Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  luglio 15 Sabato calendario

La banalità delle mani La Stampa, sabato 15 luglio Un giorno di maggio del 1933, appena tre mesi dopo che Hitler venisse nominato cancelliere della Germania, Martin Heidegger pronunciò un discorso all’Università di Heidelberg

La banalità delle mani La Stampa, sabato 15 luglio Un giorno di maggio del 1933, appena tre mesi dopo che Hitler venisse nominato cancelliere della Germania, Martin Heidegger pronunciò un discorso all’Università di Heidelberg. Heidegger, senza dubbi il filosofo più influente del XX secolo, era già considerato allora come uno dei pensatori più formidabili del tempo e aveva l’incarico di rettore dell’Università di Friburgo. All’evento era presente Karl Jaspers, amico e affascinato ammiratore di Heidegger, il quale, seduto in prima fila, con lo sguardo scuro per la contrarietà e le mani sprofondate nelle tasche, scopriva, ancora incredulo, che l’incomparabile filosofo con il distintivo nazista al bavero stava trasformando il suo intervento in un’incendiaria arringa a favore del progetto di Hitler sull’università. Dopo la cerimomia i due amici andarono a cena insieme. Parlarono. Jaspers espresse il suo disgusto a Heidegger, gli confessò di non poter credere che fosse d’accordo con la politica nazista nei confronti degli ebrei. Heidegger, che a quel tempo aveva ormai interrotto ogni rapporto con i colleghi ebrei, compreso il suo maestro Edmund Husserl, e aveva addirittura denunciato alle autorità alcuni di loro per motivazioni di carattere politico, gli rispose, imperterrito, che era evidente l’esistenza d’una pericolosa trama internazionale di matrice ebraica e che era necessario disarticolarla. In un altro momento della conversazione Jaspers gli disse che non capiva per quale ragione accettasse che un uomo ignorante come Hitler potesse governare la Germania. Fu allora che Heidegger, solitamente parco di sorrisi, si sentì obbligato a sorridere, e fu allora che sentenziò: «La cultura non è importante, Karl. Guarda le sue meravigliose mani». L’amicizia tra Heidegger e Jaspers sopravvisse a stento a quella sera, ma io non ho smesso di pensare alle mani di Hitler dopo aver letto di questa sorprendente conversazione in un libro il cui argomento centrale - in ogni intellettuale si nasconde un tirannello feroce, assetato di gloria e mosso da un impeto letale che può essere combattuto solo con noiose virtù come la responsabilità e il buon senso - è senza appello, anche se il suo sviluppo è un po’ deludente: Pensatori temerari, di Mark Lilla. Da allora non ho smesso di pensare a che cosa vide l’ineguagliabile intelligenza di Heidegger nelle mani di Hitler. Da allora ho esaminato decine di fotografie nelle quali si scorgono le mani di Hitler, come se in esse si potesse trovare la chiave nascosta e fondamentale di questo personaggio quasi inconcepibile. Ho visto le mani infantili di Hitler in una scuola di Leonding, nel 1889; ho visto le mani vigliacche di Hitler nell’aprile del 1915 quando era un caporale dell’esercito tedesco, a Fournes, e nel Marsfeld di Monaco, otto anni dopo, quand’era diventato poco più d’un sobillatore da birreria, e anche a Landsberg, quando scontava in prigione il suo tentativo di colpo di Stato (sono mani incalcolabilmente furiose, incalcolabilmente rancorose); ho visto le sue mani alzate, isteriche o ammaliatrici nelle riunioni del Partito a Norimberga, e le sue mani soddisfatte da Cancelliere e le sue mani caritatevoli mentre danno da mangiare a un cerbiatto e le sue mani protettive mentre abbracciano bambini; ho visto le sue mani trionfanti, sicure e assassine del primo periodo della guerra, poi, via via, invecchiate, raggrinzite, tremanti per il Parkinson; ho visto le sue ultime mani che guardavano allucinate - mentre l’artiglieria russa bombardava a pochi metri di distanza dalla tana per topi nella quale, contro ogni logica ancora sognava di vincere la guerra e dove, pochi giorni dopo, si sarebbe finalmente ucciso - il progetto di ricostruzione di Linz, sua città natale, realizzato da Hermann Giesler. Ho visto tutte queste mani di Hitler e molte altre, le ho viste pensando a Heidegger e a ciò che Heidegger doveva aver visto, pensando che Heidegger scrisse che siamo creature non autentiche perché ognuno di noi è un altro e nessuno è chi è, e che Heidegger magari, immaginò, mostruosamente, che Hitler era una creatura autentica, che non era un altro, che egli solo era chi era. E dopo, stanco e ossessionato, ho incominciato a guardare, segretamente, vincendo il timore, le mani di mio figlio e quelle di mia moglie, quelle di mio padre e di mia madre e delle mie sorelle, quelle degli amici, quelle dei conoscenti e anche quelle degli sconosciuti. Addirittura sono andato a vedere per due volte La caduta, perché la prima ho saputo guardare solo le mani di Bruno Ganz, le mani di Hitler trapiantate in quelle di Ganz, mentre pensavo alla polemica - in fondo comprensibile - suscitata dalla cosiddetta umanizzazione di Hitler proposta dal film di Hirschbiegel, comprensibile perché non piace a nessuno che gli venga ricordato che Hitler non era un aerolito, incomprensibilmente arrivato sulla terra, che incomprensibilmente affascinò la nazione più civilizzata del mondo (e mezzo mondo), ma che era fatto della stessa materia della quale siamo fatti tutti noi umani. E allora, uscendo dal cinema, con un gesto istintivo mi sono guardato le mani: non ho visto mani meravigliose e nemmeno mostruose, solo mani normali, anodine, senza nessuna particolare leggiadria, senza nessun particolare difetto. Esattamente identiche a quelle di ciascuno di voi. Esattamente uguali alle mani di Hitler. E, allora, ho capito tutto. Javier Cercas (Copyright El País-La Stampa)