la sfida si arroventa. La moto e il fiato si stanno esaurendo e si sente la fatica, lo sforzo. Ha mai pensato di non meritare una vittoria? Sì, in Germania, nel 1997. Ero secondo dietro il giapponese Sakata, che al quarto o quinto giro dalla fine ruppe e si ritirò. E ha mai pensato di non meritare una sconfitta? In Qatar, non meritavo di partire per ultimo. Perché, dopo la gara, fa uno spettacolo fuori programma? Per sdrammatizzare e festeggiare in modo non banale la vittoria. In gara, si diverte più lei o il pubblico? Ci divertiamo tutt’e due. Quanto tempo passa vicino alla sua moto? Tanto. Quasi ogni notte vado nel box, magari con qualche amico, e parlo alla mia moto, l’accarezzo, la coccolo. Cosa le dice? ’Dammi una mano”. E la incoraggio, la pungolo, la incito. Le risponde sempre? Sì, con segni impercettibili che solo io so interpretare. Perché tappezza la moto di adesivi? Gli adesivi sono una mia passione, con la grafica e il casco. Una passione che amo personalizzare. Come si mantiene in forma? Con gli allenamenti, la palestra, il footing, la bicicletta, l’aerobica. Quali rivali teme di più? Pedrosa. giovane, veloce, intelligente. Ma, quest’anno, anche Hayden. I suoi miti in moto? Il texano Schwantz, innanzitutto. E il grandissimo Agostini, che si aggiudicò quindici mondiali. Si rischia di più in sella a una moto o al volante di un’auto? In strada, molto di più con la moto. In pista, non c’è differenza. Fa più a lei gola la Formula 1 o fa più lei gola alla Formula 1? Diciamo fifty-fifty. Passerà alla Formula 1? No. Cos’è stata per lei l’Aprilia? Il mio primo contratto da pilota vero, da professionista. Un’emozione indescrivibile. E cos’è stata per lei la Honda? E’ una gran bella moto, ma la Casa produttrice non dà molta importanza al pilota. E cos’è per lei la Yamaha? La moto più vicina al mio stile. Alla Yamaha sono tutti molto aperti al dialogo e il pilota è un valore. Il rapporto è di massima fiducia reciproca. Quante moto nel suo garage? Una quindicina fra Aprilia, Honda, Yamaha. E auto? Diciamo quattro: Porsche e BMW. Con che animo sale sulla moto guidata da un altro? Ma io sulla moto guidata da altri non salgo. Non ci è mai salito? Una volta, sullo scooter di un amico. Fece un incidente e io finii all’ospedale con un piede rotto. Cosa deve a suo padre? Innanzitutto, la passione per la moto, e anche uno stile di vita. Mio padre è un uomo pieno di humour, che non si prende – anche lui - mai sul serio.  vero che suo padre andava in giro per Tavullia con una gallina al guinzaglio? Non a Tavullia: a Pesaro. Nella via principale della città. E cosa deve a sua madre? La sensibilità e l’impuntualità. Chi sono oggi i suoi amici? Quelli di ieri e dell’altro ieri, quando andavo all’asilo e alle elementari. I suoi nemici? Se ne ha. E chi non ne ha? Ma io non li conosco. Le sue amiche? Anche queste dai tempi dell’asilo? Qualcuna. Cosa chiede a un amico? Fiducia e stima. E gli amici cosa chiedono a lei? Fiducia e stima. Quando comincia la sua giornata? A mezzogiorno. Quando mi sveglio. E quando finisce? Mai prima delle tre di notte.  