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 2006  luglio 16 Domenica calendario

Nasrallah Hassan

• Beirut (Libano) 31 agosto 1960. Politico (terrorista?) • «[...] leader supremo degli Hezbollah libanesi [...] per gli israeliani ha le sembianze di un serpente. Così è ritratto nelle migliaia di volantini verdi lanciati [...] su Beirut. “Al popolo libanese, fate attenzione: sembra un fratello, ma è un serpente”, dice il testo in arabo sopra una caricatura di Nasrallah, dove l´inseparabile turbante nero ha le sembianze di un cobra. L’uomo che agita i sonni dei vertici israeliani, che gli americani hanno messo sulla lista nera del terrorismo dopo l’11 settembre [...] Il potere di Hassan Nasrallah, il suo nome in arabo significa “Vittoria di Dio”, non è illusorio: è venerato come un santo dagli sciiti libanesi, ha studiato a Najaf (Iraq) dal ’76 al ’78, dove frequentò anche l’ayatollah Khomeini allora lì in esilio e la futura guida degli sciiti iracheni, l’ayatollah Ali Sistani. Poi, dopo la morte del primogenito Hani, durante un attacco contro gli israeliani nel 1997, un “martire” nell’iconografia di Hezbollah, la sua popolarità è cresciuta ancor di più. [...] Hezbollah, fondato nel 1982 e da 14 anni guidato saldamente dal suo leader, ha da sempre due volti. Quello pubblico, fatto di grande impegno nel welfare, nel sociale, che esprime anche 11 deputati nel Parlamento. Nel malandato Stato libanese Hezbollah ha creato una rete di asili, scuole, colonie estive, posti di accoglienza per mutilati, cliniche mediche considerate anche di un certo livello. Dove paga solo chi può pagare. Il welfare di Hezbollah è stato un formidabile strumento di promozione del movimento in tutta la popolazione sciita. E poi c’è il volto “ombra”: una milizia armata sostenuta e finanziata da Teheran e Damasco, che ha nelle sue mani il controllo di vaste aree del paese, che per anni ha condotto la guerriglia sulla frontiera fronteggiando due grandi operazioni militari israeliane nel 1993 e nel 1996. Unica milizia libanese a non essere disarmata dopo l’accordo di pace di Taef, ha peso decisivo nei difficili equilibri libanesi e si è imposta alla maggioranza parlamentare anti-siriana del premier Fouad Siniora: nessuno osa sfidare il Partito di Dio. [...]» (Fabio Scuto, “la Repubblica” 16/7/2006). «[...] è un “sayyid”, un discendente della famiglia del Profeta, titolo riservato a una ristretta élite “nobiliare” dello sciismo, contrassegnato dal turbante nero. Il suo percorso privato e politico rispetta quello dello stessa formazione oggi da lui capeggiata. Nasce nella periferia orientale della città, nel povero quartiere di Burj Hammud, oggi armeno-cristiano, all’epoca abitato anche da una minoranza sciita. Da anni si trova a comandare la resistenza da Haret Hreik, roccaforte sciita soltanto da una ventina d’anni, ma un tempo zona cristiana maronita. Era un Libano ancora non diviso in trincee. La guerra civile, iniziata nel 1975, avvicina Nasrallah adolescente al neonato partito dei “diseredati” (poi “Amal”, la Speranza) fondato dall’imam sciita Musa Sadr, schierato a fianco della resistenza palestinese con un’ottica però locale. Ma Nasrallah è un “sayyid” e deve proseguire la sua formazione religiosa: si reca a Najaf, principale centro sciita della regione. Nel 1978 viene espulso dall’Iraq e torna al sud, da poco scosso dalla prima invasione israeliana del paese. E mentre Khomeini sale al potere in Iran, il futuro capo frequenta le lezioni di un leader politico-religioso di spicco, lo shaykh Abbas Al Musawi. Quest’ultimo, futuro capo di Hezbollah, nota il giovane allievo e gli affida l’incarico di rappresentare “Amal” nella valle della Bekaa, futura roccaforte del Partito di Dio. Una prima svolta è nel 1982: Israele invade il Libano fino a Beirut. Esplodono i dissidi interni alla dirigenza di “Amal”, anni prima privata del suo capo Musa Sadr ucciso misteriosamente in Libia nel 1978, e il movimento si divide. Nasce una nuova formazione armata, “Hezbollah”: il “partito di Dio”, ricordato più volte nel testo coranico. Gli inizi sono clandestini almeno fino al 1985. L’obiettivo del gruppo è quello di combattere l’occupazione israeliana e di fondare nel paese uno Stato islamico d’ispirazione iraniana. Nasrallah è uno dei giovani dirigenti politici a fianco di Musawi. Loro avrebbero ordinato l’esecuzione di operazioni contro i marines e i parà francesi a Beirut nel 1983, loro avrebbero affiancato “Amal” e la Siria nel gestire “la guerra degli ostaggi” nel Libano infiammato dal conflitto. A chi li accusa hanno sempre risposto: combattiamo l’occupante, i nostri obiettivi sono per lo più militari. Il “sayyid” sale di grado e nel 1991, subito dopo la fine della guerra civile, è indicato dagli osservatori come il numero due di Hezbollah. Era vero: l’anno successivo, Nasrallah assume ufficialmente le redini del potere succedendo allo shaykh Musawi, ucciso da un attentato israeliano. È il dopo guerra, ma il sud è ancora occupato. Il partito di Dio è l’unica milizia che può conservare le armi, consacrata dal paese e dalla Siria come “resistenza”. Damasco e Teheran si servono di Hezbollah come spina nel fianco contro Israele e col passare degli anni i miliziani sciiti guadagnano punti nel confronto militare con i soldati di Tsahal. Nasrallah parla poco, ma si muove bene. Quando interviene, sorprende per l’abile retorica. La tv del partito “Al Manar” infligge numerose sconfitte mediatiche, mostrando al mondo la sua verità sull’occupazione israeliana. L’apice della celebrità, la si raggiunge nel maggio 2000, con le truppe di Tel Aviv in rotta dal sud del Libano e le bandiere giallo-verdi di Hezbollah su ogni villaggio “liberato”. Nasrallah e i suoi ora devono trovare però un’altra formula e passare da milizia a forza politica locale. Ed è qui che la strategia del “sayyid” sembra indebolirsi. Nei sei anni passati, il partito di Dio è arrivato in Parlamento, è riuscito a imporre il proprio controllo amministrativo al sud e in alcune zone della Bekaa, ma la sua spinta s’è progressivamente ridotta. L’occupazione israeliana delle Fattorie di Shebaa, tra Siria e Libano, non basta a giustificare la presenza militare al sud. La difesa del paese, come dimostrano gli eventi di queste ore, non è garantita dalla guerriglia sciita. E allora? Allora “guerra aperta” e molta retorica. Dal suo bunker sotterraneo Nasrallah sembra esser stato sopraffatto dalla suicida logica del “tanto peggio tanto meglio”. Ma metà del Libano non è più con lui» (Lorenzo Trombetta, “La Stampa” 16/7/2006).