ritardatario come sua madre. E se ritardano gli altri? Odio aspettare. Ma non mi arrabbio. E sa perché? Perché? Perché mi sento in colpa. Quando arrivo tardi mi divento antipatico. Cosa legge? Libri leggeri, d’evasione. E qualche giallo. Ha scritto anche un’autobiografia. In sei mesi. Mi ci sono molto divertito. I suoi passatempi? La musica country, i Pink Floyd, i Deep Purple. I suoi sport? Tutti quelli a due ruote. Ma anche lo snowboard, lo sci, il calcio (mancino, gioco ala sinistra). C’è un piatto per cui rinuncerebbe a una pole position? Gli spaghetti alla carbonara. Il denaro è un buon pungolo? La passione prescinde dal guadagno. Il denaro mi piace per fare tante cose. Perché la residenza proprio a Londra? Londra è una città straordinaria: c’è tutto. Soprattutto, un gran rispetto della privacy. Ti riconoscono, ti dicono ”Ciao”, ”Bravo”, ma non ti assalgono. Sente più a Londra la nostalgia di Tavullia o a Tavullia la nostalgia di Londra? A Londra la nostalgia di Tavullia. Come passa il tempo fra un mondiale e l’altro? D’inverno faccio almeno una settimana di vacanza al mare o vado a sciare. Ricarico così le batterie.  davvero superstizioso? Superstiziosissimo. La sua più eccentrica superstizione? Mettere e vedere tutto a posto. Ho i miei portafortuna, a cominciare dalla tartaruga ninja che mi ha regalato la mamma e che porto sempre con me, a tutte le gare. E poi, mi tocco. Dove si tocca? Indovini un po’? Con quali riti, prima della gara, propizia la vittoria? Mi accuccio vicino alla mia Yamaha, come fossimo tutt’uno.  vero che, alla vigilia di un Gran Premio, fa ogni cosa cominciando dal lato sinistro? Verissimo. Forse perché sono mancino.  più rituale la sua vestizione o quelle di un torero o di un Papa? Forse, quella di un torero o di un papa. La sua quanto dura? Fra tuta, pantaloni, casco, stivali, una quindicina di minuti. Cos’ha di speciale il suo numero preferito 46? E’ speciale per me. E questo mi basta. La sua somma fa dieci: numero perfetto. Teme di più uno iettatore o Niky Hayden? Uno iettatore. Vince anche in sogno? No. Quando dormo sogno di cadere. Sapesse che paure mi prendo. Il suo angelo custode non si è mai distratto? No: è sempre stato attento. Non posso lamentarmi. E’ più facile conquistare un titolo o una donna? Una donna. Ma è difficile tenerla. Quante ragazze, a un suo cenno, volerebbero fra le sue braccia? Tante. Più della media. Di una donna le piacciono di più le curve o il rettifilo (quello che porta all’albero della cuccagna)? Le curve. Quali curve? Quelle del culo. Meglio in sella a una moto o fra le braccia di una donna? Fra le braccia di una donna.  più facile truccare un motore o capire una donna? Capire una donna è impossibile. Il suo cervello funziona in modo diverso dal nostro. Il sesso fa bene allo sport? Sì: rilassa. In che dosi? Quanto basta. Se esageri, durante la gara, l’acido lattico ti va nei polpacci. ’I giornalisti – ha detto – sono come le donne: appena vinci, arrivano subito”. E, se perdi, chi resta più a lungo? Le donne, un po’ di più. Ma non molto. Le pesa l’ambiente in cui vive, il mondo che la circonda? Non particolarmente. Il professionismo, allo sport, ha più giovato o più nuociuto? Ha più nuociuto. Prima si commettevano più errori, ma c’era più passione, più verità. Chi ha sporcato e sporca lo sport? Chi ci lavora senza amarlo. Come ridare verginità e dignità al calcio? Il calcio è uno sport dove si può facilmente barare. Ci vuole un bell’esame di coscienza. Ha mai temuto di non farcela? Ma bisogna sempre temere di non farcela. Cosa farà quando non farà più quello che fa? Non ci voglio pensare. Lei, oggi, è solo oggetto di ammirazione o anche di culto? Qualche volta, anche di culto. Laureato dottore, cosa aspettano a farla santo? O, almeno, beato? Me lo chiedo anch’io. Anche per lei, come per Chopin, ”Chi non ride mai è un buffone”? Sì. Roberto Gervaso